La B un punto di partenza e non di arrivo. Ma occorre calma ed evitare pretese immediate

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foto: sscbari

Nunc est bibendum”, scriveva Orazio per evidenziare l’esultanza del popolo romano per la morte di Cleopatra e la fine del pericolo che essa rappresentava per Roma. Così i tifosi del Bari esultano per la fine della militanza nelle categorie inferiori.

Dopo quattro anni di inferno, campi e società ai limiti del ridicolo (ma non tutte a onor del vero), si torna a calcare terreni e competere in categorie prestigiosi. Era ora.

Nessuno, se non un manipolo di matti, avrebbe mai pensato che questo Bari, dopo la partenza ad handicap patita sin dal ritiro di Storo con mezza squadra alle prese col covid, le ambulanze arrivate fin lassù per trasportare a Bari dodici giocatori infetti, le preoccupazioni, le paure, le difficoltà tecniche di allenamento, coi i giocatori presenti che si potevano contare sulla punta delle dita, avrebbe potuto stravincere il campionato con ben otto punti di vantaggio dalla seconda. Si, magari in tanti speravano inconsciamente che potesse lottare per la promozione, ma arrivare primo distanziato dalle pretendenti oltre dieci punti (senza dimenticare i punti ottenuti e revocati col Catania), dubitiamo fortemente che qualcuno potesse pensarlo. Ed invece, come spesso accade nella vita, il tutto è stato ribaltato a suon di risultati. Mignani, una delle tante scommesse vincenti di Polito, ha compiuto un miracolo mantenendo calma, pazienza e ordine nello spogliatoio che ha afferrato sin da subito i suoi insegnamenti tecnico-tattici.

Una risurrezione temporale, un “allure”, mostrata ed iniziata a Messina in serie D e terminata a Latina toccando tante località dell’Italia meridionale, fatta eccezione per la fatale Reggio Emilia dove ci fu l’illusione di potercene andar via sin da quell’anno, ma sappiamo tutti come andò a finire con quel gol di Antenucci che grida ancora vendetta.

La società ha riportato entusiasmo, non c’è che dire, non era facile primeggiare tra diverse contendenti che, come per il Bari, avevano investito tanto, Polito è stato bravo ad azzeccare gli uomini giusti e a dar fiducia a giocatori che, stando a quanto affermato da qualche tifoso impaziente e frettoloso nei giudizi, sembravano spremuti, ed invece proprio questi hanno lasciato il segno risultando decisivi in barba a chi li aveva criticati ad inizio stagione.

Nessuno ci ha regalato niente, a Latina otto anni fa è cominciato il crepuscolo del Bari, ad aprile scorso, sempre a Latina, c’è stata la rinascita. Corsi e ricorsi storici, si dirà.

Ha vinto la più forte, nulla quaestio, ha vinto la squadra più esperta, più qualitativa e soprattutto quella dalla solidità economica più forte, se ne facciano una ragione quelle pretendenti che goffamente, quando han capito che non c’era più nulla da fare, l’hanno messa sulla provocazione.

Un entusiasmo cresciuto gara dopo gara, un entusiasmo ritrovato dopo anni bui, un capitale umano e di passione creato dalle ceneri e che non dovrà andare disperso. I tifosi, notoriamente umorali capaci di arrivare allo stadio in venticinquemila ma anche di arrivare a meno di tremila, pretendono la serie A, ma riteniamo che occorre evitare pretese immediate, occorre pianificare il passaggio in serie A perché nel calcio si vince e si perde, non si può sempre vincere, esistono le avversarie che possono metterti in difficoltà perché partono tutte alla pari, anche quelle che, magari, sulla carta sembrano deboli, così come lo è stata la presunta cenerentola Monterosi nel torneo appena finito, una cenerentola solo sulla carta che, secondo gli addetti ai lavori, avrebbe dovuto soccombere ovunque e che invece ha centrato i playoff. Questo per ribadire che gare facili non ce ne sono. La Salernitana che batte la Fiorentina o che vince a Genova, ne è un’ulteriore conferma. “Nel calcio tutto viene complicato dalla presenza della squadra avversaria“, scriveva J.P. Sartre.

Certo, Bari ha i De Laurentiis e non imprenditori di seconda e terza scelta e, dunque, è lecito attendersi qualcosa di più e sognare ad occhi aperti, ma finché non si costruirà un organigramma completo, un centro sportivo come si deve e non un campetto dove per arrivarci occorre attraversare a piedi la tangenziale scavalcando il guard rail, uno stadio degno di tal nome, finché non si predicherà prudenza, umiltà e consapevolezza di ciò che può rientrare in termini economici, è bene andare coi piedi di piombo per evitare pericolose delusioni perché è vero che sognare non cosa nulla ma è altresì vero che dal sogno ci si può svegliare felici o con un incubo. Insomma, che non si pretenda subito la massima serie, se arriva sarà tanto di guadagnato altrimenti si riproverà l’anno prossimo. I tifosi non devono guardare un orizzonte che si ferma al solo tetto, ma devono guardare oltre evitando isterie, impazienza, slogan tipo “De Laurentiis tempo scaduto” o robaccia simile. Tra l’altro a lasciare speranzosi i tifosi c’è il feeling tra la famiglia romana proprietaria del Bari e le istituzioni cittadine che vanno a braccetto come fossero un sol tutto, c’è condivisione, accordo su tutto, proprio come accadeva tra Matarrese ed Emiliano, insomma, tale e quale.

I baresi sono gente laboriosa e generosa a cui non manca la voce ma sanno anche essere un popolo sognatore e pieno di ambizioni, situazioni ataviche che nascono dagli anni più lontani della sua storia allorquando, vivendo di pane e acqua, si vedevano passare avanti da squadre di terza scelta che arrivavano regolarmente in serie A e, magari, accarezzavano pure l’Europa e, giustamente, ne hanno sofferto parecchio anche perché hanno sempre ritenuto che, ad esempio, il L.R. Vicenza, il Cesena, il Palermo, il Chievo, l’Empoli, l’Udinese, il Sassuolo ed altre squadre le cui città erano (e sono) nettamente più piccole di Bari, non avessero, in termini di indotto e di imprenditoria, di più di Bari e questo ha generato sofferenza e rabbia diffuse.

Ma a Bari c’erano i Matarrese, grandi imprenditori ma dal braccetto corto che non appena nasceva un “Cassano”, un “Ventola”, o si consacrava un “Protti”, subito pensavano a venderli investendo poco o nulla vivendo di improvvisazione e con quel genio di Carlo Regalia che di tanto in tanto scovava bravi giocatori, puntualmente venduti. E con questo modus agendi non si poteva pensare di andare lontano se non vincere occasionalmente a San Siro o ottenere una promozione in serie A.

La serie B, per la tifoseria, è il minimo sindacale dopo la gestione di Giancaspro che ha mandato all’infermo la squadra e la città, e deve essere un punto di rigorosa partenza e non di arrivo, la B come un passaggio forzato verso la serie A, ma crediamo che occorrerà pazienza e realismo.

La società ormai si è assestata in città, è lecito, dunque, attendersi un periodo fulgido per la squadra di calcio.

Quanto alla doppia proprietà, argomento caldo e vivido, ma anche comprensibile nei suoi timori, riteniamo che i De Laurentiis sapranno come districarsi: se dovessero rimanere a Bari cedendo il Napoli avranno capito che qui, a Bari, esiste una miniera d’oro ancora inesplorata dalle passate gestioni, o meglio, queste lo sapevano pure ma mai nessuno ha avuto il coraggio di estrarre il minerale dal sottosuolo per paura o per scarse capacità manageriali. Semmai dovessero continuare col Napoli, dal momento che la piazza di Bari, con la sua squadra, diventerà ambita da tutti, sicuramente la metterà tra le mani di imprenditori solidi e seri, capaci di estrarre loro dalla miniera esistente sotto la città. “Fere libenter homines id quod volunt credunt”, spiegava Giulio Cesare nel ribadire che gli uomini credono volentieri in ciò che desiderano.

Il Bari, come diciamo da anni, è una cosa seria e non un giocattolo da mantenere in vita con le pile.

Massimo Longo

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