L’ombra della crisi ucraina sulla campagna elettorale di Orban

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ESCLUSIVA AGI

Intervista all’AGI di Stefano Bottoni, esperto di storia dell’Europa orientale e docente presso l’Università di Firenze, che spiega come il premier magiaro sia “stretto tra la pressione occidentale di conformarsi alla posizione comune dell’Ue e l’aspettativa russa di essere difesi”

Il premier ungherese, Viktor Orban

La crisi ucraina ha degli effetti meno visibili dell’escalation militare e diplomatica internazionale e sono quelli sui consensi e le strategie interne dei leader occidentali, impegnati in delicate campagne elettorali in patria: non solo l’America di Joe Biden, in crisi di consensi e con lo spettro delle midterm di novembre, ma anche la Francia di Emmanuel Macron, che ad aprile dovrebbe correre per un secondo mandato, e l’Ungheria di Viktor Orban, che tra meno di cinque settimane affronta per la prima volta alle urne il candidato unico della variegata coalizione di opposizione, Peter Marki-Zay.

“Orban è stretto tra la pressione occidentale di conformarsi alla posizione comune dell’Ue e l’aspettativa russa di essere difesi. L’opposizione ungherese sta già bombardando il premier sull’allineamento col Cremlino, facendo emergere le contraddizioni interne alla sua politica estera”, spiega in un’intervista all’AGI Stefano Bottoni, esperto di storia dell’Europa orientale e docente presso l’Università di Firenze.

Ieri, dopo un momento di tentennamento, secondo quanto ha riportato Reuters, Budapest si è conformata alla decisione di Bruxelles di varare nuove sanzioni contro Mosca, dopo il riconoscimento delle Repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk. Bottoni è tra gli analisti che vedono Orban e il suo partito di destra Fidesz i favoriti alle urne il prossimo 3 aprile, ma evidenzia anche come una possibile escalation militare possa “smascherare il doppio binario” del premier, offrire un’arma in più ai suoi rivali politici e inasprire le relazioni con Mosca, a cui sono legati alcuni grossi progetti economici.

“Il doppio gioco di Orban – che dal Cremlino importa la tecnologia politica di un sistema ancora multipartitico, ma sempre più autoritario nella gestione del potere e allo stesso tempo fa parte dell’Ue, della Nato e destina l’80% dell’export ungherese all’Unione europea – funziona in condizioni di normalità, che ora però sono state scardinate”.

“Se la minaccia di guerra dovesse rientrare, Orban potrà gestire il dossier senza perdere la faccia, adeguandosi alle decisioni europee e continuare a non condannare pubblicamente le azioni di Mosca“, prevede Bottoni, “ma se si arriva all’escalation militare questo particolare rapporto di collaborazione sarà difficile da gestire”.

L’esperto vede, prima di tutto, già una “crisi della narrazione” interna: per anni i media controllati dallo Stato hanno trasmesso messaggi filo-russi, Kiev è dipinta come un governo venduto agli occidentali, l’Ucraina come un Paese che maltratta le minoranze e quindi anche i quasi 150.000 ungheresi della regione di confine della Transcarpazia.

“Questa narrazione ha conquistato l’elettorato di Fidesz, ribaltando il mindset storico della destra ungherese, per tutto il Novecento anti-sovietica e anti-russa”. Con un’aggressione su vasta scala dell’Ucraina, questa nuovo stato mentale subirebbe un “cortocircuito”, sottolinea Bottoni, “soprattutto in un Paese con una forte memoria storica e che ha sperimentato la rivoluzione anti-sovietica del 1956″, soffocata dall’Armata rossa.

A quel punto, per Orban non sarà facile mantenere la sua ambiguita’: “Con un’invasione si aprirebbero scenari fino a poco fa impensabili, con masse di profughi ai confini ungheresi e la destabilizzazione delle regioni circostanti. Il premier si dovrebbe schierare, con conseguenze oggi imprevedibili sull’elettorato e sui rapporti con Mosca. In ballo c’è ancora il principale progetto bilaterale, l’ampliamento della centrale nucleare di Paks, per un valore da oltre 12 miliardi di euro, ma anche un nuovo impianto farmaceutico a Debrecen per fabbricare il vaccino Sputnik V in Ungheria.

 

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