Erdogan mediatore della crisi ucraina ma l’economia in Turchia è allo stremo

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Negli ultimi mesi in Turchia si è registrata un’impennata dell’inflazione, al 48,7% a gennaio, e un crollo della lira turca, che ha perso il 50% del proprio valore nel 2021 rispetto a dollaro ed euro.

© Celestino Arce / NurPhoto / AFP
– Il presidente Turco Recep Tayyip Erdogan e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky

AGI – Si prospettano due mesi fitti di impegni per il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan. Appena rientrato da Kiev, dove ieri ha incontrato l’omologo ucraino, Vladymyr Zelensky, ponendo le basi per una mediazione nella crisi con la Russia, attende ora di definire la data della visita in Turchia del presidente russo, Vladimir Putin.

Il presidente turco è atteso in Arabia Saudita e negli Emirati Arabi e a marzo incontrerà ad Ankara il presidente israeliano Isaac Herzog.

Ankara ha ormai da mesi inserito tra le priorità la normalizzazione dei rapporti con attori rivali in un territorio che spazia dal Mediterraneo orientale fino al Caucaso, dal Medio Oriente alla Russia.

Una normalizzazione cui Erdogan è spinto anche dalla necessità di distogliere l’attenzione e il dibattito dalla crisi economica che strozza da mesi la Turchia e che negli ultimi mesi ha fatto registrare un’impennata dell’inflazione, al 48,7% a gennaio, e un crollo della lira turca, che ha perso il 50% del proprio valore nel 2021 rispetto a dollaro ed euro.

L’iperattivismo di Erdogan si spiega anche con la necessità di rasserenare i mercati, procacciare appalti, provvigioni e contratti per le aziende turche, stringere accordi commerciali, finanziari e turistici, ma anche intese importanti per l’accesso a risorse energetiche che diminuiscano la dipendenza dalla Russia.

Per l’economia in crisi nera di un Paese che negli anni scorsi ha perso il treno per l’Europa, dimenticare i rancori e lavorare con vicini e rivali storici diventa vitale per garantire entrate in moneta straniera mancate negli ultimi anni.

Allo stesso tempo la precarietà della situazione finanziaria e la mancanza di paracaduti per una moneta già crollata e un’inflazione già alle stelle costringono Erdogan a guardarsi intorno il più possibile, nella consapevolezza che una guerra tra Russia e Ucraina avrebbe delle ripercussioni disastrose anche sull’economia turca.

Russia-Ucraina

“Vogliamo far sedere allo stesso tavolo Putin e Zelensky per un vertice di alto livello. Con Zelensky abbiamo agito in questa direzione. Purtroppo i tentativi di mediazione dell’Occidente non hanno portato a nessun risultato. La tensione aumenta e siamo pronti a essere il valore aggiunto per far calare questa tensione”, ha detto Erdogan di ritorno da Kiev, specificando che con la Russia le relazioni sono “eccellenti”. In attesa di conoscere la data della visita di Putin ad Ankara, va ricordato che nella conferenza stampa a margine dell’incontro con Zelensky, il presidente turco ha ribadito il sostegno alla difesa dell’integrità territoriale dell’Ucraina “compresa la Crimea”.

Erdogan ha proposto più volte la candidatura della Turchia a mediatore della crisi, facendo valere i buoni rapporti con entrambi i Paesi, ma spingendosi in un difficile esercizio di equilibrismo diplomatico.

Mantenere i buoni rapporti con i due Paesi ed evitare una guerra tra loro significherebbe anche garantire linfa al settore turistico, che costituisce il 13 % del pil turco.

Settore in cui i russi figurano da anni al primo posto, 5 milioni nel 2021; anno in cui gli ucraini figurano al terzo posto con 2,1 milioni di visitatori. Ossigeno per uno dei settori più colpiti dalla pandemia e per l’economia delle regioni della costa turca.

Tornando alla crisi in corso, i rapporti tra Erdogan e Putin sono a forte rischio non tanto per la posizione presa dal leader turco, ma soprattutto per la collaborazione in ambito energetico e militare tra Ankara e Kiev.

Il protocollo di cooperazione energetica siglato con Zelensky persegue la linea di diversificare le fonti di approvvigionamento energetico sfruttando la propria posizione geografica, mentre al momento il 40% del fabbisogno di gas di Ankara è coperto dalla Russia.

Capitolo a parte la cooperazione nell’ambito della Difesa. Ankara non solo ha venduto i droni da combattimento Baykar TB2 a Kiev, ma ha iniziato a produrne componenti sul suolo ucraino. Il fatto che i Baykar TB2 siano stati usati dall’esercito ucraino nel Donbass ha irritato non poco Putin.

Gli accordi nell’ambito della industria della Difesa, integrati con Zelensky, permettono alla Turchia di rinnovare un apparato rimasto sostanzialmente immutato dai tempi dell’Unione Sovietica. Per Erdogan un affare imperdibile, il cui prossimo step sarà la a produzione di aerei da trasporto militare An-178 e corvette veloci per pattugliare le coste nei cantieri navali di Mykolaiv, porto ucraino del Mar Nero.

Pecunia non olet, ma si tratta di una collaborazione che non può far piacere a Putin, che proprio nel Mar Nero ha potenziato la propria flotta e portato sommergibili capaci di azioni a lunghissimo raggio nelle basi della Crimea. Da un lato la partnership crescente con l’Ucraina, dall’altro gli accordi in piedi con la Russia in Siria, l’acquisto del sistema missilistico S-400, le centrali nucleari in costruzione da parte di Rosatom in Turchia e le forniture di gas russo.

Ankara non solo rischia che Putin chiuda i rubinetti di gas, ma anche che Mosca dia il via libera al regime di Damasco per un attacco su Idlib, nel Nord-Ovest della Siria, dove Erdogan ha deciso di mantenere un contingente militare, per garantire che i bombardamenti russo-siriani non spingano tre milioni di civili verso la frontiera turca.

Una catastrofe umanitaria che Erdogan vuole evitare a tutti i costi anche in vista delle elezioni del 2023, una mazzata che l’economia non può permettersi in questo momento, così come non può permettersi una guerra tra Russia e Ucraina.

Allo stesso tempo Erdogan dovrà cercare di mantenere buoni rapporti con entrambi i Paesi e non perdere gli accordi conclusi a livello industriale, energetico, commerciale e militare con entrambi.

Armenia

Il processo di normalizzazione con l’Armenia è probabilmente il meno significativo dal punto di vista economico, ma di sicuro, il più importante dal punto di vista simbolico.

Allacciare le relazioni da sempre soffocate dal peso dei tragici fatti del 1915 costituirebbe una vittoria sul piano dell’immagine, ma anche una carta da giocare con Paesi come Stati Uniti e Francia con cui la polemica sul genocidio armeno costituisce da sempre un nervo scoperto.

Il prossimo incontro tra delegati è stato annunciato per il 24 febbraio. Conferma di un dialogo in piedi dopo il primo incontro, dal 2009, tra delegati dei due Paesi, avvenuto il 14 gennaio a Mosca.

Incontro grazie al quale due giorni fa sono partiti i voli tra Istanbul e Erevan, mentre altre rotte dal valore turistico oltre che simbolico sono in cantiere per connettere l’Armenia con Kars e Van, città della Turchia orientale ricche di testimonianze della presenza armena nel nord est turco. Le delegazioni hanno anche raggiunto un accordo per una campagna di restauro di chiese, monasteri e palazzi armeni dell’Est della Turchia.

Accordi al momento simbolici, ma importanti per rafforzare la fiducia reciproca che tra Ankara e Erevan è sempre mancata.

Israele

Il presidente israeliano Isaac Herzog è atteso in Turchia a marzo. Segnale di disgelo nei rapporti tra i due Paesi, congelati dal 2010 in seguito all’incidente della nave Mavi Marmara, che costò la vita nove cittadini turchi. La Turchia ha interesse a dialogare con Israele per far passare attraverso le proprie infrastrutture il gas dell’enorme giacimento denominato ‘Leviatano’, destinato ad arrivare in Europa.

Gli Usa hanno abbandonato il progetto di un gasdotto che, passando dalla Grecia, avrebbe escluso la Turchia, spingendo al dialogo Israele e Turchia. Il 21 gennaio i ministri degli Esteri di Turchia e Israele sono tornati a parlare per la prima volta dopo 13 anni.

Nel 2018 i rapporti tra i due Paesi sono stati ulteriormente avvelenati da mesi di polemiche su Gerusalemme capitale che sfociarono in una nuova espulsione degli ambasciatori, appuntati solo pochi mesi prima in sedi diplomatiche vuote dal 2010, dal post Mavi Marmara. Proprio il conferimento dell’incarico a nuovi ambasciatori potrebbe essere il passo successivo alla visita di Herzog ad Ankara e la conferma che la collaborazione tra i due Paesi è definitivamente ripartita.

Arabia Saudita

“Andrò a Riad a febbraio, sono atteso per una visita che avevo promesso”, ha detto Erdogan, assicurando di far ripartire l’export verso l’Arabia Saudita.

In attesa di sapere se il presidente turco incontrerà il re o il principe ereditario Mohammed Bin Salman (MbS) si tratta di una mossa comunque inattesa dopo lo scontro per il caso del giornalista saudita Jamal Khashoggi, scomparso nel consolato saudita a Istanbul nell’ottobre del 2018, in seguito a un’operazione dei servizi segreti di Riad voluta da MbS. Nelle settimane seguenti Erdogan rivelò i particolari dell’indagine mettendo a nudo le responsabilità dell’erede al trono saudita e causando una rottura tra i due Paesi.

Da non sottovalutare l’importanza di accordi turistici e commerciali di varia natura che darebbero ossigeno all’economia turca, con Riad che aveva posto un blocco alle importazioni turche proprio per le accuse di Erdogan.

Emirati Arabi

Lo spiraglio con i sauditi non sarebbe forse stato possibile senza il riavvicinamento con gli Emirati. Sempre a febbraio Erdogan è atteso in visita ufficiale negli Emirati Arabi, dove è stato invitato del principe ereditario di Abu Dhabi, Mohammed bin Zayed al Nahyan.

Il principe è stato in visita ad Ankara a fine novembre, ponendo fine a uno stop alle relazioni tra i due Paesi che andava avanti dal 2012. Al termine della visita gli Emirati hanno annunciato l’apertura di un fondo di investimenti di 10 miliardi di dollari in Turchia, mentre Ankara ha annunciato la firma di 10 protocolli di intesa, i più importanti dei quali in ambito commerciale, finanziario ed energetico.

Alla visita del principe in Turchia è seguito il viaggio negli Emirati di una delegazione del governo turco guidata dal ministro degli Esteri di Ankara, Mevlut Cavusoglu, che ha portato avanti il dialogo con il collega emiratino, Sheykh Abdullah Bin Zayed Al Nahyan.

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