La rivoluzione sarà donna (o non sarà)

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Editoriale di Daniela Piesco Presidente Associazione Santa Maria Goretti 

Penso che ciò che sta accadendo in Iran stia ora ispirando positivamente anche altri popoli nella regione.Difstti le donne afghane, in una spettacolare dimostrazione di coraggio, sono nelle strade di Kabul per sostenere il popolo iraniano che chiede di vedere riconosciuti i propri diritti e già questo potrebbe dirci che, a parte le speculazioni politiche, un futuro migliore nella regione è possibile se si cerca di rimanere uniti per la tutela dei dritti umani.

La cosa certa è la determinazione del popolo iraniano a superare la situazione attuale a qualsiasi prezzo.

Donna, Vita, Libertà è la lotta di ciascuno di noi.

Non si può fare la rivoluzione senza le donne

Forse le donne sono fisicamente più deboli ma moralmente hanno una forza cento volte più grande. Gli uomini ignoreranno sempre la loro vera natura finché non lasceranno le donne libere di realizzare la propria personalità

L’assassinio di Mahsa Amini è stata la scintilla di un fuoco che ora ha incendiato gran parte del paese, chiedendo la fine delll’apartheid di genere e del regime islamofascista ma anche e soprattutto pane e lavoro.

E nascono in me tante riflessioni sui diritti umani che sono per definizione universali: ma come va interpretata questa universalità, a fronte delle diversità e pluralità di culture, di storia, di tradizioni, che caratterizzano l’esperienza umana?

I diritti delle donne e la libertà femminile sono spesso al centro di queste contraddizioni e di questi conflitti: non solo, come è noto, perché spesso le identità culturali rivendicate dalle minoranze portano in sé anche elementi di subordinazione delle donne, ma anche perché è spesso la riflessione femminile a offrire le ipotesi più interessanti su come affrontare il difficile rapporto fra universalità dei diritti e molteplicità delle culture.

Libertà religiosa e diritti umani vivono oggi una nuova stagione di crisi. Limitazioni alle libertà, violenze e persecuzioni per ragioni di fede, più numerose in Africa ed Asia, non risparmiano l’Occidente. I processi migratori e la globalizzazione sfumano infatti i confini geografici del nuovo ‘martirio’ che invoca attenzione e risposte.

Il velo islamico è il simbolo dell’oppressione della donna o un’espressione della sua libertà?

Io non ho dubbi :è sicuramente il simbolo dell’oppressione, anche se in forme e gradazioni diverse. La libera scelta di portare l’hijab, invocata in nome della religione, della tradizione e/o dell’identità, in fondo risponde solo all’ossessione maschile del corpo della donna.

Nessuna donna che non controlla il proprio corpo può definirsi libera.

Solo attraverso la puntuale conoscenza del significato politico che il velo ha assunto nella storia recente è possibile capire la pericolosità della manipolazione dell’informazione sui paesi islamici e l’altrettanto pericolosa sottovalutazione del processo di islamizzazione che rischiano anche i paesi occidentali che si dichiarano laici.

A tal proposito varrebbe la pena soffermarsi su tre aspetti cruciali : l’uso del velo in rapporto alla tradizione e all’emancipazione delle donne, poi vanificata dalla reislamizzazione; l’identità, a partire dall’Iran dove è stato Khomeini a dare al chador una valenza identitaria, il cui rifiuto è costato la vita a Mahsa Amini ;infine il rapporto tra velo e libertà attraverso le campagne lanciate sui social, ormai un importante strumento di comunicazione in grado di superare gli ostacoli costituiti da regimi autoritari.

Inoltre è bene precisare che le parole della rivolta sono ‘Zhen, Zhian, Azadi’, ovvero ‘donna, vita, libertà’,( parole urlate per la prima volta il giorno del funerale di Mehsa Amini a Saqqez da una folla inferocita) provengono da un Iran che non fa parte dell’Occidente sviluppato, quindi sono molto diverse dal #MeToo nei paesi occidentali anche se mobilizza milioni di donne comuni, ed è direttamente collegato alla lotta di tutti, uomini compresi.

Gli uomini che partecipano a Zan, Zendegi, Azadi sanno bene che la lotta per i diritti delle donne è anche la lotta per la propria libertà: l’oppressione delle donne non è un caso speciale, è il momento in cui l’oppressione che permea l’intera società è più visibile.

Il motivo per cui le donne iraniane scendono in piazza e cercano di rovesciare il regime al potere, piuttosto che chiedere a gran voce l’abolizione dell’hijab obbligatorio o la fine della violenza fisica contro le donne, non può essere spiegato senza un’analisi e una critica approfondita del funzionamento della religione e del capitale in Iran.Pertanto un’analisi non di classe dei diritti delle donne, insieme alla narrazione degli eventi da parte dei media di destra, contribuiscono a una comprensione incompleta di questa rivolta.

È necessario chiarire la natura del regime islamofascista iraniano per chiarire la natura delle lotte a cui ci troviamo di fronte

Islamofascismo non è un termine contro la fede individuale. È un termine politico contro una struttura politica che viola non solo i diritti delle donne, ma i diritti di ogni essere umano diverso da quello concepito da tale follia.

L’islamofascismo è un termine politico basato sul sangue e sulla religione, simboleggiato dalla Repubblica islamica e dalla sua bandiera, l’hijab islamico.

Il contenuto politico di questo regime non è diverso da quello dei regimi della junta (greca) di Pinochet e di Mussolini. Non si tratta di una discussione sulle scelte individuali in materia di fede e di credo in Dio. Si tratta di secolarismo e di anticapitalismo.

Infatti, la società iraniana non è una società islamica e non lo è mai stata, perché il regime dispotico al potere in Iran è un regime islamico, che nonostante tutta la sua coercizione non è ancora riuscito a costringere la popolazione nella sola identità islamica.

Oggi che la lotta delle donne è diventata la lotta di tutta la società iraniana e il volto di Mehsa è il volto di tutte le oppresse, l’islamofascimo e le sue élite iniziano a barcollare..

Non si nasce donne: si diventa

Vale la pena ricordare in questo contesto anche la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina (titolo in francese Déclaration des droits de la femme et de la citoyenne),ossia un testo giuridico francese pubblicato nel 5 settembre 1791 dalla scrittrice Olympe de Gouges sul modello della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 proclamata il 26 agosto dello stesso anno, che esige la piena assimilazione legale, politica e sociale delle donne.

Fu il primo documento a invocare l’uguaglianza giuridica e legale delle donne in rapporto agli uomini e fu pubblicata allo scopo di essere presentata all’Assemblée nationale per esservi adottata.

La Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina costituisce un’imitazione critica della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, che elenca i diritti validi solo per gli uomini, allorché le donne non dispongono del diritto di voto, dell’accesso alle istituzioni pubbliche, alle libertà professionali, ai diritti di possedimento, ecc.

L’autrice vi difende, non senza ironia sulle considerazioni dei pregiudizi maschili, la causa delle donne, scrivendo che «La donna nasce libera e ha uguali diritti all’uomo».

Volendo, si può dire che Olympe de Gouges criticò la Rivoluzione francese di aver dimenticato le donne nel suo progetto di libertà e di uguaglianza.

Le associazioni femminili vennero in seguito proibite da Robespierre, il quale chiuse i loro clubs ed i loro giornali. Olympe de Gouges, invece, per aver denunciato gli eccessi della stessa rivoluzione, insieme a molte altre donne venne ghigliottinata (novembre 1793) “per aver dimenticato le virtù che convengono al suo sesso” ed “essersi immischiata nelle cose della Repubblica”.

Iran: senza velo e senza paura

Da Baghdad a Beirut c’è chi guarda con attenzione alle proteste iraniane, interrogandosi sulla possibilità che indeboliscano la presa della Repubblica islamica nei paesi vicini: Libano, Iraq, Siria e, in certa misura, Yemen.

In effetti la caduta del regime dei mullah sarebbe la migliore delle notizie. Sostenere la rivolta iraniana è d’obbligo.

Gli slogan usati nelle manifestazioni rivelano che le persone hanno quasi perso la speranza di riformare e chiedono invece una caduta dell’attuale sistema politico. La risposta del regime è sempre stata di natura pesante e brutale. Ciò ha portato all’uccisione di dozzine di persone e provocato l’indignazione degli iraniani della diaspora, che hanno organizzato manifestazioni su larga scala in varie città del mondo in solidarietà con i loro concittadini, ripetendo la stessa richiesta di un cambio di regime.

È difficile prevedere l’epilogo di tutto ciò..

Tuttavia, è evidente che mentre il regime non è in grado di controllare la rabbia delle persone o di gestire le loro aspettative, non esiterà a ricorrere a brutali misure di repressione.

Dobbiamo ricordare infine che gli iraniani stanno combattendo per la libertà e la giustizia a diversi livelli non solo di recente, ma in tutta la storia moderna e contemporanea.

Le donne iraniane, ad esempio, soprattutto dalla fine del 19° secolo, chiedono incessantemente giustizia, uguaglianza e democrazia. Furono tra le forze pioniere della Rivoluzione Costituzionale Iraniana (1905-1911) con le campagne per l’emancipazione femminile e i valori socialdemocratici.

Subito dopo la rivoluzione di Khomeini, le donne iraniane erano di nuovo in piazza per protestare contro la soppressione dei loro diritti da parte del giovane governo rivoluzionario.

Basta ricordare le proteste per la Festa della Donna del 1979 a Teheran.

Si potrebbe anche parlare di alcuni altri episodi successivi alla nascita della repubblica islamica come le proteste studentesche del 1999, il Movimento Verde, le Ragazze della Via Enghelab e le proteste del Aban di Sangue. Le donne hanno sempre avuto un determinante ruolo in queste proteste.

Tutte queste voci, apparentemente dimenticate e distaccate, sono state represse brutalmente, ma oggi risorgono dalla cenere di nuovo con tutta la loro forza.

Daniela Piesco Co-direttore Radici 

Redazione Corriere Nazionale

Redazione Stampa Parlamento

pH Paolo Barbera

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