Ucraina, un black-out per la diplomazia del Papa

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Gli strani tentativi di accessi anomali al sito del Vaticano all’indomani delle dure risposte del Cremlino all’intervista rilasciata da Papa Francesco alla rivista “America”. La strada per una mediazione della Santa Sede nella guerra appare davvero tutta in salita

di Nicola Graziani

Papa Francesco

 

AGI – Ufficialmente si registrano solo non meglio identificati “tentativi anomali di accesso”, ma a mettere insieme i fatti degli ultimi giorni viene fuori un quadro ben più preoccupante. Tarda mattinata, in Vaticano. La Rete va e viene, rallenta, si riprende, rallenta. Si blocca il sito ufficiale della Santa Sede, più tardi accadrà anche a quello dell’Osservatore Romano. È in corso, si fa sapere, un’opera di “manutenzione”.

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Ore dopo filtra qualcosa di più: i tentativi “anomali”. In altre parole, un attacco hacker. Non è certo un unicum, nella storia recente degli stati e delle grandi organizzazioni internazionali. Quello che colpisce è la tempistica. Tutto, infatti, accade all’indomani delle dure risposte del Cremlino all’intervista rilasciata da Papa Francesco alla rivista “America”, in cui il Pontefice condannava la crudeltà dell’aggressione all’Ucraina e il comportamento delle truppe che agiscono nel paese slavo sotto gli ordini del Cremlino.

Inoltre non sfugge che un caso analogo si era verificato la scorsa settimana ai danni del Parlamento Europeo, che aveva passato una risoluzione in cui la Russia veniva definita stato sponsor del terrorismo. Per capire, allora, è bene rivedere la più recente cronologia del botta e risposta tra Oltretevere e il Cremlino.

Poco più di una settimana fa prima Bergoglio, poi il segretario di stato Parolin hanno mandato in momenti diversi lo stesso messaggio poco cripato: si sappia anche perdonare il passato più recente nel nome della pace e del futuro che riporterà l’Ucraina ad essere un giardino rinato dal deserto.

Traduzione possibile: un gesto di buona volontà può far molto. Spingendosi ancora un po’ più in là: ucraini, non fate chiudere questa finestra di opportunità. Da questo momento in poi, invece, si moltiplicano i segnali preoccupanti. Prima lo stesso Parolin ammette che “la diplomazia non ha sortito per il momento gli effetti sperati”. Poi il suo vice, monsignor Paul Gallagher, fa sapere che la porta è sempre aperta e la luce sempre accesa per un negoziato, ospitato magari proprio dalla Santa sede, ma che prima c’è bisogno di “iniziative serie”. Ma è il terzo passaggio a far pensare, adesso, che di mediazioni non si potrà parlare prima di un certo lasso di tempo.

È di nuovo Papa Francesco che interviene, rilasciando un’intervista ad “America” che è la rivista dei gesuiti americani. Dice, il Pontefice che ad ogni uscita pubblica richiama il “martirio” dell’Ucraina ed ha anche sottolineato l’anniversario dello sterminio dei kulaki: “Quando parlo dell’Ucraina, parlo di un popolo martirizzato. Se hai un popolo martirizzato, hai qualcuno che lo martirizza. Quando parlo dell’Ucraina, parlo della crudeltà perché ho molte informazioni sulla crudeltà delle truppe che entrano. In genere, i più crudeli sono forse quelli che sono della Russia ma non sono della tradizione russa, come i ceceni, i Buriati e così via. Certamente, chi invade è lo stato russo. Questo è molto chiaro”.

La prima e più immediata reazione giunge nel giro di poche ore dalla portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova: “Questa non è più russofobia, ma una perversione, non so nemmeno a che livello. Negli anni Novanta e nei primi anni 2000, ci è stato detto esattamente il contrario, che i russi, gli slavi torturano i popoli del Caucaso, e ora ci viene detto che sono i popoli del Caucaso che torturano i russi. Devono essere pervertiti della verità”.

Ancor più dura ed esplicita la reazione del leader ceceno Ramsan Kadyrov. “Il capo del Vaticano è semplicemente una vittima della propaganda e dell’insistenza dei media stranieri”, replicato in un messaggio su Telegram, “il Papa ha definito i ceceni i più brutali dell’esercito russo. Potrei ricordarvi con disprezzo l’Inquisizione, le Crociate. È vergognoso che una personalità religiosa di fama mondiale non conosca l’atteggiamento dei musulmani nei confronti del loro nemico”.

Ed è il primo, Kadyrov, a compiere una sorta di rivendicazione identitaria giocata, si badi, sul piano religioso. Quasi a voler riaprire il solco tra Islam e cristianità che Francesco, dall’inizio del suo settennato, cerca faticosamente di colmare. Da ultimo, appena 24 ore fa, l’ambasciatore russo presso il Vaticano, Alexander Avdeev, ha protestato formalmente per le parole del Pontefice.

Parlando con l’agenzia Ria Novosti, il diplomatico ha riferito di avere espresso alla Santa Sede “l’indignazione” di Mosca: “Ho espresso indignazione per tali insinuazioni e sottolineato che niente può far vacillare la coesione e l’unità del popolo multinazionale russo”.

La questione è divenuta, così, diplomatica. In altre parole: formale, ufficiale. Il black-out della Rete in Vaticano diviene così un black-out, parziale magari ma sempre pesante, della mediazione.

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