Eugenio Scalfari,danza leggera l’anima dell’Ircocervo

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Di Daniela Piesco Co-Direttore Radici 

Restava a danzare leggera l’anima dell’Ircocervo, «che, come tutti gli animali mitologici, ha una stranissima proprietà: ogni volta che gli tagliano la testa, quella testa rinasce di nuovo», aveva scritto Eugenio Scalfari nel momento più difficile, quando aveva dovuto difendere la sua creatura, il suo giornale. «Chissà come andrà questa volta».

Sì, chissà come andrà.

Eugenio Scalfari ci lascia in una  data che ha scritto la storia dell’uomo,come tutti ben sapete, infatti, nel 1789 la Rivoluzione francese raggiunse il culmine con la Presa della Bastiglia.Aveva 98 anni. È stata ‘la Repubblica‘, il quotidiano da lui fondato nel 1976 a darne notizia, con una grande foto di apertura accompagnata da un ‘Ciao Direttore

Di lui indubbiamente si ricorda che volesse  pezzi “d’autore”. Repubblica doveva essere un quotidiano d’opinione, e quindi i contenuti politici di un articolo dovevano essere chiari, ma contavano soprattutto l’approccio alla realtà e il linguaggio preferibilmente asciutto, senza troppi fronzoli e colore. Era per uno stile diretto, narrativo. Esecrava le allusioni e amava la cronaca anche in politica, in cultura, perfino in economia.

Dell’Italia a cavallo dei due secoli la Repubblica di Scalfari è stata un potente fattore di modernità. Il foglio di una generazione che voleva partecipare e contare. Con un’idea di giornalismo non subalterno ad altri poteri, un giornalismo che non è un barometro o un semaforo, non si limita a registrare le posizioni, ma ha l’ambizione di interpretare l’opinione pubblica e a volte di anticiparla, ha l’obiettivo di incidere.

Prima ancora fu L’”Espresso” a diventare  famoso per alcune grandi inchieste, tra cui quella rimasta storica sul presunto colpo di stato organizzato dal Sifar (dell’inchiesta è autore Lino Jannuzzi) che resterà negli annali del giornalismo anche per le furibonde reazioni suscitate.

“Sono stato più esteso che profondo. Non ho conosciuto né vette né abissi, ma vasti altipiani”

La morte di Scalfari coincide con la vendita dello storico Espresso, la radice da cui partì tutto, una casualità altamente simbolica.

Quel sistema di partiti e di poteri oramai  non c’è più, il palazzo ora è vuoto e soprattutto non richiede i giornali e le imprese editoriali che lo interpretino.

Oggi sono richieste le  imprese editoriali che restano senza cultura, senza un’idea di paese, senza ascolto di un pubblico, che abdicano al loro ruolo, che non vogliono incidere sulla realtà, che scambiano l’innovazione con le operazioni di marketing e l’influenza con gli influencer.

Tutto questo non fa altro che indebolire  il dibattito pubblico e rendere  la democrazia più fragile.

Il saluto a Scalfari è dunque l’omaggio non solo a un protagonista della cultura italiana, ma a una cultura laica

Una cultura laica, rimasta sostanzialmente minoritaria  la cui affermazione avrebbe potuto contribuire a costruire un’Italia più europea.

Negli ultimi anni dopo una lunghissima carriera al timone del giornale, si è dedicato soprattutto alla scrittura, anche con un autobiografia uscita per i suoi 90 anni nel 2014 allegata al quotidiano.Negli ultimi tempi Scalfari si era allontanato dalla attualità che lo aveva sempre nutrito. Si era concentrato su di sé, sul proprio io. Si era concentrato sulla poesia e sul  ritorno all’infanzia, alla casa di Civitavecchia dove era nato: «Da quella finestra/ cominciò la mia vita / la mia memoria, la mia malinconia/ e anche il mio risentimento/ e la voglia di compensare/ non so quale torto subito».

Forse nessuno come Eugenio Scalfari ha informato in tutte le accezioni del vocabolario, non rincorrendo una presunta neutralità che chi sbandiera è spesso primo a tradire, ma praticando il mestiere di giornalista nella cornice di idee forti e mai celate.

Eugenio Scalfari è stato in Italia uno dei protagonisti del giornalismo “interventista”

Giornalismo che interviene, che prende parte, senza il timore di scadere talvolta nella faziosità. Giornalismo che si schiera, apertamente. E infatti i suoi detrattori più accesi, a cominciare dai socialisti di Craxi, definivano il giornale scalfariano “giornale-partito”. Lo dicevano per deplorarlo, ma Scalfari fece di quella definizione una bandiera.

Del resto”I laici non hanno, per definizione, né papi né imperatori né re. Neppure vescovi, tantomeno vescovi-conti. Hanno, come signore di se stessi, la propria coscienza. Il senso della propria responsabilità. I princìpi della libertà eguaglianza e fraternità come punti cardinali di orientamento. Sulla base di quei princìpi il loro percorso si è intrecciato anche con il cristianesimo e con il socialismo. Con quest’ultimo sulla base d’una eguaglianza che in nessun caso può essere disgiunta dalla libertà vissuta come inalienabile diritto degli individui al di là d’ogni discriminazione di razza, di religione, di sesso. Con il cristianesimo sulla base, anch’essa, della non-discriminazione e quindi del valore dell’individuo vivificato dalla pulsione verso la solidarietà e l’amore del prossimo”.(Eugenio Scalfari, la Repubblica, 7 novembre 2004)

Eugenio Scalfari ci manca già. Rimarranno sempre con noi le sue idee, la sua passione, il suo amore profondo per l’Italia.

Si muore desiderando, diceva. Desiderando di scrivere. Desiderando di amare. Desiderando di essere sempre nelle contraddizioni del mondo.

Daniela Piesco Co-Direttore Radici

Redazione Corriere Nazionale

Redazione Stampa Parlamento 

pH Fernando Oliva https://www.facebook.com/fernando.oliva.1029

 

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