Il caro bollette sta mettendo a dura prova l’economia delle stalle

Economia & Finanza

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La causa sono i prezzi dei mangimi, schizzati “ai massimi del decennio”, e i listini dell’energia che hanno superato il 300% in un anno

di Alberto Ferrigolo

© Agf
– Un allevamento di mucche da latte nel Lodigiano

 

AGI – C’è allarme per la zootecnia bovina che sta vivendo un’altra stagione molto critica sul fronte delle redditività. La causa sono i prezzi dei mangimi, schizzati “ai massimi del decennio”, e i listini dell’energia che hanno superato il 300% in un anno.

E tutte questo accade nonostante che anche il prezzo del latte “si posizioni su livelli storicamente molto elevati”. Mentre all’orizzonte si profila, con molta apprensione, “una contrazione degli acquisti delle famiglie, zavorrati da un’inflazione che non si vedeva da quasi 40 anni”.

È questo un pezzo dell’analisi di Ismea, l’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare nel trattare il Piano strategico della Pac 2023-2027 che in una nota evidenzia come proprio “la zootecnia da latte è fortemente influenzata dai cambiamenti degli indirizzi della Politica agricola comune che, nel tempo, ha sempre goduto “di un importante sostegno pubblico, con titoli all’aiuto più elevati della media nazionale”.

Infatti, la “nuova Pac” introduce una serie di cambiamenti per le aziende agricole del latte. Come sostiene il professor Angelo Frascarelli, Presidente Ismea, “fino al 2022 gli allevatori di bovini da latte beneficiavano di tre tipologie di pagamenti diretti: pagamento di base, greening e accoppiato” ma dal prossimol “1° gennaio 2023, l’allevatore potrà usufruire di quattro tipologie di pagamenti diretti” e “se il nuovo pagamento di base porterà a una diminuzione del livello di sostegno e il pagamento greening sarà soppresso, l’allevatore potrà allora beneficiare dell’Ecoschema 1, che orienta l’allevamento verso un minor uso di antibiotici”.

Inoltre, il sostegno accoppiato conferma, per Frascarelli, “lo stesso livello di sostegno in vigore già oggi” mentre “i nuovi pagamenti diretti confermano un importante sostegno, che contribuisce alla redditività delle imprese zootecniche da latte, insieme ad un rinnovato orientamento al mercato”.

Tuttavia, negli allevamenti oggi pesano non solo i rincari energetici (+275% l’energia elettrica in Italia, +286% il gas naturale in Europa nei primi nove mesi del 2022), ma soprattutto il capitolo dell’alimentazione del bestiame, che rappresenta oltre la metà dei costi totali di produzione e ha subito forti tensioni al rialzo, esacerbate anche dalla ridotta disponibilità delle materie prime dopo una stagione molto siccitosa.

Secondo le elaborazioni dell’Ismea, “il mais nazionale ha raggiunto a settembre i 363 euro a tonnellata, registrando un incremento del 41% su base annua, la farina di soia si è stabilizzata sui 583 euro/t (+29%), e il fieno di erba medica ha toccato sempre a settembre il valore di 361/t (+57%), determinando molto spesso la necessità di rivedere la razione alimentare.”

Il risultato più evidente è che l’effetto congiunto tra queste scelte e la perdurante calura estiva è stata “una battuta d’arresto della produzione di latte nazionale nei primi sette mesi del 2022, dopo il +3,3% registrato nel 2021 e il +4,5% del 2020, pur con qualche differenza evidente a livello territoriale”.

L’aumento del costo della produzione del latte

“L’impatto dei costi sui conti degli allevamenti nazionali e in particolare dei bovini da latte è importante”, sostiene il responsabile della Direzione Servizi per lo Sviluppo Rurale di Ismea Fabio Del Bravo, perché “complessivamente, secondo l’indice Ismea dei prezzi dei mezzi correnti di produzione, la zootecnia ha avuto un aggravio per l’acquisto degli input del 21% nel periodo gennaio-settembre, che sale al 25% nel caso specifico degli allevamenti di bovini da latte”.

Cosicché per un allevamento medio grande della Lombardia (100 -250 capi) produrre 100 litri di latte “costa oggi quasi 51 euro (nel caso di latte non destinato al circuito Dop) e oltre i 53 euro (per la produzione di formaggi Dop)” mentre un anno fa costava rispettivamente 47 euro e 49 euro e andando ancora a ritroso nel tempo, “nel 2020 superava di poco i 47 euro per 100 litri”.

La gestione dei costi correnti ha rappresentato la principale preoccupazione degli allevatori durante l’estate, con un impatto più intenso rispetto al resto dell’agricoltura, secondo quanto emerso poi dall’indagine Ismea sul Clima di Fiducia. Per i prossimi mesi è previsto un ulteriore peggioramento del sentiment degli operatori, nonostante l’aumento della remunerazione del prodotto alla stalla (55 euro/100 litri nel mese di agosto e settembre, +43% rispetto a un anno fa), con la prospettiva di arrivare a dicembre a 60 euro, in base al contratto siglato in Lombardia.

La fiducia delle imprese si riaccende solo con riferimento a un orizzonte temporale più lungo, i prossimi due-tre anni, anche se non manca chi prospetta una chiusura dell’attività a causa della bassa redditività, ma anche per raggiunti limiti di età e mancanza di successore.

Ma un’altra fonte di preoccupazione della filiera è rappresentata dalla domanda finale, in un contesto di forte riduzione del potere di acquisto delle famiglie, alle prese con un’inflazione che è già alle stelle. Spiega Stefano Galli, Global Clients Director NielsenIQ, che “se fino ai primi 8 mesi del 2022, i volumi avevano tenuto, i dati del mese di settembre di NielsenIQ costituiscono un buon punto di partenza per intercettare alcune tendenze della spesa alimentare dei prossimi mesi e misurare l’impatto dell’inflazione sui consumi”.

Si notano infatti i primi segnali di contrazione dei volumi (-0,8%), più evidenti al Sud (-2,4%), dove si concentra la spesa delle famiglie con minore disponibilità di reddito. Nel caso dei prodotti lattiero caseari, come per altri prodotti di base, pur in presenza di prezzi in crescita a 2 digit si assiste a una buona tenuta dei volumi.

“Ma attenzione – avvisa Galli – non è così per tutti: alcune categorie, come ad esempio i formaggi duri e altre referenze, anche appartenenti alle categorie a più bassa elasticità, potrebbero avere forti impatti negativi legati alle scelte dei consumatori e uscire dal carrello della spesa”.

Insomma, i numeri appaiono chiari e certificano la difficoltà oggettiva del momento per le aziende agricole, in crisi oggettiva di redditività e bisognose di nuovi sostegni alle imprese.

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