I genitori di Archie lo porterebbero in Italia per non farlo morire

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I genitori di Archie si rivolgono alla Cedu per non far staccare la spina: “Potremmo portarlo in Italia”  Fiato sospeso nel Regno Unito per la sorte del piccolo Archie, in coma da aprile quando è stato trovato in casa privo di sensi con una corda legata intorno alla testa probabilmente vittima di una sfida sui social network.

di Nuccia Bianchini

© FREDERICK FLORIN / AFP
– La Corte europea dei diritti dell’uomo

 

AGI – “Potremmo andare in Giappone, in Italia”: la mamma di Archie non vuole gettare la spugna, anzi promette di lottare fino alla fine e assicura che alcuni medici, in Italia, le hanno già offerto aiuto.

Da settimane la Gran Bretagna segue con il fiato sospeso la sorte del piccolo Archie Battersbee.

Il volto angelico e i capelli biondi, Archie era un ragazzino vivace come tanti altri. Ma è in coma da aprile, quando è stato rinvenuto in casa privo di sensi: lo ha trovato la madre, riverso a terra, con una corda legata intorno alla testa, vittima -secondo lei- di un gioco perverso finito male, probabilmente incappato in qualche tipo di incidente mentre partecipava a una sfida, diventata virale, sui social network.

Per i medici Archie è in stato di morte cerebrale e occorre staccare la spina. Ma la famiglia dice che si può portare all’estero: che medici in Italia oltreché in Giappone si sono offerti di curare il ragazzino con “alte percentuali di successo”: “Ci sono altri Paesi che vogliono curarlo e penso che dovrebbe essere autorizzato ad andare”.

Per ora una serie di sentenze di tribunali britannici hanno scandito una sentenza diversa: sostengono che è “nel miglior interesse” del ragazzino che le cure vengano sospese.

Lunedì una Corte d’Appello ha respinto il rinvio oltre martedì della sospensione del supporto vitale: il governo aveva chiesto alla corte di valutare la richiesta al Comitato Onu sui diritti delle persone con disabilità di mantenere i meccanismi di respirazione assistita e alimentazione forzata in attesa della valutazione del loro caso.

Ma un giudice, pur “con il cuore pesante”, ha sostenuto che la Carta dei Diritti su cui si basa il Comitato “non fa parte della legge del Regno Unito” e che non sarebbe “appropriato” incorporarla nelle decisioni giudiziarie britanniche.

La madre dunque ha fatto un ultimo, disperato tentativo: ha presentato una richiesta al tribunale europeo per i diritti umani nel tentativo di impedire ai medici di sospendere le cure del ragazzo.

Gli avvocati della coppia hanno spiegato di aver presentato la domanda poco prima della scadenza delle 9:00 fissata dai medici del Barts Health NHS Trust, a Londra: i medici avevano detto alla famiglia che avrebbero sospeso le cure alle 11:00 se non avessero ricevuto la conferma che era stata presentata una richiesta alla corte di Strasburgo (Cedu) entro le 09:00.

“Siamo molto sollevati. Dobbiamo combattere ogni decisione dell’ospedale. Ora speriamo e preghiamo che la Cedu valuti favorevolmente la nostra richiesta. Non ci arrenderemo per Archie, fino alla fine. Ho promesso ad Archie, e anche suo padre, che combatteremo fino alla fine. Ed è esattamente quello che faremo. Combatteremo per il diritto alla vita di mio figlio”.

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