Strage a Baghdad 23 morti e 350 feriti

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Questi disordini dopo il ritiro dalla politica di Al-Sadr – I seguaci del leader sciita assaltano il palazzo presidenziale. Spari nella Zona Verde, colpi di mortaio vicino all’ambasciata Usa: uccisi 23 manifestanti, 350 i feriti. L’esercito impone il coprifuoco in tutto il paese.

AGI – Si aggrava il bilancio delle violenze avvenute a Baghdad: secondo fonti mediche, sono 23 i sostenitori del leader sciita Moqtada al-Sadr rimasti uccisi nella capitale irachena, dopo l’irruzione nella Zona Verde.

Le violenze tra gruppi rivali sono riprese stamane dopo gli scontri di ieri nella capitale irachena, costati finora la vita a 23 sadristi, insieme almeno a 380 feriti. Secondo testimoni, si sono uditi colpi d’arma da fuoco provenire dalla Zona Verde dove si trovano ambasciate ed edifici governativi.

Chi è al-Sadr

Da comandante della feroce resistenza armata sciita contro le truppe americane all’indomani dell’invasione dell’Iraq a leader politico contrario al settarismo e strenuo oppositore della Coordination Framework Alliance legata all’Iran: il 48enne Moqtada al-Sadr, figlio di una delle più famose famiglie di ‘martiri’ del Paese, è da oltre vent’anni una figura centrale in Iraq.

Fervente nazionalista, acceso populista, ha un enorme seguito tra gli sciiti che lo vedono come eroe e paladino contro la corruzione, uno dei suoi principali cavalli di battaglia. Figura nota riprodotta su poster, murales e volantini, Moqtada si mostra sempre con il turbante nero per sottolineare la linea diretta che lega la famiglia a quella del profeta Maometto.

In due decenni le sue posizioni sono cambiate di molto ma, nonostante le fasi alterne, mantiene una posizione centrale con la quale la politica irachena è costretta a fare i conti. Le sue creature politiche da anni partecipano alla gestione del Paese ma, allo stesso tempo, è sostenitore delle proteste anti-governative che hanno portato migliaia di persone, soprattutto giovani, a scendere in piazza contro le condizioni di vita impossibili, la corruzione, la mancanza di lavoro, i servizi inesistenti.

Il suo attivismo è figlio di una sanguinosa storia familiare: il padre, il celebre Grande Ayatollah Mohammed Sadeq Al Sadr, venne ucciso nel 1999 insieme a due fratelli di Moqtada in un agguato imputato alle squadracce di Saddam Hussein, che è valso loro la ‘patente’ di martiri. Quasi vent’anni prima era stato suo suocero, il Grande Ayatollah Mohammed Baqer al-Sadr, a perdere la vita, giustiziato nel 1980 per la sua opposizione al dittatore.

All’arrivo delle truppe americane, Moqtada crea l’esercito del Mahdi, che i soldati Usa imparano a conoscere fin troppo bene, cadendo sotto i colpi di sanguinosi attacchi. Una violenza che negli anni successivi tracima anche in durissimi scontri settari con i sunniti.

Nel 2007 lascia il Paese e si trasferisce in un seminario teologico a Qom, in Iran, sempre mantenendo il polso della situazione e dirigendo i suoi uomini sul campo. Un ‘esiliò volontario che si conclude nel gennaio 2011 dopo aver giocato un ruolo nella nomina di Nouri al-Maliki a premier, che ripaga il suo movimento con una serie di incarichi governativi.

Dopo il ritiro delle truppe Usa, il leader sciita si esprime contro il settarismo e si concentra su un messaggio nazionalistico aperto anche a sunniti, comunisti e liberali. Nel 2014 quando l’Isis irrompe sulla scena, al-Sadr ricostituisce la sua milizia, ribattezzata ‘Brigata della pacè, e non esita a farla combattere al fianco dell’esercito iracheno nella coalizione a guida americana contro l’autoproclamato Califfato.

Nel 2018 il suo movimento Sairoon conquista più seggi di qualunque altra formazione, senza però raggiungere la maggioranza. Iniziale sostenitore di Haider al-Abadi come premier, dopo mesi di stallo si accorda con l’opposizione in favore dell’indipendente Adel Abdul Mahdi. Nonostante i tentativi di insediare un governo che affronti la situazione critica in cui versa l’Iraq, la crisi politica prosegue anche negli anni successivi, punteggiata da dure proteste di piazza, mentre nei palazzi del potere si cerca un’impossibile quadra tra influenze e appetiti.

Le elezioni nell’ottobre 2021 non riescono a modificare il quadro: sebbene i sadristi emergano come la fazione dominante, ottenendo il maggior numero di seggi (73), non raggiungono la maggioranza e non riescono a formare un governo a causa di forti contrasti con i rivali sciiti – sostenuti dall’Iran – del Coordination Framework Alliance.

Il suo addio “definitivo” alla politica – annunciato su Twitter insieme a un duro attacco a coloro che hanno scelto di tenersi la poltrona invece di lavorare per mettere fine allo stallo e attuare le indispensabili riforme – è foriero di nuove tensioni e violenze: migliaia di suoi sostenitori, da un mese accampati fuori dal Parlamento, ieri hanno fatto irruzione nel palazzo della Repubblica e l’esercito ha risposto imponendo il coprifuoco, non solo a Baghdad ma in tutto il Paese. Il bilancio è di almeno 23 morti e 350 feriti.

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