L’operazione contro il terrorismo di Erdogan in Siria

Mondo

Di

La strategia denominata ‘Artiglio-Spada’ è partita il 20 novembre, a una settimana dall’attentato che ha fatto 6 vittime nel centro di Istanbul. Ankara agisce anche dopo il “no” degli Usa. Con Mosca, invece, continuano le trattative

di Giuseppe Didonna

Recep Tayyp Erdogan

 

AGI – “L’attacco terroristico di due settimane fa ha completamente cambiato i piani. Siamo determinati a portare avanti l’operazione ed eliminare la minaccia. Non ci interessa da dove provenga”. Parola pronunciate oggi da Ibrahim Kalin, portavoce e consigliere per la Sicurezza Nazionale defacto del presidente turco Recep Tayyip Erdogan.

Anche con il no da parte degli Usa l’operazione ‘Artiglio-Spada’ è partita il 20 novembre, a una settimana dall’attentato che ha fatto 6 vittime nel centro di Istanbul e vede al momento impiegati 50 aerei da guerra F16 e 20 droni da combattimento Bayraktar. Tuttavia il vero interrogativo riguarda l’intervento delle forze di terra, il cui impiego non è stato escluso da Erdogan, ma su cui rimangono i dubbi di Mosca e il no degli Usa.

La Casa Bianca, che ha ancora 900 marines nel nord della Siria e ha più volte in questi giorni chiesto la “immediata de-escalation”, invitando a dare priorità ai civili e alla stabilità regionale. Gli Stati Uniti sostengono le truppe Ypg con cui hanno collaborato nella lotta all’Isis. Una collaborazione che ha fatto scoppiare una polemica con Ankara che dura da anni.

Per Erdogan è inaccettabile che alleati Nato sostengano un’organizzazione terroristica e dopo l’attentato del 13 novembre scorso a Istanbul il ministro degli Interni turco ha respinto le condoglianze giunte dall’ambasciata americana.

A riportare in alto il livello della polemica prima il ministro della Difesa di Ankara, che ha invitato gli Usa a tagliare i legami con Ypg, poi un drone turco che ha colpito un edificio in cui si trovavano alcuni ufficiali Ypg a Shamuka. Un bersaglio distante appena 130 metri dalla principale base americana nell’area.

Il capo ufficio stampa del Pentagono, Pat Ryder, ha dichiarato che l’attacco turco “ha messo a rischio le truppe Usa” dislocate nell’area. La determinazione di Erdogan si scontra con la presenza americana nell’area e rende il semaforo verde della Casa Bianca necessario. A Kobane sperano che Washington insista e non ceda, come fece l’amministrazione dell’ex presidente Donald Trump nel 2019 e al momento il no di Washington rimane.

Diversa la situazione della Russia

Erdogan avrebbe già lanciato l’operazione la scorsa estate e a fermarlo fu proprio il no del Cremlino. Tuttavia le pressioni turche e le difficoltà russe con la guerra in Ucraina hanno cambiato le carte in tavola. Dal punto di vista strategico è importante sottolineare come Mosca abbia dato il via libera all’utilizzo dello spazio aereo siriano per l’aeronautica di Ankara.

Un via libera che in passato non era arrivato. Allo stesso tempo la Russia ha bisogno di Erdogan, il cui contributo è fondamentale per il passaggio attraverso il mar Nero di grano e fertilizzanti russi, ma ancora di piu’ per realizzare il piano del presidente Vladimir Putin di realizzare nel nord della Turchia un centro di smistamento energetico cui far confluire il gas diretto in Europa ed evitare le sanzioni.

In base a quanto emerso da alcuni media Turchia e Russia starebbero negoziando una operazione di terra su piccola scala nel nord della Siria. Mosca vuole evitare una presenza turca nell’area che allontanerebbe l’esercito di Damasco, sostenuto dal Cremlino, da due punti strategici come Tal Rifat e Manbij e metterebbe gli alleati di Ankara dell’Esercito Libero Siriano (Els) faccia a faccia con i nemici giurati di Damasco in località come Ayn Issa, Kobane e Tal Tamir.

I ministri della Difesa di Turchia e Russia hanno avuto un dialogo telefonico alla fine della scorsa settimana durante il quale Ankara ha confermato l’intenzione di “ripulire l’area dai terroristi” ed eliminare Ypg dai propri confini. Per tenere a freno Erdogan fino a questo momento il Cremlino ha puntato a rilanciare l’accordo di Adana del 1998, relativo la gestione dei confini tra Siria e Turchia.

Il Trattato, ancora formalmente in vigore, prevede l’espulsione dei terroristi dalla Siria, ma anche che le truppe turche possano entrare nel territorio siriano fino a un massimo di 10 chilometri per condurre operazioni anti-terrorismo, ma non dà loro il diritto di rimanervi.

A Erdogan 10 chilometri però non bastano più e si cerca una via d’uscita che faccia contenti tutti. Putin probabilmente darà il via libera all’operazione di terra turca, ma senza perdere di vista il vero obiettivo, vale a dire rimettere nelle mani del regime di Damasco alleato di Mosca i territori in mano ai curdi Ypg, la cosiddetta Rojava, ma anche le altre aree liberate finite sotto l’ombrello della Turchia in seguito alle operazioni del 2016 contro Isis e 2018 e 2019 contro lo stesso Ypg.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

CAPTCHA ImageChange Image

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Traduci
Facebook
Twitter
Instagram
YouTube