Intervista ad un architetto pittore: Luca Sturolo

Arte, Cultura & Società

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Dal recupero di un’estetica del sacro alla declinazione sociale dell’arte. La “sociatria” è una chimera? “Less is more”…

Note sull’artista.

Luca Sturolo, nato a Genova, diplomato al Liceo Artistico “N. Barabino” e laureato in architettura, fin dai primi lavori concentra l’attenzione sulle relazioni tra pittura, fotografia, lo spazio costruito, l’ambiente e il paesaggio.

Ha svolto collaborazioni con la Facoltà di Architettura di Genova, Palazzo Ducale e Camera di Commercio di Genova, la Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Genova, la Fondazione Antonio Mazzotta di Milano, il Comune di Pisa, il Centro Studi Giorgio Morandi e varie associazioni culturali, progettando e realizzando allestimenti e mostre.

Ha pubblicato, in collaborazione con l’Associazione Culturale Arte Bruna Solinas, il volume “Visioni per Genova, disegni di grandi architetti – Il racconto di una mostra”, catalogo dell’omonima esposizione a tenutasi nel 2016 a Palazzo Ducale e alcuni testi per le riviste “Zeta” e “Arte del XXI secolo”.

Ha curato due pubblicazioni degli studenti del Liceo Emiliani di Genova Nervi “G.E.N.O.V.A.” e “Storia di T”.

Sue opere sono presenti in collezioni private in Italia, Germania, Olanda, Svizzera, Stati Uniti, Francia.

Nel 2022, in collaborazione con il pittore Giovanni Gronchi, ha realizzato due cicli pittorici: “Sequenza Energos I – X”, in esposizione presso Ansaldo Energia a Genova Campi, e “La Molteplicità del Sacro – Voci e figure dal Libro dell’Apocalisse”.

Sempre nel 2022 ha curato l’evento “Giorgio Morandi – La poesia dello spazio”, conferenza di Marilena Pasquali, presidente del Centro Studi Giorgio Morandi.

Premessa.

Ha assunto quasi il tono di una sfida fare un’intervista ad un artista come Luca Sturolo, la cui attività artistica sin dalla gioventù si caratterizza sia per la vastità degli interessi, sia per la straordinaria varietà di risultati raggiunti.

Architetto pittore, anzi in ordine cronologico il contrario, le sue due formazioni, quella appunto artistica e quella tecnica, si fondono con una sintesi evidente, dando spazio alla percezione visiva, che viene tradotta dall’artista in forme calibrate esaltanti il movimento creativo.

La sua è una tensione continua, che nei suoi più recenti e fecondi anni pare aver prediletto molteplici questioni e interrogativi che scaturiscono dal sacro e trovano nella dimensione estetica e artistica, fin dalle origini del pensiero, uno dei propri luoghi privilegiati.

Le prospettive ermeneutiche individuali che vengono alla luce in questo caso racchiudono le tematiche fondamentali del recupero di una “estetica del sacro”, territorio d’indagine filosofica solo in parte accostabile a una estetica teologica, dovendosi oggigiorno ampliare al tema del perseguimento del bene anche per altre vie esistenziali e sociali.

D’altro canto, anche nell’arte o con l’arte, non potrebbe palesarsi l’ipotesi che Pedro Reyes [i] , seguito in Italia da Ivan Cuvato [ii] – non negando per onestà intellettuale la paternità del termine, in quel campo comunque attinente la creatività che è lo psicodramma, a Jacob Levi Moreno [iii] -, definisce “sociatria” (“l’arte o la scienza di curare la società”)?

Da qui, essa potrebbe rappresentare una prospettiva attraverso la quale produrre uno sfogo di verità, offrire cibo per la mente, rieducare o, quantomeno, mostrare una via di scampo, un intervallo necessario a scongiurare il crescente e pericoloso collasso dei cervelli, a ritrovare un rispetto fisiologico, un nuovo contatto con il proprio corpo e con il corpo, più ampio, dell’umanità.

Eppure, Sturolo pare sfuggire ad una siffatta idea di “sociatria”: a suo dire è, se non una chimera, un “progetto” non a sufficienza chiaro e concreto. In tal senso, forse si appella singolarmente all’essenzialità dell’imperativo “Less is more”[iv], che in ambito architettonico tanto ha fatto scuola. Ma l’architetto in lui non ha mai vinto il pittore….


Intervista.

D: Luca, l’arte può rappresentare una cura dei mali di questo mondo corrotto?

R: L’arte non trasmette messaggi ma sensazioni. La sola cosa che mi sento di aggiungere è che l’arte – da sempre – si rivolge agli individui, non alla massa. Più individui raggiunge – nelle pieghe della loro anima – più l’arte è grande.

D: Mi sembra, guardando le tue opere, che per te la vera arte preveda un codice d’onore, per il quale il messaggio sotteso alla propria opera vale per l’artista con lo stesso senso sacro della parola data. È vero?

R: Senza il senso del Sacro non esiste arte.

D: Non trovi che, specie oggi, l’arte sia una risposta concreta alle tante parole vuote di larga parte di intellettuali e politici?

R: L’arte non ha alcuna relazione con la politica, (nonostante i politici). Appartiene al tempo ed è fuori dal tempo. “L’arte per la massa” o “di massa” appartiene solo alla propaganda di regime (indipendentemente dal colore politico); nulla di più.

D: La tua è un’arte vissuta a tutto tondo, è un processo di creazione continua, instancabile, quotidiana. Ma dalle tue parole, pervengo alla conclusione che escludi la possibilità di una declinazione sociale dell’arte. Pertanto, ogni eventuale tentativo di “sociatria” da parte di artisti, performers più che altro a questo punto, resterebbe un caso individuale ed isolato di militanza o denuncia, non riconducibile alla semantica artistica più autentica, che cerca il sacro. Sbaglio?

R: Antonio, il ruolo “sociale” dell’arte si è ridotto oramai a un fatto puramente pubblicitario, superficiale ed edonistico nel senso peggiore dei termini, riconducibile a una serie di pratiche “usa e getta”, per cui non vedo – almeno a certi livelli – il minimo segnale di un cambiamento di rotta.

L’alternativa che citi, se ho capito bene, è una pratica dell’arte come “cura sociale” di cui francamente non vedo tracce concrete. Poi, tu parli di “un caso individuale e isolato di militanza o denuncia”: beh, se ti riferisci a me in particolare, posso solo dirti che la mia ambizione è arrivare ad essere un bravo artigiano (perché si è sempre artigiani, in questo campo) e non un “artista” – termine, quest’ultimo, che andrebbe usato con molta cautela e mai riferito a chicchessia di “contemporaneo”.

Dopodiché, in termini generali, l’arte da sempre è stata creata da individui isolati (compresi quelli riconducibili ai “movimenti” del XIX-XX secolo) e soprattutto il rapporto con il Sacro resta problema individuale, che parte da una singola visione per poi irradiarsi verso una dimensione più ampia.

Comunque, non vorrei essere stato frainteso: l’idea di “sociatria” può diventare interessante, ma la cosa va portata su un piano di realtà, cominciando con l’evitare facili confusioni – per chi legge o leggerà – con l’arte-terapia e altre pratiche.

D: D’altra parte, ci siamo spinti su questo declivio perché costituisce tema attuale di dibattito. Chi, come te, nell’arte ricerca la sacralità, riponendovi un anelito di salvazione, non potrebbe ragguardevolmente abbracciare tale idea, non relegandosi così al piano dell’autocatarsi?

R: Posso partecipare volentieri a un “progetto” che esprime un’idea di civiltà, ma le idee hanno un senso solo quando prendono forma in qualcosa di concreto, ovvero quando si trasformano in azioni e opere; altrimenti vengono relegate tra le teorie sociali (tutte più o meno valide fino al momento del loro confronto con la realtà) o tra gli “astratti furori”.

D: Si tratta innanzitutto di cercare di comprendere. Forse, per i tuoi gusti c’è troppa filosofia dietro a tali ragionamenti. Sorge un dubbio di fondo. Inoltrandosi con l’arte in campo sociale, affidarsi ad un termine che richiama esplicitamente la cura della società implica che la stessa debba necessariamente aver bisogno di essere curata, come non è per forza detto che sia. In tal senso, può venir assai meno tale termine, perché esso – come tu mi pare che sostenga – poco implica in generale gli aspetti dell’azione o dell’opera sociale, in un orizzonte di significato universalmente più consistente (che comprende il tutto, non solo la cura).

R: Più che filosofia (che, come sappiamo, significa amicizia – o amore – per la saggezza e il sapere) mi sembra che ci sia poca chiarezza in questo progetto, a cominciare dalla sua esposizione – diciamo così – teorica.

Penso sia necessaria più semplicità.

Semplicità di pensiero e, di conseguenza, semplicità di linguaggio.

D: Quale progetto intendi? La “sociatria”?

R: Sì. Non sono affatto un teorico, ma trovo che dire le cose semplicemente, linearmente sia già un bel passo avanti.

D: Interessante. Chi maneggia la penna per creare e chi maneggia i pennelli. La dialettica deve fare i conti con questa diversità. Anzi, forse chi dipinge non prevede nemmeno una dialettica?

R: Chi dipinge prevede la dialettica eccome; solo che la forma d’espressione non è quella accademica, perché necessariamente va più sul concreto.

E qui mi fermo davvero.

Less is more” ha detto qualcuno che stupido non era, tanti anni fa…

Note:

[i] Pedro Reyes è un artista messicano. Usa scultura, architettura, video, performance e partecipazione. Le sue opere mirano ad aumentare l’agenzia individuale o collettiva in situazioni sociali, ambientali, politiche o educative.

[ii] Ivan Cuvato, il “maestro dell’Informale”, ceramista e pittore di Albisola (SV), non solo noto per le sue opere, ma anche per le sue performance che sono spesso politiche, non sembrando essere propaganda ideologica o religiosa, per assumere valore di “sociatria”.

[iii] Jacob Levi Moreno, è stato lo psichiatra rumeno, naturalizzato austriaco e statunitense, creatore dello psicodramma, del sociodramma, della sociometria, che ne diede una prima definizione, come «cura della società attraverso il gruppo».

[iv] Less is more – tradotto dall’inglese come meno è più (ossia il meno è meglio) – è una frase dell’architetto tedesco Ludwig Mies van der Rohe.

 

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