In Israele si va verso le quinte elezioni in meno di 4 anni

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Bennett: “Decisione giusta”. La coalizione senza più maggioranza cade sul rinnovo della legge che regola la vita dei coloni in Cisgiordania. Il leader dell’opposizione Netanyahu esulta. Yair Lapid prossimo premier.

AGI – Dopo meno di 13 mesi in carica il primo ministro israeliano Naftali Bennett, di concerto con l’alleato della coalizione Yair Lapid, ha deciso di staccare la spina al governo, il primo dopo dodici anni initerrotti di regno di Benjamin Netanyahu. La variopinta coalizione nata dall’accordo tra il leader di Yamina e quello di Yesh Atid è riuscita appena a festeggiare il primo anno di vita, il 13 giugno scorso, prima di cadere sotto i colpi incrociati dei suoi litigiosi membri e la pressione dell’opposizione nazional-religiosa guidata dal Likud.

Come previsto dall’accordo di coalizione, Bennett passerà la premiership a Lapid, che manterrà anche la carica di ministro degli Esteri, mentre il leader di Yamina sarà premier alternato, andando probabilmente a gestire il dossier iraniano.

Una crisi attesa da tutti, prima o poi, vista l’eterogenea composizione dell’esecutivo, formato da otto partiti tra destra, sinistra e centro, alleati per la prima volta ai conservatori islamisti del partito arabo-israeliano Ra’am, e tenuti assieme da un unico denominatore comune, estromettere Bibi dal potere.

Sopravvissuta a picchi di tensioni per tutto l’anno di vita, la coalizione è caduta infine sulla bocciatura del rinnovo della legislazione civile che regola la vita dei coloni in Cisgiordania, affossato all’inizio di giugno in aula da due ‘dissidenti’, il deputato del partito arabo-israeliano Ra’am, Mazen Ghanayim, e la parlamentare della sinistra radicale Meretz, Ghaida Rinawie Zoabi.

Questo il motivo indicato dal deputato ribelle di Yamina Nir Orbach, da sempre molto poco allineato con la coalizione, per annunciare la settimana scorsa l’addio, mandando sotto la soglia della sopravvivenza l’esecutivo (59 deputati su 120), già in minoranza da aprile con la defezione della deputata di Yamina, Idit Silman.

La regolamentazione d’emergenza ‘Judea and Samaria, Jurisdiction and Legal Aid’, attuata dal 1967 da tutti i governi israeliani, a prescindere dal colore politico, gode tradizionalmente di un ampio sostegno trasversale in Parlamento, in primis della destra, ma è diventata il campo di battaglia per l’opposizione guidata da Netanyahu per far cadere l’esecutivo. Sottoposta a rinnovo ogni cinque anni, la legislazione scadrà alla fine di giugno.

Senza i numeri per farla passare nè escamotage legali all’orizzonte, come confermato oggi dal procuratore generale Baharav-Miara Gali, Bennett e Lapid hanno deciso di sciogliere la Knesset: in questo modo le regolamentazioni di sicurezza in Cisgiordania verranno automaticamente estese e si eviterà tutta una serie di pesanti conseguenze sulla vita dei coloni nei Territori.

Allo stesso tempo, dopo aver capito di aver “esaurito tutte le opzioni” per tenere insieme la coalizione, i due hanno preferito mettere fine all’agonia e presentarsi alle urne da una posizione di (relativa) forza. Tutto questo, mentre il ministro dell’Interno Ayelet Shaked, alleata di lungo corso di Bennett e numero due di Yamina, si trova in missione in Marocco, un particolare che potrebbe creare problemi all’interno del partito.

Lo Stato ebraico si avvia così verso le quinte elezioni in tre anni e mezzo. L’unica possibilità per evitare il ritorno alle urne risiede in un governo alternativo: per farlo nascere il leader del Likud ha bisogno di 61 deputati ma il suo blocco della destra nazional-religiosa (Likud, i partiti ultraortodossi Shas e United Toraj Judaism, insieme a Sionismo Religioso) può contare solo su 54 voti, deve quindi trovare dei ‘transfughi’.

Le scorse settimane, l’opposizione arabo-israeliana della Lista araba unita (sei deputati) aveva espresso l’intenzione di votare a favore per lo scioglimento della Knesset ma l’ipotesi di andare al potere con Netanyahu rimane impraticabile per loro. Resta il ‘bacino’ dei deputati di Yamina e di New Hope, malgrado le rassicurazioni di quest’ultimo gruppo di voler evitare di riportare al potere Netanyahu.

“Non è un momento facile ma abbiamo preso la decisione giusta”, ha affermato in conferenza stampa Bennett, assicurando di “non aver lasciato nulla di intentato” per salvare la coalizione. Ora è il turno di Lapid di assumere l’incarico e portare il Paese a elezioni: “Farò di tutto per assicurare che abbia successo”, ha messo in chiaro il leader di Yamina.

Una dimostrazione di “amicizia” reciproca, ribadita più volte da entrambi, che è stata immediatamente lodata dal leader di Yesh Atid, che non ha perso l’occasione per colpire – senza nominarlo – l’arci-nemico Bibi: Bennett, ha sottolineato, è “un leader coraggioso” che “ha messo il Paese davanti ai suoi interessi personali”.

“Un anno fa abbiamo iniziato il processo di ricostruzione e ora lo stiamo portando avanti, insieme”, ha aggiunto. “Quello che dobbiamo fare oggi è tornare al concetto di unita’ israeliana, per non lasciare che le forze oscure ci dividano dall’interno. Solo insieme prevarremo”, ha concluso Lapid, che tra meno di un mese incontrerà il presidente americano Joe Biden, il cui viaggio in Israele – previsto per il 13 e 14 luglio – è stato confermato dall’ambasciatore Usa, Tom Nides.

Intanto Netanyahu già canta vittoria: in un messaggio televisivo, il leader del Likud ha esultato, definendo la decisione del governo “una grande notizia per milioni di israeliani”, “dopo un anno di tenace lotta da parte dell’opposizione alla Knesset e grande sofferenza per molti concittadini”. Bibi ha quindi promesso che insieme agli alleati formerà “un ampio governo guidato dal Likud, un governo che riporterà l’orgoglio nazionale, abbasserà le tasse e i prezzi, e porterà Israele a grandi successi“. L’orizzonte sul quale punta, ha aggiunto, è quello delle elezioni ma non ha escluso un governo alternativo se altri deputati della destra sceglieranno di abbandonare il “boicottaggio personale” nei suoi confronti.

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