La missione di pace dell’Onu in Mali rischia di fallire

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La Francia è stato il primo paese a decidere di ritirare il proprio contingente. La stessa strada verrà percorsa da Germania, Regno Unito, Costa d’Avorio e Benin con l’Egitto che ha sospeso le operazioni a tempo indeterminato

di Angelo Ferrari

Soldati Onu in Mali

 

AGI – La missione di pace delle Nazioni Unite in Mali (Minusma) rischia di disgregarsi e di chiudere i battenti in anticipo, infatti sta vivendo il momento più critico della sua storia. Ciò è la conseguenza della decisione dei paesi più potenti che contribuiscono al contingente di ritirare le proprie truppe. La Germania è solo l’ultima nazione ad aver deciso il ritiro dei suoi 1200 caschi blu entro maggio 2024.

Il ministro della Difesa tedesco, Christine Lambrecht, ha fatto sapere che la partenza del contingente sarà ordinata. Prima della Germania, perà, anche il Regno Unito, la Costa d’Avorio e il Benin hanno sapere di voler ritirare i rispettivi contingenti a partite dal prossimo anno, con l’Egitto che ha sospeso le operazioni a tempo indeterminato. La Francia è stato il primo paese a decidere di ritirare il proprio contingente.

Le relazioni tra il Mali e i partner occidentali si sono progressivamente deteriorate da quando la giunta militare guidata dal Colonello Assimi Giota, ha preso il potere nell’agosto del 2020 innescando una serie di nuove alleanze internazionali, molto criticate dagli ex partner.

In particolare il repentino avvicinamento di Bamako a Mosca è stata la miccia che, a cascata, a portato, prima la Francia – partner storico per la sicurezza del paese – poi altri paesi occidentali a prendere le distanze dalla giunta militare, compresa l’Unione Europea. Situazione che si è aggravata ulteriormente con l’arrivo dei mercenari russi della Compagnia Wagner a supporto delle forze armate locali.

L’arrivo di Mosca è stato il vero discrimine di questa raffica di prese di distanza occidentali che, con il passare del tempo, si sono fatte sempre piu’ radicali. Il segretario della Difesa britannico, James Heappey nel dare l’annuncio del ritiro, ha sottolineato che i paramilitari russi della Wagner, sono “un gruppo di assassini che violano i diritti umani. Il gruppo Wagner è associato a massicce violazioni dei diritti umani e la partnership del governo maliano con questo gruppo è controproducente per la stabilità e la sicurezza a lungo termine della regione”.

La replica di Parigi

Le reazioni più dure, come è noto, sono state quella della Francia. È della settimana scorsa la decisione di Parigi di interrompere l’assistenza allo sviluppo in Mali, prendendo a pretesto, appunto, la presenza dei mercenari russi. Tra il 2013 e il 2017 la Francia ha donato 473 milioni di euro in aiuti a Bamako, attraverso l’Agenzia francese di Sviluppo (Afd).

Questa decisione, contestata dalle organizzazioni non governative francesi, è un duro colpo per un paese che è al 186esimo posto nell’indice di sviluppo umano delle Nazioni Unite e ha recentemente riconosciuto di aver bisogno di assistenza con circa il 40% della sua popolazione – 20 milioni di abitanti – in stato di bisogno.

Se Bamako non ha reagito alla decisione di molti contingenti di ritirarsi dalla missione di pace dell’Onu – c’e’ stato un silenzio assordante che in altre circostanze e nel passato ha preceduto prove di forza del regime maliano – sulla decisione della Francia, invece, la reazione è stata dura. Il governo di transizione del Mali, infatti, ha deciso di vietare tutte le attività delle Ong che operano nel paese con finanziamenti o con il supporto tecnico della Francia anche in campo umanitario.

Secondo il presidente dell’African Network for the Security Sector (Assn), Niagalè Bagayoko, lo schema che ha portato la Francia a lasciare il paese, potrebbe replicarsi con la missione dell’Onu. Tecnicamente, infatti, le autorità di transizione maliane non hanno mai “espulso” la Francia, ma hanno creato condizioni inaccettabili per Parigi, rendendo impossibile la sua presenza.

In particolare le autorità di Bamako hanno rimesso in discussione gli accordi di difesa che legavano i due paesi e si sono affidati ai mercenari russi che si sono schierati a fianco delle forze nazionali. Bagayoko sostiene che “il Mali ha espresso le sue riserve su alcuni punti del mandato della missione Onu, riservandosi, in particolare, il diritto di non concedere l’accesso ad alcune delle richieste della Minusma, in particolare in materia di diritti umani. E’ abbastanza difficile sapere fino a che punto le autorità del Mali vogliano davvero che questa forza venga mantenuta, le cui capacita’ di intervento si sono, in maniera preoccupante, ridotte”.

Un disimpegno dell’Onu in Mali avrebbe ricadute drammatiche sulla popolazione civile e sul paese in generale. Il Mali è piombato in una crisi di sicurezza dal 2012 che ha provocato centinaia di morti – soprattutto tra la popolazione civile – e migliaia di sfollati, con uno stato che ha una presenza risibile nelle aree dove imperversano le milizie jihadiste che, nonostante la presa del potere dei militari a Bamako, hanno ripreso vigore conquistando sempre piu’ territorio, secondo alcuni analisti quasi la metà del paese.

La Minusma, che dal 2013 schiera 12mila soldati, è l’operazione più grande della Nazioni Unite, ma anche la più sanguinosa. I suoi caschi blu vengono spesso uccisi o feriti in attacchi e imboscate da parte dei combattenti di al Qaeda e dello Stato Islamico, che da 2012 imperversano in Mali. Ma non solo. In tutto il paese si stanno intensificando le proteste e le manifestazioni della popolazione che chiedono l’espulsione delle truppe internazionali dal paese.

Il mandato della forza di pace dell’Onu è stato rinnovato a giugno, per un anno, ma entro il gennaio 2023, in meno di due mesi, la missione delle Nazioni Unite prevede di produrre un rapporto che dovrebbe valutare la sua capacità’ di muoversi e lavorare efficacemente in Mali.

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