Elezioni e duelli tv, il modello Usa: regole ferree e consensi certificati

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Nessun limite alle candidature, ma per confrontarsi in tv con gli avversari sono necessari alcuni requisiti, come una percentuale di voti certificata e un minimo di donazioni.

più interessante sulla regolamentazione dei dibattiti televisivi riguarda proprio le candidature alle primarie, perché sono quelle in cui ci sono più persone in competizione, protagoniste delle selezioni che porteranno alla scrematura finale.

I dibattiti dei ‘nominati’ per la Casa Bianca sono limitati generalmente a due, massimo tre candidati, se oltre a quello repubblicano e a quello democratico figura un indipendente. Lo stesso vale per i candidati al Congresso o al ruolo di governatore. Le corse sono tra due nomi, condizione minima per avviare un dibattito televisivo.

Le primarie, invece, sono quelle che più si avvicinano alla situazione italiana in cui in campo ci sono più partiti, dunque più leader. Le regole sono state fissate per contrastare il proliferare di candidati alle primarie di partito, soprattutto quelle per scegliere il nominato alla corsa per la Casa Bianca.

Nel 2015 i repubblicani si presentarono in dieci, uno in più dei nove che si erano sfidati per la prima volta in un dibattito televisivo sulla Fox nel 2011. Ognuno aveva avuto massimo nove minuti per poter esporre le proprie posizioni in due ore di diretta, ma niente in confronto ai ventinove che si erano presentati nel 2019 per conquistare la nomination democratica.

Tolto l’inizio, con i candidati divisi in più serate, via via per evitare l’affollamento e l’inutilità del confronto vennero stilate regole di accesso, che avevano trasformato la partecipazione al dibattito televisivo in un contest a eliminazione.

Per esempio, in occasione del dibattito tv che andò in onda, in prima serata, il 19 dicembre 2019, tra i candidati democratici vennero fissate regole di accesso molto stringenti: ognuno dei partecipanti, per conquistarsi il diritto a essere ospitato, doveva raggiungere entro il 12 dicembre almeno 200 mila donatori singoli, e un minimo di ottocento donatori in almeno venti Stati.

Inoltre doveva aver ottenuto almeno il 4% di consensi certificati da quattro autorevoli istituti di sondaggio, o almeno il 6 per cento di consensi in due Stati. Il comitato elettorale che regola l’accesso ai dibattiti aveva stilato un elenco di media e istituti di ricerca accreditati, da cui ricavare i dati necessari per la valutazione dei candidati.

Tra questi l’Associated Press, Abc News/Washington Post, Cbs/YouGov, Cnn, Des Moines Register, Fox News, Monmouth University, National Public Radio, Nbc/Wall Street Journal, New York Times e Quinnipiac University.

Naturalmente non si facevano eccezioni: chi non rientrava nei parametri non poteva partecipare, anche se poteva vantare milioni di dollari di donazioni, o era famoso e talmente ricco da poter fare da solo, come nel caso di Michael Bloomberg, escluso dal dibattito.

I “finalisti” erano stati otto: Joe Biden, Pete Buttigieg, Amy Klobuchar, Bernie Sanders, Tom Steyer, Elizabeth Warren, Kamala Harris e Andrew Yang. Se fossero stati il doppio, sarebbero stati accolti tutti sul palco, nel pieno rispetto di ognuno, ma divisi in due serate per evitare l’effetto “canea”. Problema che, però, considerate le condizioni richieste, non poteva presentarsi.

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