L’aumento del salario minimo è una questione scottante

Economia & Finanza

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L’aumento del salario minimo è una questione scottante, politicamente parlando. Poiché ha un impatto reale sulle finanze di tutti. Quindi quali sono i pro e i contro dell’aumento del salario minimo? L’aumento del salario minimo potrebbe avere effetti immediati sulla vita dei lavoratori orari a basso salario, aiutandoli a uscire dalla povertà e tenere il passo con l’inflazione. Alcuni economisti sostengono che altri vantaggi dell’aumento del salario minimo potrebbero includere un aumento della spesa dei consumatori, una riduzione dell’assistenza pubblica (e un aumento delle entrate fiscali) e una maggiore fidelizzazione e il miglioramento del morale dei dipendenti. In alternativa, altri esperti finanziari invece, sottolineano gli svantaggi dell’aumento del salario minimo. Incluso il potenziale aumento del costo della vita, (inflazione), la riduzione delle opportunità per i lavoratori inesperti e l’aumento della disoccupazione.

Qual è lo scopo del salario minimo?

Il salario minimo era un’idea che prese piede durante l’era della Grande Depressione. Durante quel periodo, il presidente Franklin D. Roosevelt lavorò con il Congresso per approvare il Fair Labor Standards Act del 1938, che stabilì ufficialmente il salario minimo. Anche allora, i politici litigavano sulla tariffa oraria e sui potenziali impatti sull’economia. E la legislazione finale ($25 centesimi l’ora), non era ciò che Roosevelt aveva originariamente in mente. La sua visione, per questa legge sul salario minimo, era quella di “porre fine ai salari da fame e agli orari intollerabili“. Tuttavia anche se il salario minimo ridurrebbe il numero di persone in povertà, non ridurrebbe l’inflazione poichè i lavoratori a basso salario avrebbero maggiori probabilità di rimettere il proprio reddito direttamente nell’economia. Spendono una parte maggiore del loro budget per bisogni immediati, come cibo, vestiti, trasporti e alloggi. Dunque, un eccesso di domanda farebbe lievitare i costi dovuta a una spirale salari-prezzi. Quindi con la politica monetaria restrittiva a dose elevate si pone un freno all’economia, decurtandone la domanda di investimenti, stronca l’inflazione creando disoccupazione, con la stretta del credito che, attraverso il moltiplicatore, frena anche il consumo. Questo, però ha tre lati negativi: quello sociale della creazione della disoccupazione, quello economico della incisione sull’investimento, (che può essere eccessivo, ma ciò che è eccessivo è il consumo o la dinamica dei prezzi), quello economico e psicologico dell’assoggettamento dell’investimento a una doccia scozzese. Che può scoraggiare futuri investimenti basati sul credito e sulla esposizione finanziaria. A queste tre conseguenze negative se ne può aggiungere una quarta, che è più controversa ma che, in certe circostanze, non è meno grave e reale. Cioè la discriminazione a danno della competitività ed a favore delle imprese più grosse e del capitale finanziario. Infatti la brusca frenata degli investimenti mette in crisi le imprese più fortemente indebitate, e non di rado, le costringe, a farsi assorbire da altre e da capitali finanziari. Dunque le politiche di intervento fondamentali per la stabilizzazione, sono la politica monetaria e soprattutto quella fiscale in relazione alle insoddisfazioni determinate dalla politica monetaria. Che è tutt’ora contrastata.

L’impiego della politica fiscale per la stabilizzazione

In molti casi la politica fiscale è stata impiegata sotto un punto di vista monetario. Come una sorta di politica monetaria sotto spoglie differenti. L’impiego della politica fiscale per fini di stabilizzazione, nasce dal pensiero di Keynes. Sebbene gli esperti non si stanchino di raccomandare un maggior uso della politica fiscale in luogo o in aggiunta a quella monetaria per il controllo delle pressioni inflazionistiche, tuttavia in concreto ciò incontra forti ostacoli operativi. Da un lato nella rigidità delle strutture fiscali,  dall’altro nella riluttanza dei governi al sottostare al vaglio del parlamento per misure impopolari. L’efficacia della politica fiscale ai fini dell’espansione, è molto più sicura di quella della politica monetaria. Sia in quanto essa può agire direttamente sul volume della domanda e quindi sulle prospettive di ricavo anzichè su elementi di costo, sia in quanto essa può agire su decisioni di spesa per beni e servizi dell’operatore pubblico. Tuttavia, facendo leva sulle agevolazioni fiscali per gli utili reinvestiti, si favorirebbero gli investimenti con l’autofinanziamento e non quelli con denaro preso a prestito.  Con la messa in atto di politiche fiscali si potrebbero abbassare i costi di esercizio per le nuove iniziative: riduzione di contributi assicurativi sui salari, prezzi politici per certe materie prime. Sovvenzioni e sgravi ficali alle imprese già esistenti, per la produzione attuale, e riduzione di imposte a favore delle famiglie e dei consumi. Dunque la questione della giusta dose di politica fiscale si complica in connessione con il problema della velocità di azione della politica fiscale. Pertanto l’aumento dei salari minimi aiuterà i redditi a tenere il passo con l’aumento del costo della vita, migliorerà l’etica del lavoro, e solleverà milioni di persone dalla povertà. 

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