Che cosa sappiamo e che cosa non torna del caso Dugina

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Nessuna pista di quelle avanzate sull’attentato in cui ha perso la vita la figlia di Aleskandr Dugin, Daria, appare credibile e il coinvolgimento ucraino non è del tutto implausibile.

di Marta Allevato

AGI – Ogni nuova affermazione sull’attacco che ha ucciso la giornalista e figlia dell’ideologo ultraconservatore Aleskandr Dugin, Daria, sembra sollevare più domande che risposte. Nella Russia di Putin, tanto più in guerra totale con l’Occidente, il rischio di strumentalizzazioni, depistaggi insabbiamenti è una certezza.

I Dugin e i loro rapporti

Daria Dugina non era una personalità particolarmente in vista in Russia e in nessun modo aveva influenza sugli organi decisionali del Paese, ma stava facendo una carriera da giornalista e opinionista sulla scia del più celebre padre promuovendo un progetto molto reazionario di integrazione euroasiatica della Russia e che puntava all’annientamento dell’Ucraina come Stato indipendente.

Il padre – ben lontano dall’essere l’ideologo di Putin con cui non ha rapporti personali – è, però, tra gli esponenti dell’idea del ‘mondo russo’ e della ‘Novorossiya’ alla base della giustificazione ideologica dell’invasione dell’Ucraina.

Caso Dugina cosa sappiamo attentato
Alessandro Dugin 

Ma soprattutto Dugin è molto vicino all’oligarca ortodosso-monarchico Kostantin Malofeev, fondatore della tv Tsargrad, e ritenuto tra i finanziatori del conflitto in Donbass. Dugin aveva, negli ultimi tempi, una linea molto critica nei confronti del Cremlino.

In un recente post su Telegram ha scritto che “la disperata resistenza del regime atlanto-nazista a Kiev richiede significative, cardinali, trasformazioni interne dalla Russia” e aveva previsto a ottobre un cambiamento.

A causa del deterioramento della situazione al fronte, la frase di Putin “non abbiamo ancora iniziato” sta perdendo rilevanza ed “è ora di iniziare”, ammonisce. Rimprovera Putin per aver cercato di governare come se non ci fosse la guerra.

La sua posizione si rispecchia in quell’ala dei siloviki che chiedono la mobilitazione generale e il totalitarismo per “opporsi all’Occidente euro-atlantico”, con o senza Putin.

Dinamica dell’attentato e responsabilità di Kiev

Non è ancora chiaro se l’obiettivo dell’autobomba fosse Daria o il più noto padre che all’ultimo non è salito in auto con la figlia. La ricostruzione fornita dall’Fsb sembra accreditare la seconda ipotesi in quanto la presunta killer – la cittadina ucraina Natalya Pavlovna Vovk, anche membro del Battaglione Azov – avrebbe affittato un appartamento nello stesso stabile di Dugina per studiarne i movimenti. Sia Kiev che Azov hanno smentito ogni coinvolgimento.

L’ordigno azionato a distanza era posizionato sotto il sedile del guidatore ed aveva una carica tale da far pensare che lo scopo fosse uccidere. Probabilmente è stato piazzato mentre l’auto (una Toyota Land Cruise Prado) era nel parcheggio del parco museo Pushkin a Zakharovo dove i Dugin partecipavano al festival ‘Tradizione’, ma le telecamere di sorveglianza erano spente da due settimane.

Dopo l’attentato, Vovk e sua figlia sono partite per l’Estonia attraverso la regione di Pskov. Questa versione in cui anche un solo sicario ma già nelle liste di Azov e quindi in teoria attenzionato dai servizi possa muoversi per settimane indisturbato su suolo russo e per di più riuscendo a fuggire fa dubitare dell’efficienza dell’intelligence russa in un momento in cui l’attenzione dovrebbe essere massima.

Anche i tempi record con cui il caso è stato dichiarato chiuso destano sospetti: la Russia ha decine di casi irrisolti che riguardano l’omicidio di oppositori politici. Mosca ha detto di volere l’estradizione di Vovk, ma al momento Tallin sostiene di non aver ricevuto domanda ufficiale.

Nonostante l’Fsb non sia nuovo a operazioni false flag, la pista ucraina non è del tutto improbabile: la morte di Dugina arriva mentre gli ucraini hanno alzato il tiro sul campo colpendo anche la Crimea, per la prima volta dall’invasione di febbraio e non è escluso che ci sia chi nei servizi ucrini ama pensare in grande.

Anche se Dugin non è influente sulle scelte politiche del Cremlino ma non c’è dubbio che abbia un alto riconoscimento sia in Russia che in Occidente, e ha fatto frequenti appelli alla violenza contro Ucraina e ucraini.

Se il calcolo era colpire un obiettivo di alto profilo ma ragionevolmente vulnerabile perché senza scorta, Dugin non sarebbe una scelta illogica, sempre che fosse però lui il reale obiettivo.

L’unica rivendicazione

Poco dopo l’attentato c’era stata una rivendicazione dell’autobomba, da parte dell’Esercito repubblicano nazionale, un neonato gruppo partigiano russo che ha pubblicato un manifesto che invita a rovesciare l'”usurpatore” Putin e chiede ai russi di unirsi nella lotta.

Ad annunciare la nascita del gruppo di resistenza è stato l’ex deputato russo fuggito da anni a Kiev, Ilya Ponomarev, su cui però la stessa opposizione all’estero ha nutrito subito dei dubbi. Ponomarev da tempo cerca di organizzare una resistanza dall’esterno ma al momento i suoi tentativi non avevano avuto successo se non online.

Gli appelli a una linea più dura contro Kiev

Una delle certezze è che l’omicidio Dugina sta alimentando le richieste del partito della guerra che preme per una linea più dura in Ucraina. All’indomani dell’attentato, il leader dei separatisti di Donetsk, Dens Pushilin, ha puntato il dito contro i “terroristi di Kiev”.

La portavoce del ministero degli Esteri di Mosca, Maria Zakharova, ha avvertito che se la pista ucraina verrà accertata si tratterà di “terrorismo di Stato”. Media e figure politiche russe hanno tenuto il profilo basso fino a quando non è uscita la versione dell’Fsb che incolpa i servizi ucraini.

Putin ha denunciato il “crimine vile, crudele”, facendo le sue condoglianze mentre lo stesso Dugin ha chiesto “non semplice vendetta ma la Vittoria” nella guerra contro l’Ucraina. Intanto c’e’ chi ha iniziato a chiedere sui canali della propaganda la chiusura di realta’ come il Centro Eltsin a Ekaterinburg da tempo nel mirino delle autorità.

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