Vita e opere di Mevlut Cavusoglu, il vero architetto della mediazione turca

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Ministro degli Esteri del governo di Ankara, è comparso ripetutamente nei giorni della guerra in Ucraina come l’uomo capace di portare allo stesso tavolo i ministri degli Esteri di Russia e Ucraina

© FATIH AKTAS / ANADOLU AGENCY / ANADOLU AGENCY VIA AFP – Mevlut Cavusoglu

Il nome del ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu è comparso ripetutamente nei giorni della guerra in Ucraina come l’uomo capace di portare allo stesso tavolo i ministri degli Esteri di Russia e Ucraina e spostare un negoziato da una sconosciuta località della Bielorussia, schierata con Mosca, in Turchia, Paese che lo stesso Cavusoglu ha contribuito a mantenere neutrale.

Nominato ministro degli Esteri nel 2014, contestualmente all’elezione di Recep Tayyip Erdogan a presidente della Repubblica, Cavusoglu entrò in consiglio dei Ministri con la fama di ‘yes man’ del presidente. Toccò a lui prendere il posto di Ahmet Davutoglu, l’accademico poi divenuto premier sempre nel 2014.

Una nomina solo apparentemente importante, a una carica che Erdogan era deciso ad abolire con il passaggio al presidenzialismo, poi avvenuto appena due anni e mezzo dopo. Erdogan imputava a Davutoglu eccessiva indipendenza ed errori di calcolo nella crisi siriana oltre al fallimento della dottrina della ‘profondita’ strategica’ e del “neo-ottomanismo” che aveva contraddistinto l’espansione del raggio di azione di Ankara negli anni delle rivoluzioni nel mondo arabo, prima di impantanarsi con la crisi siriana e il colpo di stato in Egitto.

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© FATIH AKTAS / ANADOLU AGENCY / ANADOLU AGENCY VIA AFP

Cavusoglu con Erdogan e Abrhamovic

Cavusoglu sembrava l’uomo giusto a realizzare una politica estera secondo i desiderata del presidente, ma negli anni si è rivelato molto più di questo, come confermato dall’azione diplomatica turca rispetto alla crisi ucraina.

Laureato in relazioni internazionali all’Universià di Ankara, il ministro di Erdogan completa la propria formazione presso la Long Island University di New York, inizia un dottorato alla Bilkent di Istanbul che porta a termine frequentando la London School of Economics con una borsa della fondazione Jean Monnet.

Parla inglese, tedesco e giapponese; un curriculum che lo rende una mosca bianca all’interno del partito di Erdogan, Akp di cui lo stesso Cavusoglu è un membro fondatore, partito spesso accusato di ‘incompetenza’ dall’opposizione. La sua ascesa al governo parte da esperienze in Parlamento, prima di diventare nel 2013 il responsabile per le relazioni con l’Estero del partito e rappresentare la Turchia nella Commissione di Venezia e nei negoziati con l’Unione Europea.

Ministro dal 2014, Erdogan lo ha riconfermato due volte rendendolo l’unico ‘superstite’ da allora. In questi anni Cavusoglu ha dimostrato di non avere bisogno di Erdogan per camminare da solo. Conosce il pensiero del presidente, lo rispetta e ne segue la linea, ma i mezzi con cui realizzarla li sceglie lui e il presidente sa che può fidarsi. Molteplici voci si rincorrono sul fatto che Erdogan abbia fatto marcia indietro nella recente crisi degli ambasciatori proprio a causa della posizione di Cavusoglu.

Erdogan aveva promesso di cacciare 10 ambasciatori che avevano firmato una lettera alla vigilia del processo al filantropo Osman Kavala. Al culmine della crisi Cavusoglu ha annunciato che se l’espulsione fosse realmente avvenuta, i 10 erano già stati dichiarati ‘persona non grata’, avrebbe rassegnato le dimissioni.

Rumor e voci che si rincorrono, ma totalmente credibili, alla luce del fatto che Cavusoglu è probabilmente l’unico irrinunciabile per Erdogan, in questo momento più che mai. Un ministro che sa quando agire dietro le quinte, ma che allo stesso tempo sa alzare i toni quando serve e questo piace ad Erdogan. Cavusoglu non ha esitato ad accusare di ‘nazismo’ Olanda e Germania dopo che cittadini turchi sono stati caricati dalla polizia e comizi del partito vietati nei due Paesi in occasione del referendum per il passaggio al presidenzialismo.

Memorabile il momento in cui interrompe la conferenza stampa con il collega greco Nikos Dendias ad Ankara. Quella che doveva essere una visita di conciliazione delle eterne dispute nel Mediterraneo orientale è finita con il ministro turco che mette a tacere senza troppi giri di parole Dendias, che accusava la Turchia di violazioni mell’Egeo.

“Non poteva rimanere in silenzio”, commentò Erdogan e infatti Cavusoglu non rimase in silenzio. Sul tema mediterraneo orientale Cavusoglu non risparmia toni alti, rivendica i diritti della Turchia, attacca Atene, “se si arriva alle armi sono loro che hanno tutto da perdere”, disse, ma intrattiene ottimi rapporti con molti dei Paesi dell’area, Italia e Spagna incluse. Nelle mani del ministro turco in questi anni sono passati dossier delicatissimi e spesso le strade della diplomazia turca sono passate proprio da Mosca.

La mossa dell’acquisto del sistema di difesa missilistico russo è stata pensata per rammendare una relazione che aveva rischiato di compromettersi irrimediabilmente a novembre 2015, quando la Turchia abbattè un aereo russo al confine siriano. Un episodio che ha richiesto un fine lavoro di ricucitura passato anche attraverso s-400, una normalizzazione portata a termine brillantemente e che ha poi spianato la strada ad intese tutt’altro che semplici.

I molteplici accordi firmati tra Erdogan e Putin per il nord della Siria, la tacita intesa che ha spinto Mosca a ritirarsi dal sostegno ad Haftar in Libia, il negoziato messo in piedi per la pace in Nagorno Karabakh sono tutti esempi di compromessi raggiunti nonostante Ankara e il Cremlino sui tre campi di battaglia sostenessero parti contrapposte. Compromessi che hanno soddisfatto la linea di Erdogan, compromessi di cui Cavusoglu è stato protagonista.

Intese che hanno permesso ad Ankara di stabilire un filo diretto di dialogo con Mosca che nessun altro Paese può vantare nella Nato. Erdogan ha beneficiato di questo canale per porre in essere una mediazione che è stata l’unica a portare le parti dinanzi a un tavolo. Una mediazione partita già quando Mosca ammassava le prime truppe al confine ucraino, ma che poi a conflitto iniziato ha fatto registrare piccole ma significative vittorie.

Prima il vertice di Antalya con l’incontro tra ministri degli Esteri di Russia e Ucraina e la mediazione di Cavusoglu. Ultimo, lo spostamento dei negoziati in Turchia dalla Bielorussia, vale a dire da un Paese non neutrale a uno neutrale. Nel mezzo un viaggio in Russia e uno in Ucraina e diverse telefonate con le due capitali.

Una strategia contraddistinta dalla totale equidistanza: a un approccio con Kiev segue sempre un passo verso Mosca. La giornata di martedi scorso è quella che “ha fatto registrare i progressi più importanti” con le delegazioni che hanno “raggiunto un accordo su diversi punti”, come rivelato da Cavusoglu, a margine dell’incontro di circa tre ore che ha avuto luogo a Istanbul.

“Per risolvere i problemi irrisolti serve un incontro tra i ministri degli Esteri dei due Paesi”, disse appena 2 giorni fa. Incontro che potrebbe avvenire ‘in una o due settimane’, ha detto oggi, che ha anche annunciato che Putin potrebbe arrivare in Turchia presto per incontrare Erdogan e forse Zelensky. L’incontro tra Putin e Zelensky è ritenuto da Erdogan la chiave di volta della crisi, Cavusoglu lo sa e lavora per renderlo possibile, regalando al presidente turco la ribalta inernazionale e un ritorno di immagine importantissimo in vista delle elezioni delle prossimo anno.

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