Carne e sangue, di Vito Davoli, Tabula Fati, Chieti, 2022

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Di

di  Maria  Pia  Latorre

Vent’anni sono passati dalla pubblicazione, nel 2001, di ‘Contraddizioni’, opera che raccolse ottimi  favori della critica, per arrivare, oggi, alla pubblicazione di ‘Carne e sangue’.

Vent’anni di vita e di poesia che Vito Davoli offre generosamente ai suoi lettori e che, come afferma Daniele Giancane nella prefazione, presentano un’unità stilistica dall’inizio fino alla fine del volume, facendo di questa fatica letteraria un testo compatto e ben caratterizzato.

Il volume è tripartito in ‘Carne e sangue’, che dà il titolo alla raccolta, ‘Sonetti claudicanti’ e ‘Capitano, quel capitano’, che parafrasa i notissimi versi di Walt Whitman.

Vi è subito da dire che in ogni poesia sono presenti più o meno celati rimandi poetico-letterari che rendono le poesie di Vito Davoli fruibili a più livelli, da quello immediatamente ‘di pancia’, a quello squisitamente estetico, fino ad una sofisticata letterarietà dei testi, e,  ancora oltre, a livelli di natura subliminale.

‘Carne e sangue’ è una raccolta di poderosa sanguigna virilità, all’interno della quale l’Autore si racconta, racconta il suo girovagare, le sue terre, le relazioni, i giudizi che ha maturato sul mondo, le sconfitte e le rabbie. È poesia che affida all’anatomia il compito di tratteggiare in rapide immediate immagini un’ampia gamma di stati d’animo emotivi.

Troveremo citate centinaia di parti del corpo, sicuramente da considerarsi più che occorrenze, che a volte ritroviamo reiterate in più liriche, con l’affidamento dello stesso stato d’animo a quel particolare organo del corpo.

Così ci muoviamo tra bave, morsi, colpi di reni, muscoli nervosi, fianchi, mani, capelli, pelle, peli, bocca, ciglia, stomaco, voce/i,  cuore, orme, lingua, labbra, volto, feto, placenta (nella sola lirica ‘Carne e sangue’ sono nominate quarantatrè parti del corpo); e poi azioni e aspetti della fisiologia del  corpo: amplessi, gusto che addirittura diventa all’anticorodal (con un sinestetico potenziamento sensoriale dagli esiti stupefacenti), partoriva, metamorfosi, lamento, silenzio, parto; vere e proprie isotopie che forniscono  continuità al testo sul piano semantico. Non basta.

Anche il mondo animale è qui espresso in chiave fortemente fisica: zoccoli, crini, cosce, occhi sgranati e, attraverso tali isotopie, l’Autore riesce a interrompere il tempo lineare, rendendo il ciclo del suo e degli altrui corpi sismografi di umori e vitalità.

Aderenti gli alter ego che l’Autore sceglie per sé, la figura del cavallo, presente sia nella lirica ‘Cavallo’, e riaffiorante in ‘Fingo a me stesso’ e in ‘Come giostra che non gira in tondo’ (probabilmente il lato forte ed esuberante del tratto caratteriale del poeta), e quella del fantasma dall’occhio attento, “che lascia a metà/ tra timido e violento”, presente sia nella lirica-cardine ‘Carne e sangue’, ma anche in ‘A un certo punto’, figura che potremmo accostare freudianamente, per certi versi, all’io che controlla lo stato di coscienza, ma anche al super-ego, e in un azzardo si potrebbe immaginare che il fantasma ed il cavallo, a tratti, coincidano.

Ma al tormento fa da contraltare ‘l’alma’, “nelle longeve lande di quest’alma”, raffinata immagine contenuta in ‘Come giostra che non gira in tondo’, che sorseggia la luce dell’illusione, ma non può farne a meno perché è proprio lì che vuole andare e da nessun’altra parte, “ma l’arte è un senso oscuro/ che quando è dentro trova/ artistica ogni cosa”, recita questo verso pieno e folgorante, definizione che ci sazia.

Nella sezione ‘Carne e sangue’ viviamo uno sfogo poetico quasi elegiaco, laddove odio, rabbia e dolore, fatti sale, restituiscono un uomo rigenerato in forza e determinazione, ma pur sempre tormentato dai fantasmi della memoria, che la poesia rende sindone, fino all’ultima poesia della terza sezione ‘Come sindone’, che chiude la raccolta: “Se amare è morire…/ Depositare il corpo mio/ dentro una sindone bianco sole/ e in filigrana la tua immagine per sempre”, vivo appassionato testamentario congedo che non sarebbe potuto essere diverso da com’è.

Gradevolissimi gli endecasillabi disseminati ad arte nella seconda sezione che rifulgono come gemme: “mi si ispessisce addosso nostalgia”, “scrivere è un po’ come sognare male”, “io credo solo in ciò che so sperare./ Un po’ al di là del corpo che io sono”, dalla accentuata musicalità che rende i testi quasi canzoni.

In alcune liriche affiora forte la vita nascosta, come in ‘Devo proprio’, dove il poeta non teme di esporsi e di farsi materia poetica egli stesso, generosamente, con la sua esperienza esistenziale: “Tu rimarrai la mia dialisi a metà/ la cicatrice che nasconde la violenza/ copre la sofferenza/ e il sangue è sempre/ sotto/ il dolore della carne”.

Tutto ciò rende ‘Carne e sangue’ un’opera di forte impatto emotivo e dallo struggente sapore di aristotelica melancolia, stato necessario e ineludibile all’immersione artistica profonda, che questi splendidi versi ha prodotto.

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