L’effetto Whatsapp impoverisce la lingua?

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Intervista al linguista Michele A. Cortellazzo, docente di Linguistica italiana all’Università di Padova
© KARL-JOSEF HILDENBRAND / DPA / DPA PICTURE-ALLIANCE VIA AFP – WhatsApp

AGI – Cosa distingue un millennial da un boomer oppure un soggetto della Generazione Z da uno Alpha? In genere, la velocità di scrittura sui social, sugli smartphone e, segnatamente, su WhatsApp. Rapida, rapidissima, ultraveloce. Spesso per simboli, contrazioni e abbreviazioni. Ciò che fa titolare al quotidiano spagnolo El Paìs che gli adolescenti “più digitano, peggio scrivono”. E questo null’altro è che “l’effetto WhatsApp”. Tant’è che alcuni insegnanti ritengono che l’immediatezza dei social network “generi problemi di ortografia, grammatica e coerenza testuale”. È così?
L’Agi l’ha chiesto al professor Michele A. Cortellazzo, 70 anni, docente di Linguistica italiana all’Università di Padova, da appena venti giorni in pensione ma in ogni caso sempre ancora molto attivo, figlio di Manlio, per anni decano degli etimologisti e dei dialettologi italiani scomparso nel 2009. Di ritorno da Fiume per una conferenza su questi stessi argomenti, il professore dice che sì, effettivamente, ciò che caratterizza la scrittura giovanile è il suo essere “veloce e frammentaria”.

Professore, ha notato un degrado nel modo in cui i suoi studenti scrivono le tesi, i paper, i testi in genere?

“Ho avuto la fortuna di insegnare in corsi di laurea tipo lettere dove ci vanno studenti appassionati di letture, perciò il mio punto di vista può esser distorto. Sinceramente non ho notato decadimenti vistosi, se non in qualche caso. Naturalmente è come allenare la Nazionale di pallavolo, se prendi i venti migliori quelli continuano a giocare meglio. Per esperienza personale non vedo differenze, ma quel che credo stia succedendo è che c’è una forte frammentarietà, ed è forse quel che mi preoccupa di più. Non siamo più abituati a scrivere e leggere complessivamente e, soprattutto, testi che abbiano una loro complessità, con un inizio e una fine. Praticamente più che aver sostituito l’oralità con la scrittura abbiamo inserito l’oralità nella scrittura”

Cioè scriviamo come parliamo e questo cosa comporta?

“È vero che negli ultimi vent’anni si è scritto come mai era accaduto prima in termini quantitativi, però il tipo di scrittura che si è sviluppata è per lo più un parlato, colloquiale, con le caratteristiche della casualità del discorso. Quando si dialoga si sa da dove si parte ma non si sa mai dove si arriva. E il più delle volte si arriva a litigare, ci si sovrappone, ci si dà sulla voce…”

Sul modello talk show…

“Esattamente. E chi è abituato ad esempio a una scrittura articolata rimane sempre con l’amaro in bocca perché pensa alla quantità di altre cose che avrebbe potuto dire. Questo capita spesso proprio a chi partecipa ai talk show, perché c’è una contingenza nel dialogo che prescinde da ogni programmazione, da ogni pianificazione che è invece la caratteristica propria della scrittura. Questa idea che ci insegnano a scuola di fare prima la scaletta nella scrittura digitata, dialogica, crolla del tutto. Questo, secondo me, è il tratto caratteristico maggiore, al di là degli errori lessicali che ci possono essere, perché se si scrive velocemente si scrive in genere la prima parola che viene in mente non pensando invece che ce ne potrebbe essere una migliore”

La povertà linguistica è inevitabile su WhatsApp, sui social?

“Più che povertà direi banalità linguistica. Difficilmente si va alla ricerca della parola più adatta. Si scrive la prima parola che viene in mente, che spesso è la più generica. Ecco, quel che viene meno è lo sforzo della scrittura a favore della velocità e della spontaneità che è tradizionalmente tipica del parlato”.

Il risultato sono una scrittura e un parlato dalla struttura sincopata?

“Sì, è sincopata, trascurata materialmente. Io stesso, se scrivo un sms o un messaggio WhatsApp, se ho sbagliato di digitare una doppia non torno indietro a riscriverla, cosa che farei con qualunque altro testo. Lascio stare perché tanto è concesso, è nelle cose. Allora c’è questa trascuratezza complessiva”.

Questa trasandatezza alla fine a cosa porta?

“Tutto questo va benissimo se resto su WhatsApp o quel che è, il guaio arriva quando parte dei giovani non particolarmente acculturati non sanno poi fare il salto quando scrivono qualche cosa che dovrebbe essere più elaborato. Il problema non è tanto che la scrittura è digitata e ha queste caratteristiche che sono funzionali a quel tipo di comunicazione. Va benissimo così, perché le regole sono quelle, le condividiamo, ne capiamo l’utilità e ogni tipo di comunicazione ha i suoi parametri e i suoi perimetri. Il problema si pone quando un ragazzo, che fin da giovane è abituato a scrivere così: è svantaggiato quando deve scrivere testi più complessi? È esattamente come un ragazzo d’un tempo, oppure è svantaggiato perché inconsciamente tende a trasferire questa stessa modalità anche nella scrittura più elaborata? Per molti, non so quanti siano, è esattamente così. Quando cominciano a scrivere qualcosa di più elaborato il salto non lo fanno”.

Però un fatto è certo, oggi – mediamente – si scrive di più.

“L’aumento della scrittura che indubbiamente c’è stato è un aumento fittizio dal punto di vista meramente qualitativo. L’aspetto principale è che si tratta di scrittura in assenza di pianificazione. La frammentarietà in quell’ambito comunicativo va bene, ma il rischio è che poi in molti si adagino e non sappiano fare il salto in avanti esiste davvero”

Si può dire che questo fenomeno dell’aumento della scrittura come messaggistica si è accentuato anche come riflesso dalla pandemia?

“La pandemia ha fatto un’altra cosa. Ha molto ampliato il parlato, perché abbiamo scoperto molti sistemi molto facili e poco costosi di videoconferenza, penso a Zoom, Teams, Google Meet, Webex, eccetera, e questo è coerente con il fatto che anche molti giovani attraverso il telefonino oggi abbiano abbandonato la scrittura in favore dei vocali. E non tanto per effetto della pandemia ma è lo sviliuppo tecnologico stesso che, come sempre accade, conduce su certi binari, su certe cose e fa arretrare su altre. In questo caso penso che la scrittura digitale sia un danno per il fatto che certe cose funzionano meglio se si scrivono in modo elaborato. Il pensiero va avanti ma la vera innovazione intellettuale progredisce solo attraverso la scrittura elaborata, non c’è niente da fare”

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