Il femminismo radicale ha fallito, ha vinto la donna

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Quando si parla di questione femminile si intende lo stato di minorità della donna nei confronti dell’uomo in tutte le forme assunte nel corso dei secoli. La prima fase della emancipazione femminile, quella socio-politica, si realizza nei decenni tra l’Ottocento  e il Novecento, le donne ottengono il diritto di voto, che in Italia otterranno solo nel 1946, e il diritto di svolgere varie professioni e di frequentare le università. A causa delle due guerre mondiali, periodo in cui le donne sostituirono gli uomini nelle fabbriche, e dell’evoluzione del modo di produzione, al termine del secondo conflitto  l’emancipazione della donna può considerarsi conclusa. Ha così inizio la seconda fase del movimento femminista, che fu chiamata la liberazione della donna. Non si tratta più di combattere per ottenere gli stessi diritti dei maschi, ma di modificare radicalmente i rapporti tra i sessi. Ora la liberazione della donna consiste in una rivolta contro tutti i valori sui quali da millenni è stata costruita la così detta società maschilista. Per tale motivo vengono rifiutati il valore della competizione che elimina i più deboli e quindi le donne; la fissazione di ruoli ben definiti che dissociano la personalità e incollano la donna a una funzione subalterna all’uomo come sposa, madre, casalinga. Le tappe principali di questa liberazione passano attraverso la pubblicazione di libri, scritti da donne, che elaborano e teorizzano il pensiero femminista: nel 1949 la francese Simone De Beauvoir pubblica il libro “Il secondo sesso”, l’autrice fa notare come l’oppressione femminile sia molto antica. Nel 1963 l’americana Betty Friedan nel libro  “La mistica della femminilità” denuncia i nuovi caratteri che hanno assunto l’oppressione e lo sfruttamento della donna nella società industriale: il contrasto tra le sue capacità e le mansioni svolte tra i predominanti valori maschili e la persistenza di una considerazione romantico-sdolcinata della femminilità, tutta sesso, sentimento e frivolezza, che nega la maturazione e la ricchezza della personalità femminile. La donna non può essere limitata dal suo ruolo biologico e dal lavoro alienante che svolge  in casa. Del 1970 è il testo di Kate Millet “La politica del sesso” il patriarcato  è visto come la base di ogni potere del maschio.  La Firestone in “La dialettica dei sessi” auspica una rivoluzione femminista capace di porre in discussione tutta la cultura occidentale e di rivoluzionare l’organizzazione della natura.  Nel sessantotto le idee di queste donne si diffondono in tutto l’Occidente, i così detti gruppi di autocoscienza approfondiscono la questione femminile e indagano la sessualità della donna. Cortei e manifestazioni portano nelle piazze il disagio. Successivamente il movimento verso la metà degli anni settanta perde il suo slancio: alcune donne sanzionano la loro rottura col maschio padrone scegliendo l’omosessualità; altre imboccano la via della lotta violenta e armata contro la società; altre ancora riprendono in seria considerazione i valori contestati e si interrogano sul ruolo della donna nella famiglia, nella società,  perché esse consapevolmente ritengono che i problemi dell’infanzia e della delinquenza minorile possono trovare soluzioni solo grazie all’opera della donna. Alla fine degli anni settanta anche la società italiana risulta profondamente trasformata, soprattutto per alcune leggi, quali l’introduzione del divorzio, la riforma del diritto di famiglia che stabilisce assoluta  parità dei diritti e di doveri tra uomo e donna e l’ammissibilità dell’aborto in molte situazioni. Il movimento femminista nel tempo si disgrega e la maggioranza delle donne oggi ripongono nella famiglia il loro obiettivo di vita, abbandonando quel modello di lotta e protesta che di fatto le emarginava ancora di più. Non tutto è più condiviso da tutte, perché nel tempo è stato costruito il rispetto ed nuova dimensione dove la donna si inserisce professionalmente a tutti i livelli nel mondo del lavoro, occupando allo stesso tempo quel ruolo ben preciso che la vede alla guida della famiglia.  Il femminismo non è una lotta, è stato solo una realtà che ha permesso di raggiungere un equilibrio per affermare dei diritti. Anche la legge sull’aborto oggi desta molte perplessità e smuove le coscienze di tante donne che lo avversano per il dovuto e corretto rispetto verso la vita, nonostante le sparute e nostalgiche femministe radicali, che  continuano a rifarsi a quella obsoleta ideologia della lotta ai pregiudizi, alle discriminazioni e ad un sistema di patriarcato che nella società civile non esiste più da anni, considerino l’aborto di massa ancora una conquista di civiltà e non una risposta violenta e mortifera a cui ricorrere con coscienza e per necessità, soprattutto in un momento di così grande e pericolosa denatalità che destabilizzando il nostro paese.

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