Connessioni di giustizia

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Editoriale di Daniela Piesco Co-direttore Radici

Diseguaglianza e merito, pace e guerra, pena e riparazione, tutti concetti imperniati sulla parola chiave giustizia.

In società attese da una ricostruzione materiale e spirituale, la questione della giustizia riguarda temi di redistribuzione, ma anche criteri di accesso, tra merito, competenze e tutele.

Inoltre nel campo ampio del rapporto tra i popoli,la questione, solleva urgenti e impegnativi interrogativi sul rapporto tra la pace e la guerra.

È in realtà un tema non solo filosofico e politico, ma anche teologico, per eccellenza,invero, il discorso della giustizia interseca il suo rapporto con la legge e la pena, ivi incluse le questioni di riconoscimento.

Infine nuovi soggetti emergono come destinatari e oggetti di giustizia, ponendo il tema del rapporto tra le generazioni.

Giustizia, merito o diseguaglianza?

Esiste una giustizia soprattutto riguardo a distribuzione, accesso, diritti, riconoscimento delle capacità?

No se si evita accuratamente di mettere al cuore del discorso sulla giustizia il principio di rispetto dovuto a ciascuna persona.

È notorio che ,risorsa scarsa o comunque non omologabile, il merito incontra innumerevoli barriere concrete nella sua attuazione, specie in un Paese come l’Italia, che pare sistematicamente non premiarlo, dall’istruzione al lavoro.

Nel punto in cui riconoscimento delle capacità e valorizzazione del merito dovrebbero prendere l’abbrivio per garantire a ciascuna persona la propria fioritura sociale, si individua invece, specificamente nel caso italiano, una grave lesione: il tema della povertà educativa sollecita una riflessione costituzionale, sociale e morale.

Se il merito pare valere come unico criterio per legittimare differenze sociali, le diseguaglianze pongono il tema di cosa sia dovuto a ciascuno in quanto persona.

Il classico tema distributivo, nel quale la virtù dell’equità diviene criterio per assegnare parti uguali tra disuguali, mostrerà come bassi livelli di crescita, innalzamento del debito e aumento delle diseguaglianze costituiscano un circolo vizioso che rischia di diventare il destino storico delle nostre società avanzate.

L’ obiettivo comune della società dei dati dovrebbe essere, invece,quello di “capacitare” le persone, ossia riconoscere il valore che esse producono attraverso il vivere connessi.

La giustizia ha ancora il  proprio fondamento nel diritto?

Beh ,nessun diritto sarebbe efficace senza l’aspirazione di giustizia dei singoli.

Viviamo in una società sempre più complessa: si pensi all’avvento della cosiddetta “globalizzazione” che pare avere spostato dai governi al mercato il vero potere decisionale.

Il mercato è il luogo nel quale, per definizione, i più forti (che non sono necessariamente i migliori e i più meritevoli) prevalgono, diventando così anche il luogo nel quale un valore come quello della uguaglianza formale finisce per dare origine a palesi ingiustizie nella misura in cui il più debole soccombe al di là di quello che è moralmente accettabile.

Rispetto al diritto, occorre capire se esso deve essere meccanismo per legittimare il dominio del più forte, ovvero congegno per provare a correggere le storture del mercato.

A compiere la scelta di cosa debba perseguire il diritto, di quali interessi debba tutelare, devono pensarci i partiti perché il diritto altro non è che lo strumento per attuare delle politiche.

Ma ci sono ancora partiti che si preoccupano dei più deboli?

Pace o guerra?

Il più estremo dei casi è quello nel quale occorre sanare il più radicale dei conflitti, là dove la stessa politica ha ceduto la strada alla guerra.

È un caso estremo che comporta rimedi estremamente impegnativi, perché mentre non esiste riparazione se non nel segno della verità e della giustizia, dunque del riconoscimento dei torti, è altrettanto vero che fare la pace significa trovare un qualche terreno comune.

Mai come in queste settimane ci accorgiamo della sfida morale di questa questione.

Abbiamo visto,amaramente,che una pace giusta differisce da una ‘semplice pace’ presentando una prospettiva moralmente esigente, nella quale le istanze della pace e della giustizia possono apparire anche modicamente incompatibili, il che pone la questione di trovare forme di mediazione plausibili ed eticamente sostenibili.

Pur ribadendo che la pace e la guerra, siano concetti sempre costituiti come una questione di parola e di discorso bisogna riconoscere la pervasività sociale di modelli di crudeltà che alimentano la seduzione della violenza.

La giustizia e’ ancora una passione dell’animo umano?

Al fondo di ogni questione di giustizia stanno comunque le passioni, le emozioni e i sentimenti culturalmente costruiti che generano un’attivazione morale e che costituiscono per esempio la prima risposta al riconoscimento dell’esistenza delle ingiustizie.

Nessuna passione è tuttavia univoca, perché complesso, sfumato ambivalente è lo stesso paradigma primario di riconoscimento sociale .

Analoga ambivalenza è rintracciabile nella stessa empatia, che indica un contatto emotivo non sempre e non necessariamente altruistico e pacifico.

Passione fremente e turbinosa, la giustizia è sempre una contesa, che scaturisce da sentimenti reattivi e potenti come quelli dell’indignazione.

Ad esempio il motore della rabbia attiva lo sdegno, in una società fondata sul sensazionalismo e sul deperimento del valore etico delle immagini..

Se le passioni di giustizia attivano il cambiamento, la prospettiva del futuro ne è il principale campo di realizzazione.

In una dimensione che connette la salvaguardia del pianeta e il futuro delle generazioni, la discussione sociale, civile e politica /costituzionale deve porsi il tema degli obblighi e delle reciprocità che occorre stipulare nei confronti della nostra specie e della stessa biodiversità.

Occorrerebbe contrastare la “tirannia del presente” esattamente come in un passato classico si contrastava la “tirannia della maggioranza” per far cessare i “crimini di sistema”, ossia le gravi catastrofi sistemiche la cui responsabilità sfugge alla semplice logica penale, costituendo tuttavia «violazioni massicce dei diritti fondamentali» in relazione alla salvaguardia di beni fondamentali.

Daniela Piesco Co-direttore Radici

Redazione Corriere Nazionale

Redazione Stampa Parlamento

Redazione Corriere di Puglia e Lucania 

pH Micha Franke

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