In Lega e M5s c’è un’escalation di malessere legata al governo

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I due partiti che hanno sofferto di più durante la tornata elettorale delle amministrative chiedono con insistenza a Draghi una nuova agenda sociale. E molti – nei due gruppi politici – fanno sentire al premier la pressione per un forte malcontento.

Salvini e Giorgetti

AGI – Al Senato si discute della ratifica dei trattati, tra cui quello tra Italia e Francia, ci sarà un ordine del giorno della Lega sulla necessità che Parigi spinga per l’estradizione degli esponenti delle Brigate rosse; domani poi si voteranno le mozioni dei singoli partiti, tra cui quella sull’energia e potranno emergere spaccature, sia perché c’è quella promossa da Calenda per spingere sul nucleare, sia perché il Movimento 5 stelle potrebbe trovarsi isolato sulle ricette legate alle ricette che il governo deve portare avanti.

All’interno dell’esecutivo c’è la convinzione che dai vertici pentastellati siano arrivati comunque dei segnali distensivi, la trattativa sul metodo da portare avanti sul dl aiuti è la cartina di tornasole dell’intenzione di Draghi di evitare ulteriori frizioni ma la preoccupazione è che le spinte contrapposte all’interno dei partiti della maggioranza possano comunque causare un incidente in Parlamento.

Perché la Lega, per esempio, non ha digerito l’attendismo del governo, “perché – il ‘refrain’ emerso anche nella riunione di gruppo a Palazzo Madama – a noi chiudono le porte e si da la sponda agli altri partiti?”. Il malessere è generale e anche il tema del ddl concorrenza sta causando un cortocircuito tra l’esecutivo e le forze della maggioranza.

Il partito dello stralcio dell’articolo 10 – quello sulle concessioni dei taxi – è il più numeroso in Parlamento ma il governo non intende procedere in questo modo, il viceministro Bellanova lo ha spiegato a chiare lettere. Una possibile ‘exit strategy’ sarebbe quella di bissare a Montecitorio quello che è successo a palazzo Madama sulle concessioni balneari. Ovvero di permettere all’esecutivo di prendere tempo, lasciando ai decreti attuativi ogni spazio di manovra possibile.

Una strada che però non convince la Lega che punta a svuotare l’articolo, non intende dare all’esecutivo una delega in bianco, promette di non votare il provvedimento quando ci sarà il passaggio nell’Aula della Camera. “Così non va”, ripete il leghista Rixi.

Irritata anche Forza Italia che sottotraccia critica l’esecutivo, “ha perso il contatto con la realtà del Paese”, il ragionamento. Ma il malessere cresce sempre di più soprattutto nel Movimento 5 stelle e nella Lega. Domani Conte porterà all’attenzione del premier un documento con le richieste pentastellate, si aspetta risposte vere soprattutto sul piano sociale, oltre che una difesa del superbonus e del reddito di cittadinanza.

Anche Salvini attende di capire quale sarà l’esito delle trattative tra il presidente del Consiglio e l’avvocato pugliese. Perché tra gli ‘ex lumbard’ – spiegano fonti parlamentari – si è raggiunto il livello di guardia. “Così – si ragiona nel partito di via Bellerio – non si va avanti, di questo passo usciamo dal governo”.

Un mal di pancia espresso pure dal capogruppo della Lega al Senato Romeo, “responsabili sì ma fessi no”, ha osservato. La ‘lista’ dell’agenda del Carroccio è lunga: pace fiscale, autonomia, flat tax, misure per frenare l’immigrazione clandestina, provvedimenti contro il caro inflazione, per promuovere il lavoro, per venire incontro alle esigenze delle categorie in sofferenze e delle famiglie italiane.

Non c’è una ‘dead-line’ o un ultimatum, la partita si gioca sottotraccia. Ma raccontano che anche l’ala ‘governista’ del partito tanto ‘governista’ non lo è più dopo i risultati delle amministrative. Salvini ha cambiato strategia, non c’è più la linea dell’uomo solo al comando, a parlare davanti alle telecamere sono anche gli altri ‘big’. E nell’incontro di ieri pure i presidenti di Regione che hanno subito delle sconfitte sul territorio avrebbero sottolineato che l’azione deve essere più incisiva perché il rischio è che alle Politiche sia proprio la Lega a pagarne il prezzo più grande.

Pure la frase di Giorgetti riferita da chi era presente ‘se volete io posso fare anche un passo indietro’ sarebbe stata riferita per rimarcare che è la Lega con i suoi vertici a decidere cosa fare, il ministro dello Sviluppo insomma si è messo a disposizione del partito e non di sirene centriste che pure si sono fatte sentire per la costruzione della ‘tela’ pro-Draghi.

Tra i leghisti quindi la tentazione dello strappo è sempre più presente. “Dobbiamo portare a casa qualcosa, altrimenti che ci stiamo a fare nel governo?”, l’interrogativo che viene ripetuto dagli ‘ex lumbard’ sia alla Camera che al Senato. Una delle ‘exit strategy’ per ritrovare un ‘feeling’ con il governo sarebbe quella che Draghi aprisse ad una sorta di cabina di regia sull’agenda governativa e anche parlamentare.

Perché l’obiettivo è quello di far intervenire Draghi per stoppare l’intenzione del Pd di andare avanti su cannabis e ius scholae. “Non faremo sconti”, ha garantito ai suoi Salvini, parlando di “gravissima e inaccettabile provocazione” da parte della sinistra nel voler procedere in questa direzione.

I leghisti annunciano barricate ma il pressing è indirizzato verso il capo dell’esecutivo. “Qui non siamo alla Bce, deve gestire tutta la maggioranza, non può lavarsene le mani”, osserva un senatore. L’insofferenza verso il governo si percepisce da tempo nelle fila dei gruppi parlamentari pentastellate. “Se non c’è l’accordo sul superbonus non possiamo votare la fiducia”, spiega un ‘big’ del Movimento 5 stelle. Il ‘sentiment’ prevalente resta quello di staccarsi qualora non venissero accolte le richieste M5s. Anche se non tutti propendono per questa tesi.

“Come potremmo dire no al dl aiuti se contiene misure per 23 miliardi a sostegno degli italiani?”, si chiedono diversi deputati del Movimento 5 stelle. Inoltre l’ipotesi di non mettere la fiducia potrebbe essere una strada per i pentastellati ancor più lastricata di ostacoli, osserva un altro deputato. “Come facciamo se gli emendamenti di Fratelli d’Italia fossero votati anche dagli altri partiti? Saremmo comunque messi all’angolo…”, ragiona una pentastellata.

Le prossime 48 ore saranno dunque decisive. E non solo per capire il rapporto tra Draghi e il Movimento 5 stelle che ha già convocato il Consiglio nazionale alle ore 13 come ulteriore strumento di pressione nei confronti del premier. Il Pd ha già fatto capire di non voler sostenere il governo da solo qualora i Cinque stelle decidessero di staccarsi. Ragionamenti che si colgono anche nella Lega.

Il ‘piano B’ dei leghisti non sarebbe quello delle urne subito ma di un governo politico ‘ponte’. “È chiaro che senza M5s – osserva un esponente di primo piano del partito di via Bellerio – non ci sarebbe più un esecutivo di unità nazionale e allora cambierebbero molte cose… Ma in ogni caso deve essere Draghi a sciogliere i nodi”.

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