Le elezioni generali in Kenya segnate dal carovita e dalla siccità

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Per la successione al presidente Uhuru Kenyatta concorrono il vice presidente William Ruto e il suo grande rivale, l’ex primo ministro Raila Odinga. Sul voto si allunga l’ombra delle violenze politiche che in passato hanno più volte fatto sprofondare il Paese del Corno d’Africa nel caos.

di Veronique Viriglio

© Tony KARUMBA / Afp
– Liste dei seggi elettorali in Kenya

AGI – In un clima di forte tensione politica, carovita e siccità, domani 22,1 milioni di elettori, in Kenya, andranno alle urne per le elezioni generali, tra cui le presidenziali: un braccio di ferro tra titani della politica keniana, ovvero il vice presidente William Ruto e il suo grande rivale, l’ex primo ministro Raila Odinga.
Il vincitore succederà al presidente Uhuru Kenyatta, al potere dal 2013, al suo secondo e ultimo mandato. Sempre domani gli aventi diritto eleggeranno anche parlamentari, governatori e assemblee legislative delle 47 contee che formano il Kenya, Paese chiave anche per l’Occidente, nell’instabile regione del Corno d’Africa, sesta potenza economica del continente, con 53,7 milioni di abitanti.

Come ad ogni appuntamento elettorale, sul voto si allunga l’ombra delle violenze politiche che in passato hanno più volte fatto sprofondare il Paese del Corno d’Africa nel caos, causando migliaia di morti civili e centinaia di migliaia di sfollati.

A questa tornata, la sfida ancora più grande riguarda la sopravvivenza stessa di 18 milioni di keniani in situazione di estrema carestia – causa diretta della peggior siccita’ degli ultimi 40 anni – in un contesto già segnato dalla pandemia di Covid-19 e dalla guerra in Ucraina, che provoca un forte rincaro dei prezzi, mentre la disoccupazione è alle stelle.

A guidare gli ultimi sondaggi è l’ex premier Odinga, 77 anni, di etnia Luo, capofila dell’opposizione, premier dal 2008 al 2013, al suo quinto e probabilmente ultimo tentativo di conquistare la presidenza, ma questa volta è sostenuto da un alleato inaspettato, il suo ex rivale politico, il presidente uscente Kenyatta, della principale etnia, quella Kikuyu.

In realtà è dalla simbolica stretta di mano tra i due – nel 2018 dopo le convulse elezioni dell’anno prima – che i volti simbolo della politica keniana hanno appianato le proprie divergenze, dando vita ad una storica alleanza, anche etnica.

Odinga si presenta come leader della coalizione di opposizione Umoja, Aspirazione all’Unità in lingua swahili, alle spalle un lunghissimo percorso politico che affonda le radici nella sua famiglia: il padre Jaramogi Oginga Odinga è stato il primo ministro del governo di Jomo Kenyatta, primo presidente del Kenya indipendente e padre dell’attuale capo di Stato.

Elemento di novità dalla parte di Odinga è la scelta di Martha Karua, ex ministro della giustizia e politico di lunga data, come candidata alla vicepresidenza, che se eletta sarebbe la prima donna a ricoprire la carica in Kenya. Anche Karua viene dalla regione del Monte Kenya, dove pero’ non avrebbe tanta influenza, ma la sua candidatura ha dato una spinta alla campagna di Odinga tra gli altri gruppi demografici degli elettori, tra cui donne, societa’ civile, kenioti urbani e istruiti. Di fronte a lui Ruto, 55 anni, di etnia Kalenji, a capo della coalizione Kenya Kwanza – Kenya al primo posto – è convinto di poter guadagnare voti tra i poveri, contro Odinga, sempre qualificato come “candidato dell’establishment”.

La retorica della campagna elettorale di Ruto, forte del successo del presidente uscente a due elezioni consecutive, è stata quella di presentare l’appuntamento di domani come una sua personale lotta contro gli “imbroglioni” e le “dinastie politiche” dei Kenyatta e degli Odinga, lui che da ragazzo è stato un ex venditore ambulante poi diventato uno dei politici più ricchi del Paese.

In uno shock frontale, i due principali contendenti si sono accusati di corruzione, una piaga endemica in Kenya, dove ogni giorno in media circa “16,5 milioni di euro vengono derubati dalle casse dello Stato” come denunciato dal presidente uscente Kenyatta. Alcuni legislatori hanno etichettato Ruto di “aver provocato”, argomentando che sta alimentando le tensioni di classe e pericolose divisioni in un Paese con disuguaglianze estremamente marcate.

In una campagna elettorale incentrata sulle preoccupazioni economiche, non sono mancate le proposte populiste per guadagnare consensi di una popolazione allo stremo delle forze.

Grazie ad una campagna di messaggistica “dal basso”, Ruto ha guadagnato terreno tra i proprietari di piccole imprese, di bancarelle e i tassisti di motociclette, con un modello che si impegna a responsabilizzare coloro che si trovano in fondo alla piramide economica, fornendo tra le altre cose un apposito “Fondo Hustler” da circa 410 milioni di euro per sostenerle.

Da parte sua Odinga ha proposto un piano di assistenza sanitaria per tutti, chiamato BabaCare, promettendo un assegno mensile di circa 47 euro ad ogni famiglia vulnerabile, come forma di protezione sociale.

Alla fine il faccia a faccia di domani si preannuncia come una gara molto combattuta e dall’esito incerto: grazie all’alleanza con Kenyatta e quindi la conquista di una parte del voto Kikuyu, per la prima volta Odinga potrebbe uscire vittorioso già’ dal primo turno – evitando il ballottaggio – anche se, secondo gli analisti, e’ concreto il rischio che non ottenga la maggioranza assoluta in Parlamento.

Per diversi osservatori non è sicuro che il sodalizio possa colmare una divisione etnica lunga decenni. Inoltre, come già accaduto in diverse precedenti elezioni generali, in particolare quelle del 2007, il verdetto delle urne potrebbe essere contestato, soprattutto se il voto non dovesse risultare trasparente e libero. Di conseguenza si temono focolai di violenza nei bastioni elettorali dei due principali contendenti, ovvero la Valle de Rift e del Monte Kenya per Ruto e il resto del Paese per Odinga.

Al di là della mappa delle alleanze etniche, da sempre determinanti nella corsa alla presidenza, la campagna elettorale è stata dominata dalle difficoltà economiche sempre più eclatanti – dal carovita alla disoccupazione – che in qualche modo hanno obbligato i candidati ad inserire la tematica nella propria agenda.

“Niente cibo niente elezione” sono insorti le popolazioni delle grandi città del Kenya che minacciano di boicottare le urne se i prezzi dei beni essenziali, dal cibo al carburante, non dovessero diminuire. “La classe politica ha dovuto fare un passo avanti dopo aver riconosciuto che questa volta non si trattera’ solo di balcanizzazione etnica.

L’economia è un pilastro molto importante in queste elezioni e potrebbe essere un punto di svolta”, ha riferito al Guardian l’economista keniota Ken Gichinga.

I prezzi dei generi alimentari sono saliti alle stelle, conseguenza diretta delle interruzioni globali della catena di approvvigionamento alimentare causate dalla pandemia e dalla guerra tra Russia e Ucraina.

Sui kenioti grava anche il peso maggiore del crescente debito pubblico, di oltre 70 milioni di euro, attraverso i beni tassati.

“I kenioti sono stati devastati dalle condizioni economiche che fanno credere a molti di loro che le loro vite migliori siano dietro di loro”, ha sottolineato Gichinga. Secondo un sondaggio Gallup, nel 2021 almeno 7 kenioti su 10 sono stati alle prese con l’insicurezza alimentare.

Dati diffusi da fonti umanitarie locali ed internazionali hanno riferito che in Kenya la carestia riguarda almeno 4 milioni di persone: le regioni desertiche del Nord senza pioggia da 3 anni, una siccità estrema nella regione del Corno d’Africa, la peggiore degli ultimi 40 anni, che ha causato 18 milioni di affamati. Tuttavia siccità e cambiamenti climatici sono stati i grandi assenti dall’agenda dei candidati, invece incentrata sul carovita.

I remoti villaggi delle contee settentrionali, tra cui quella di Marsabit, sono ormai terre desolate, con fiumi prosciugati e oltre 1,5 milione di capi di bestiame già morti di stenti.

Le elezioni generali in Kenya sono altrettanto cruciali per l’intera regione del Corno d’Africa, flagellata dalla guerra civile in Etiopia e dall’instabilità cronica della Somalia. A seguire da vicino il voto di domani e’ la comunita’ internazionale che considera il Kenya come un’oasi di stabilità in quella parte strategica di continente.

“Il Kenya è un modello di stabilità in una regione molto conflittuale. Il Paese è un socio strategico per l’Unione europea” ha dichiarato Josep Borrell, Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, nel corso della sua ultima visita a Nairobi. In una recente telefonata al presidente uscente Kenyatta, il segretario di Stato Usa Anthony Blinken ha sottolineato “l’importanza di elezioni libere e imparziali” considerato “l’interesse strategico del Kenya” per Washington.

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