Uva ansonica in anfore di terracotta, rinasce all’Elba il metodo dell’antica Grecia

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Nelle vigne terrazzate sulle colline di Portoferraio la centenaria azienda vinicola Arrighi si muove nel solco tra passato e futuro, unendo tradizione e tecnologia per sperimentare nuove produzioni.

Isola d’Elba, vino nelle anfore

AGI – Dall’immersione dell’uva in mare nelle ceste di vimini fino alla conservazione in anfore, le imprese enologiche della Grecia rivivono in Toscana con il panorama dell’isola dell’Elba. Nelle vigne terrazzate sulle colline di Portoferraio la centenaria azienda vinicola Arrighi, arrivata oggi alla quarta generazione con le figlie di Antonio, si muove nel solco tra passato e futuro, unendo tradizione e tecnologia per sperimentare nuove produzioni.

Nasce così il vino marino Nesos, omaggio alle tecniche di immersione vinicole usate 2.500 anni fa nell’isola greco di Chio a cui segue l’affinamento dell’uva ansonica in anfore di terracotta. O la riscoperta, nel segno della tradizione elbana, dell’aleatico, il passito tipico portato per la prima volta sull’isola dai romani, oggi divenuto Docg.

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Isola d’Elba, vino nelle anfore

“Bisogna sempre innovare nel segno della tradizione – spiega Antonio Arrighi – sfruttare la tecnologia senza tralasciare le origini, devono correre insieme, questo è il mio mantra”. Una capacità di fondere storia e innovazione che in occasione della recente edizione di Vinitaly lo ha portato a ricevere la medaglia di Cangrande come Benemerito della Vitivinicoltura 2022. La prestigiosa onorificenza, consegnata dal ministero delle Politiche Agricole e Forestali Stefano Patuanelli, premia le eccellenze nella promozione della cultura vitivinicola del territorio.

La passione per il vino di Antonio, 64 anni di cui quasi la metà spesa alla guida dell’azienda agricola di famiglia arroccata sulla baia di Porto Azzurro, sboccia tardivamente nonostante il traguardo delle 50 vendemmie festeggiate di recente. “Mio padre Sergio faceva principalmente l’albergatore in Versilia – racconta – ma andavamo ogni anno a fare la raccolta nella tenuta dell’isola, ai tempi un paio di ettari. Davo una mano senza particolare interesse, poi nei primi anni ’90 il Crea di Arezzo avviò la sperimentazione per portare vitigni particolari sull’Elba: all’improvviso si accese quella passione rimasta sopita”.

Il primo passo è aumentare la produzione, il successivo renderla ‘mitica’ come il famoso nettare degli dei raccontato dalla mitologia greca. Dai tre/quattro ettari di partenza l’azienda Arrighi si allarga fino a raggiungere i 15 ettari, con 8 ettari di superficie vitata che oggi consentono una produzione di circa 15.000 bottiglie.

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Isola d’Elba

Nel frattempo Antonio inizia il suo viaggio sospeso tra archeologia ed enologia: mette da parte tini d’acciaio o di legno e rilancia l’affinamento del vino in anfore di terracotta come avveniva sull’isola millenni prima. Lo testimoniano gli orci interrati con incisi i simboli familiari, emersi durante degli scavi in una villa romana a Portoferraio.

“Le anfore sono perfette per la micro ossigenazione – chiarisce – esaltano le caratteristiche dell’uva e sono intrise di storia. Ci siamo rivolti a un’azienda di Impruneta che è specializzata in giare artigianali. Ero l’unico all’Elba a fare queste cose e fra i primi in Toscana, mi ha aiutato da subito a ritagliarmi un ruolo nel settore”.

La definitiva consacrazione arriva però nel 2018 con il fortuito incontro con il professor Attilio Scienza e la successiva sperimentazione del vino marino: grappoli selezionati (non dovevano presentare nessuna lacerazione della buccia) di uva ansonica, parente di quella greca, in ceste di vimini immerse nelle acque cristalline dell’Elba per cinque giorni, poi fatte asciugare su graticci all’aria aperta.

“A un convegno – rievoca Antonio – il professore mi raccontò delle ricerche condotte sul vino dell’isola di Chio, considerato ‘il vino degli dei’ in virtù del sapore che otteneva dall’immersione. Il sale marino ha un effetto antiossidante e disinfettante, permette di rinunciare ai solfiti quindi è davvero naturale come millenni fa. A livello di sapore aumenta le note fruttate e riduce l’acidità”.

Ma l’attività di sperimentazione di Antonio non si ferma qua: bollono in pentola nuove idee da sviluppare. Con un solo obiettivo: rinverdire i fasti della secolare scuola vitivinicola elbana nonostante il destino dell’isola abbia virato con forza verso il turismo e garantire una coesistenza felice con l’ambiente dell’isola.

“Sto lavorando con l’università di Pisa e il Cnr – anticipa – per un progetto incentrato sul recupero dello scarto nel ciclo annuale della vite: l’intenzione è sfruttare i tralci tagliati in qualche modo. È ancora in fase embrionale, magari l’idea, anche questa volta, ci verrà guardando indietro”.

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