L’ipotesi Draghi e il “trasloco” inedito da Palazzo Chigi al Colle

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L’elezione di un presidente del Consiglio in carica a presidente della Repubblica, in caso si verificasse questa opzione, pone degli interrogativi sui quali gli studiosi non sono concordi 

Mario Draghi

Il ‘trasloco’ da palazzo Chigi al Quirinale sarebbe un inedito assoluto, tanto che i costituzionalisti sono divisi sull’iter corretto che i protagonisti dovrebbero tenere: chi dovrebbe convocare le consultazioni per incaricare il nuovo premier? Il Capo dello Stato uscente o quello appena eletto? L’elezione di un presidente del Consiglio in carica a presidente della Repubblica, se Mario Draghi venisse eletto, pone degli interrogativi sui quali gli studiosi non sono concordi.

Il nuovo presidente solitamente entra in carica allo scadere del mandato del predecessore, in questo caso dal 3 febbraio in poi; per consuetudine e cortesia gli ultimi presidenti uscenti si sono dimessi non appena eletto il loro successore. Questo passaggio potrebbe essere rispettato, ma il presidente uscente, ancora nel pieno delle sue funzioni seppure per poche ore, dovrebbe prima attendere di ricevere il successore che dovrebbe dimettersi da presidente del Consiglio.

Perché, una volta eletto il premier, si aprirebbe il problema dell’assenza di un successore a palazzo Chigi. E i costituzionalisti si dividono sui passaggi che dovrebbe percorrere: secondo alcuni Draghi decadrebbe da premier non appena eletto presidente e dovrebbe essere dunque ancora Mattarella a nominare il nuovo inquilino di palazzo Chigi, procedendo eventualmente con le consultazioni.

Secondo altri invece, appena eletto il successore, Mattarella si potrebbe dimettere per permettere a Draghi di entrare pienamente nelle sue funzioni. A quel punto il nuovo presidente della Repubblica riceverebbe il presidente del Consiglio supplente, che si dimetterebbe (come da prassi e per cortesia istituzionale) e il nuovo presidente dovrebbe procedere a consultazioni per incaricare un nuovo premier (con una maggioranza uguale o diversa) o in caso di mancato accordo tra i partiti allo scioglimento delle Camere per indire a tambur battente nuove elezioni. 

Resta il nodo del governo, perchè le dimissioni del premier di fatto coinvolgono l’intero esecutivo. Non sarebbe la prima volta che il primo atto di un presidente è l’incarico di un nuovo premier, già diversi presidenti in passato hanno avuto la formazione di un nuovo governo come primo impegno (basti pensare a Giorgio Napolitano nel 2013), ma si tratterebbe della prima volta in cui un presidente cerca un sostituto di se stesso.

E su questa novità il dibattito tra studiosi della Carta è aperto. Giulio Enea Vigevani, docente di diritto costituzionale all’Università di Milano-Bicocca, non ha dubbi: “il presidente del Consiglio, appena eletto presidente della Repubblica, si dimette e, in base all’articolo 8 della legge 400 dell’88 sulla presidenza del Consiglio, o indica vicepremier un suo ministro che lo supplisce o viene sostituito dal ministro più anziano (in questo caso Renato Brunetta)”.

“A quel punto Draghi potrebbe giurare e ricevere il presidente del Consiglio supplente che a sua volta presenterebbe le dimissioni di cortesia. Se su quel nome c’è già un accordo, dopo un voto di fiducia, il premier entrerebbe in carica a pieno titolo, altrimenti il nuovo presidente della Repubblica convocherebbe le consultazioni e incaricherebbe un nuovo presidente del Consiglio”. Tutto in pochi giorni, per dare rapidamente un governo al Paese. AGI

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