In Sardegna gli stagionali scarseggiano. Ma il reddito di cittadinanza non c’entra

Economia & Finanza

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La mancanza di personale da impiegare d’estate nel comparto ricettivo e della ristorazione è ormai strutturale. Sindacati e albergatori spiegano all’AGI le ragioni della ‘fuga’ dei lavoratori da un settore sempre meno appetibile.

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Secondo Filcams Cgil e dalla Uiltucs Uil, a scoraggiare gli stagionali sono soprattutto proposte di lavoro con turni dmassacranti, a orari indefiniti, con straordinari non retribuiti e a condizioni al limite dello sfruttamento.

Nella Milazzo, segretaria regionale della Filcams Cgil, la Federazione italiana dei lavoratori del commercio, turismo e dei servizi, racconta all’AGI che c’è chi viene assunto per un impegno di 6 ore e 40 minuti al giorno e poi finisce per farne anche dieci o dodici, senza avere alcun tipo d’integrazione salariale aggiuntiva.

Lavoro nero e zone grigie

“Negli ultimi quindici anni, e non solo con la pandemia, c’è stato un graduale e progressivo peggioramento complessivo delle condizioni di queste lavoratrici e di questi lavoratori dal punto di vista sia retributivo sia normativo”, spiega Milazzo. “C’è una situazione di lavoro in nero, grigio, irregolare e di sfruttamento. Ci sono, ovviamente, anche imprese virtuose, anche se ben poche, che si ritrovano a subire la concorrenza sleale di tutte quelle altre che, purtroppo, non rispettano ciò che prevede il contratto collettivo nazionale, come ferie, permessi e riposi. Risultano casi di superamento delle ore di lavoro settimanale, oltre a quelle previste dalla legge, e straordinari non corrisposti”.

L’impatto della pandemia

“È innegabile che la pandemia abbia inciso in modo negativo e contribuito ad aggravare la crisi in un comparto dove il lavoro si concentra prevalentemente nei mesi estivi. “La stagione si è ridotta tantissimo e, negli ultimi due anni”, spiega la segretaria regionale della Filcams Cgil, “la maggior parte degli stagionali è riuscita a lavorare forse per quattro mesi totali. È chiaro che queste persone sono state fortemente danneggiate. In tanti casi, c’è anche chi ha deciso di cambiare settore e, nel frattempo, è riuscito a trovare un posto di lavoro in qualche supermercato. In quest’ultimo caso, infatti, anche se vengono previsti dei contratti a tempo determinato di 12 mesi, poi si può accedere alla disoccupazione e si ha sicuramente una copertura reddituale superiore. Inoltre, un supermercato non è legato alla stagionalità e può dare delle prospettive diverse”.

Quelli che non si sono arresi

Non tutti si arrendono e c’è, infatti, pure chi ha deciso di continuare a lavorare come stagionale nell’ambito del turismo e dell’ospitalità, ma ha lasciato la Sardegna, per lavorare in altre regioni italiane o all’estero.

“Ho diversi esempi”, dice Milazzo, “e si tratta di persone che decidono di andare altrove perché la stagione è più lunga e poi perché hanno delle paghe e dei trattamenti migliori”.

Secondo la segretaria regionale della Filcams Cgil, quello del reddito di cittadinanza è un fattore che non incide: “Se si pensa che la media di erogazione in Sardegna è di circa 450 euro, si capisce subito che le persone non preferiscono di sicuro stare a casa senza lavorare. Ma c’è anche da dire che, soprattutto gli studenti che escono dall’alberghiero, e che devono fare la stagione, non possono avere il reddito di cittadinanza perché non ne hanno diritto, dato che vivono a casa dei genitori e non hanno iniziato un percorso lavorativo”.

Precari e sfruttati

Milazzo sottolinea che le tantissime situazioni di rifiuto sono legate alle troppe proposte di lavoro con stipendi irrisori. “Se per un tempo pieno, che in questo settore si traduce spesso anche 10 o 12 ore di lavoro al giorno, il salario è di 700 euro al mese”, dice la sindacalista, “mi pare chiaro che si tratti di sfruttamento ed è normale e legittimo che le persone non accettino delle simili condizioni”.

La rappresentante della Filcams Cgil cita un’indagine nazionale pubblicata dall’Ispettorato del lavoro “dove è scritto che nel 2020, rispetto a tutte le irregolarità certificate e accertate il 70% di queste sono state rilevate nel settore dell’accoglienza e della ristorazione”.

“Il settore turistico, ricettivo e della ristorazione è senz’altro diventato povero e poco attrattivo”, conferma all’AGI Cristiano Ardau, segretario regionale della Uiltucs Uil, “perché si costringono a lavorare operatori e dipendenti con dei fattori produttivi molto risicati, a fronte di pochi mesi di lavoro, con contratti precari e spesso e volentieri con difficoltà di natura sociale, perché si lavora durante le festività, mentre tanti altri si divertono. C’è da precisare che i lavoratori ai quali viene applicata la retribuzione da contratto, con tutte le ore retribuite, però, prendono uno stipendio che è stato contrattato dalle parti sindacali e datoriali. Quindi, secondo me, affermare che i lavoratori sono pagati poco e che vengono sfruttati, è limitante”.

Aziende stritolate tra fisco e burocrazia

“Il vero problema”, argomenta Ardau, “è che da un lato, le aziende tentano di pagare il meno possibile, perché sono strozzate da burocrazia e da un gravame fiscale, dall’altro lato, il dipendente fa un sacco di ore, viene tassato e ha carichi di lavoro giganteschi”.

Secondo Ardau, invece, “il reddito di cittadinanza è un problema accessorio, che non ha aggravato la situazione”.

“Per quanto riguarda il lavoro nero, invece, non credo che sia di sicuro ai livelli degli anni ’80”, osserva il sindacalista, “perché con l’attuale sistema delle ispezioni e comunicazioni telematiche è molto difficile avere un lavoratore totalmente senza copertura assicurativa. Però, è vero anche che ci può essere un problema di elusione ed erosione previdenziale e contrattuale, ovvero qualcuno che viene assicurato per poche ore e poi lavora molto di più, oppure il ricorso agli straordinari non pagati o a situazioni di cosiddetto ‘fuori busta paga'”.

Storia di Salvatore

Tra coloro che in Sardegna non accettano più di lavorare come stagionali in bar, locali o ristoranti c’è anche chi, con esperienza quarantennale nel settore, ha rifiutato delle offerte di lavoro. L’ha fatto quando si è sentito proporre un periodo di prova di due settimane o di un mese, per un impegno quotidiano di dieci o dodici ore al giorno, e un compenso totale di 500 euro.

Salvatore Arippa, 58 anni, originario di Quartu Sant’Elena, comune nella Città metropolitana di Cagliari, è uno di questi: per tantissimi anni ha lavorato come cameriere e oggi si ritrova senza lavoro.

Arippa ha iniziato a lavorare a 15 anni in una pizzeria nel lungomare Poetto di Cagliari, dov’è rimasto per circa dieci anni. Poi è stato assunto in un hotel del capoluogo sardo, che è stato chiuso alla fine dell’anno scorso, e dove ha lavorato per 31 anni.

Periodo di prova

“Con la chiusura dell’albergo dove lavoravo”, racconta all’AGI, “da gennaio scorso ho iniziato a cercare un’altra occupazione e a fare colloqui in una serie di locali del capoluogo sardo. La cosa più assurda è che in molti casi mi si diceva che dovevo prima fare una prova di quindici, venti giorni o addirittura di un mese a fronte di un compenso mensile di 500 euro e un carico di lavoro di 10 o 12 ore al giorno. Io rispondevo che conoscevo bene il lavoro, visto che lo faccio da oltre 40 anni. Ma la verità è che c’è chi mantiene pochi dipendenti fissi e poi, con la scusa del periodo di prova, ci marcia alla grande e va avanti così per tutta la stagione”.

Sui casi di sfruttamento, che vengono denunciati dai sindacati, il presidente della Federalberghi Sardegna, Paolo Manca invita a non generalizzare: “Non è vero che i dipendenti siano tutti sfruttati dalle aziende. La maggior parte dei datori di lavoro non ha di sicuro interesse a sfruttarli, anche perché l’anno successivo non tornerebbero”.

Fuga verso altri comparti

Secondo Manca, è un’altra la ragione per cui, in questo momento, sul mercato scarseggiano figure professionali, che prima della pandemia lavoravano come stagionali. “Vista la situazione di emergenza sanitaria, molti hanno semplicemente deciso di cambiare settore, per fare lavori diversi. Tanti”, aggiunge il presidente regionale di Federalberghi, “hanno trovato impieghi nella logistica o nei supermercati, perché tutta la parte delivery è cresciuta. Quindi, si è creata alla fine una fuoriuscita dal comparto turistico-ricettivo e dalla ristorazione”.

“Se parliamo di baretti”, precisa Manca all’AGI, a proposito del ruolo deterrente attribuito ai sussidi statali, “che assumono una persona per venti ore part time e poi non si sa bene quante ore le facciano fare, per 700 euro al mese, lì è palese che possa anche esserci una sorta di ‘competizione’ con il reddito di cittadinanza. Ma se ci riferiamo al lavoro strutturato in un albergo, nel momento in cui andiamo a forfettizzare, scopriamo che lo stipendio più basso è di 1.300 euro al mese. In questo caso, la vedo un po’ difficile che una persona preferisca prendere il reddito di cittadinanza, che arriva a 600 euro”.

Futuro troppo incerto

“Molte persone scelgono di non lavorare nel turismo”, osserva Manca, “perché non possono essere stabilizzate. C’è un problema di carriera e, per questo, bisognerebbe ripensare il sistema, in modo da risolvere le criticità, perché noi abbiamo bisogno di avere dei professionisti nel settore”.

“Altro aspetto”, argomenta l’albergatore, “è la ‘cumulabilità’. Io, ad esempio, faccio delle assunzioni di otto mesi e i dipendenti non accettano di firmare un contratto a tempo indeterminato, con formula part time verticale ciclica, che prevede otto mesi di lavoro e i restanti quattro a casa. Non lo accettano perché in quei quattro mesi non prenderebbero alcun sussidio di disoccupazione. Quindi, alla fine, molti preferiscono rimanere a tempo determinato, anche perché è palese che la stagione ha dei termini e non possiamo pretendere di portare le persone in spiaggia a gennaio o a febbraio”.

“In Spagna, invece, la situazione è diversa perché hanno previsto la cumulabilità del contratto a tempo indeterminato stagionale, il sussidio di disoccupazione e altri aiuti”, evidenzia Manca. “Questo, insomma, permette ai datori di assumere a tempo indeterminato e, allo stesso tempo, ai lavoratori di avere un aiuto per la pausa dei mesi invernali. Però, se in Italia non si fanno delle politiche del genere, pensate per il turismo che è un settore in gran parte stagionale, come nel caso della Sardegna, non se ne esce”.

 

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