L’Ugo che colse lo Spirito del futuro

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Danilo Breschi ha curato e introdotto un’antologia di scritti giornalistici del filosofo Ugo Spirito

Ugo Spirito, L’avvenire della globalizzazione. Scritti giornalistici (1969-79), a cura di Danilo Breschi, Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice – Luni Editrice, Roma – Milano 2022, pp. 400, € .

di Danilo Breschi

Esce in libreria L’Avvenire della globalizzazione. Con questa raccolta di articoli giornalistici, scritti da Ugo Spirito nei suoi ultimi dieci anni di vita (1969-79), ho inteso aggiungere un tassello importante nella ricostruzione del percorso umano ed intellettuale del grande filosofo, allievo di Giovanni Gentile. Sono anni particolari. Il ’68 è passato e Spirito si è trovato, per la prima volta nella sua lunga vita, isolato dalla cultura “che conta”. Era nato ad Arezzo nel 1896. Lo Spirito giornalista è degno di nota, per stile e contenuto. Discute di aborto e di inquinamento, di conformismo e di futurologia, di divorzio e di minoranze, di parità dei sessi e di rivolta delle carceri, di limiti della scienza e di debolezza della Costituzione: insomma, parla di temi locali, nazionali e internazionali che declina in termini filosofici, sorprendendo per la freschezza e la modernità delle analisi. In particolare Spirito avverte la presenza di un fenomeno, che oggi chiamiamo globalizzazione, che non solo individua trent’anni prima che il concetto diventi cultura diffusa, ma ne prevede limiti e sviluppi con una lucidità impressionante, come testimonia l’articolo qui parzialmente riprodotto.

La raccolta antologica, preceduta da una lunga introduzione con cui tento un bilancio della vita e dell’opera di Spirito, specie di quello attivo tra anni Cinquanta e Settanta, contiene in appendice le interviste a quattro intellettuali, amici, colleghi e allievi del filosofo (Giuseppe Bedeschi, Hervé A. Cavallera, Francesco Perfetti e Antonio Russo) che contribuiscono a completarne il quadro anche da un punto di vista più intimo e personale. Il volume nasce all’interno di una serie di iniziative promosse dalla Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice di Roma per dare seguito alle celebrazioni del quarantesimo anniversario della morte del filosofo.

Si riproduce qui parte di un articolo intitolato Sono tutti ladri, uscito originariamente su «Vita» il 12 gennaio 1978. Sembra scritto oggi.

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Sono tutti ladri 

Questa affermazione pessimistica, che colora l’atteggiamento psicologico di gran parte della società di oggi, può sembrare paradossale, ingiusta e dogmatica. È chiaro che rubano soltanto alcuni e che la moralità caratterizza il fondo della convivenza umana. Eppure la convinzione che il furto domini sempre di più si impone in maniera crescente. Rubano tutti, a tutti i livelli, in alto e in basso. Il furto è diventato la regola. Ma a questo punto nasce una domanda incalzante, perché si vuol sapere quale fondamento abbia tale conclusione e se essa sia davvero testimonianza di una realtà di fatti. Rubano davvero tutti? Non esistono più uomini onesti? […] La risposta precisa è che, sì, rubano tutti. Non c’è più vita morale. Se non che si tratta di una risposta discutibile, nella quale il più e il meno si confondono in modo molto incerto. Chi sono i ladri e che posto essi hanno nella società dei nostri governanti? […] È un’opinione, un’impressione, una tesi da dimostrare o è una constatazione di fatto da illustrare nella sua definizione?

E, anzitutto, chi dice e chi può dire che tutti rubano? Quale fondamento può essere richiamato in proposito? Chi si assume la responsabilità di tale conclusione e qual uso possiamo farne? […] La convinzione che rubano tutti era una volta una voce del popolo. Era l’espressione dell’antistato, sorto da un’esperienza parziale, anche se diffusa. Era il pessimismo, solo in parte giustificato, degli oppressi e degli sfruttati. Era una ribellione classista che proveniva dall’incapacità di difendersi. Ma ora la situazione è cambiata, e la certezza del fatto che siamo circondati dai ladri ha ben altre origini, perché non è più il popolo che parla o non è soltanto il popolo che parla. I veri testimoni sono altri e vanno identificati e compresi.

La prima domanda alla quale occorre rispondere riguarda le persone dei ladri. A quali livelli essi vanno ricercati e quale è la loro personalità. Siamo a un livello inferiore o dobbiamo guardare in alto? La risposta purtroppo non può essere che in rapporto all’alto, al più alto possibile. I veri ladri sono i grandi ladri, anzi i grandissimi ladri, i sommi ladri. Dei supremi rappresentanti sociali non si salva uno. I giornali e le riviste sono impietosi e non risparmiano nessuno. Si comincia con il capo dello Stato e con la sua famiglia, e a poco a poco si scende giù agli ex presidenti del consiglio, ai ministri, ai capi delle grandi banche e delle grandi aziende, ai massimi esponenti delle forze armate, ai capi dei servizi segreti, a tutte le personalità che caratterizzano le classi dirigenti. Sono tutti ladri, e ladri dalle mandibole colossali. Non ci può essere dubbio. […] Se non che a questo punto nasce il quesito più assillante. Se sono tutti ladri, chi li qualifica come tali?

Ebbene, qui la constatazione diventa ossessionante. La qualifica di ladri viene ormai dall’alto. Non è più il popolo a giudicare, ma sono proprio gli stessi governanti. Ministri contro ministri, generali contro generali, deputati e senatori contro i parlamentari di tutti i generi, banchieri contro banchieri, gerarchi contro gerarchi. Tutti accusano tutti e la certezza o almeno il sospetto involgono al di là di ogni prova. Sono tutti ladri e questo non meraviglia più nessuno. Non può essere che così.

È vero che ci sono i colpi di pistola. È vero che ci sono le vittime del terrorismo dilagante, ma tutto diventa l’espressione di una realtà effettiva che trascina tutto e tutti nella condanna più feroce. La denigrazione e la calunnia diventano il pasto comune, e la voluttà che in esse si esprime non ha più confini. Sono tutti ladri. Di fronte a questa evidenza nessuno più si arresta e tutto si estende fino all’esaurimento, in un’atmosfera che ha radici in un si dice che non può essere mai smentito. I grandi tribunali sono in movimento e il popolo non c’entra. Le prime pagine dei giornali hanno caratteri vistosi che vanno al popolo, in un destino che non può più essere contestato.

Naturalmente la verità non può essere soltanto questa. Non è vero che siamo tutti ladri. Ma se dall’alto ci dicono che generali e capi supremi mentiscono, che carabinieri di alto rango vanno in prigione, che funzionari e finanzieri imbrogliano i bilanci, che i miliardi sono diventati entità nebulosa, è chiaro che questa diventa la realtà, anzi l’unica realtà. Dal popolo siamo passati ai dirigenti. Che siano tutti ladri ce lo dicono proprio loro e contro di essi noi non abbiamo nessuna arma di difesa. La nuova voce non può sopportare smentite.

Ora la conclusione che possiamo trarre da queste considerazioni sta diventando ormai terribilmente distruttiva. La crisi è ormai pervenuta al giudizio degli uomini e degli uomini più direttamente dominanti. Se sono tutti ladri, l’espressione massima della degenerazione travolge proprio i grandi responsabili. Non abbiamo più un giudizio di appello.

Certo, non possiamo fare più niente. Il nostro destino non può avere sbocco diverso. E non ci rimane altra risorsa che quella di conoscere sempre di più la realtà nel suo processo dissolutorio. Dall’alto e dal basso l’unica certezza è quella di una concordia disperata.

E allora? L’ultima risposta non può essere che quella che riguarda il futuro. Finirà la crisi e quando finirà? Perché in questa domanda si raccoglie il mistero che ci aspetta. Non abbiamo la possibilità di rispondere perché la risposta non ci appartiene. Ormai siamo giunti a un livello al quale non siamo più in grado di dare un significato. Il mondo della morale è finito.

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