Le troppe DO e il paradosso del vino

Economia & Finanza

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Le vendite del vino crescono fino all’11% rispetto al 2021 ma il settore è monopolizzato dai marchi DO. E intanto l’enoturismo arriva a rappresentare il 7% del fatturato delle aziende.

di Alberto Ferrigolo

©  Arco Digital Images / AGF – vigneto – vendemmia (AGF)

 

Lo si potrebbe definire “il paradosso del vino”. Le vendite tengono, anzi nel 2021 rispetto all’anno prima crescono di un 11% e sul 2019 addirittura del 12.

Non ci credono e sono sorpresi pure gli stessi viticoltori. Eppure, dati e bilanci positivi a parte, ci sono ance punti di criticità che consigliano, ad esempi, di dare una “sforbiciata” alle troppe denominazioni d’origine (le Do), le quali monopolizzano e concentrano valore solo su alcune di queste.

Secondo alcune stime, ad esempio, le prime 50 denominazioni coprono il 95% del valore economico complessivo mentre le ultime 100 solo lo 0,47.

Questo divario fa sì che solo alcune decine di denominazioni hanno in verità un ruolo da protagoniste, mentre il resto ha solo un ruolo marginale. E si invocano correzioni al sistema delle valutazioni e delle aggregazioni Do.

Nel senso che per taluni 526 denominazioni “sono troppe”. Si pensa pertanto di costituire delle “sottozone” per consentire maggiori aggregazioni senza che venga annullato il valore delle singole etichette.

Discorso che potrebbe valere anche per i Consorzi, dove i più piccoli rischiano di risultare penalizzati nel proprio percorso. Quindi? La soluzione potrebbe essere quella di mettere insieme tante denominazioni senza però compromettere la loro autonomia, l’identità e il carattere distintivo.

Anche se, tuttavia, secondo i calcoli l’imbottigliato certificato da Valoritalia sfiora i 10 miliardi di euro.

Nulla di certo e di definitivo, ma è una discussione che intanto si è cominciata ad avviare. Come se la ricchezza produttiva e il successo del nostro territorio fosse allo stesso tempo anche il suo limite.

Quindi meno Denominazioni d’origine e anche meno consorzi, a vantaggio di soluzioni più ampie e inclusive?, è l’interrogativo di fondo che emerge da un dibattito sottotraccia.

Enoturismo, è l’ora di un osservatorio permanente

L’attenzione al comparto del vino è particolare in quanto il settore è determinante. Per il semplice fatto che si calcola che il settore degli “arrivi” legati all’enoturismo valga oggi il 7% del fatturato aziendale.

Ciò che spinge in molti a sollecitare l’istituzione di un “Osservatorio permanente” sull’enoturismo, in cui promozione, comunicazione, formazione, digitalizzazione e monitoraggio siano le parole chiave per una funzione primaria a sostegno del settore.

Secondo molti osservatori, infatti, il 7% è un dato che si trasforma nel doppio per quelle aziende più piccole con un fatturato minore di 2 milioni di euro, a dimostrazione di come le attività turistiche siano fondamentali soprattutto per le Piccole e media imprese, le Pmi, In effetti, l’analisi dei dati – secondo uno studio di Wine Monitor Nomisma – rivela come oltre 9 cantine su 10 (92%) ormai offrano anche accoglienza enoturistica, tant’è che di queste il 74% lo fa durante tutti e dodici i mesi dell’anno, mentre il 18 privilegia solo alcuni periodi, ripartiti tra le tre diverse quattro differenti stagioni (primavera, estate e autunno).

Quanto all’8% che non propone alcuna attività enoturistica nel corso dell’anno, la motivazione addotta in genere riguarda la mancanza delle possibilità offerte dalla struttura (58%) oppure la mancanza di personale adeguatamente qualificato (17).

Mentre per quanto le imprese medio grandi, i punti deficitari riguardano la mancanza principale riguarda personale che sappia parlare le lingue straniere (33%), oppure disponibile a lavorare nel week-end (27%) e con competenze tecniche sul vino (24%).

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