I laburisti tornano a sperare dopo i disastri di Johnson

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Il ‘partygate’ del premier apre a prospettive impensabili fino a poco tempo fa. È dal dicembre 2013 che i sondaggi non mostravano numeri così convincenti per il partito guidato da Keir Starmer

Keir Starmer, leader dei laburisti

 

AGI – Nel quartier generale dei laburisti britannici si seguono con particolare attenzione le evoluzioni del cosiddetto “partygate” del premier Boris Johnson, ossia le feste organizzate in barba alle misure di lockdown varate dal suo stesso governo.

In particolare, in casa Labour girano freneticamente di mano in mano gli ultimi sondaggi, che aprono prospettive elettorali impensabili fino a poco tempo fa: secondo un rilevamento di YouGov pubblicato dal Times, il partito oggi guidato da Keir Starmer gode di ben dieci punti di un vantaggio sui Tories di BoJo, definito “una vergogna” sulla prima pagina del Daily Mirror.

È dal dicembre 2013 che i laburisti non vedevano numeri del genere. Ed è dal 2005 che non vincono le elezioni parlamentari, e l’ultima affermazione significativa alle amministrative risale al 2011. Mentre in campo conservatore si stanno facendo nomi di possibili successori di Johnson (la ministra degli Esteri Liz Truss e il titolare delle Finanze Rishi Sunak), sul fronte del Labour si fanno i conti con la storia.

A cominciare dalla fine, ossia dalla cocente sconfitta del 2019 sotto Jeremy Corbyn, quando i laburisti registrarono il peggior risultato dal 1935 in quanto a suddivisione dei seggi parlamentari: e non solo riuscirono a tenere appena 203 circoscrizioni, ma particolarmente dolorosa fu la perdita di molti collegi della cosiddetta “red wall”, al nord e nelle midlands, che per decenni erano stati roccaforti Labour.

Sono lontani i trionfi di Tony Blair che nel 1997 mise termine a 18 anni consecutivi di governi tory. Al premier della cosiddetta “terza via” e della “cool Britannia” riusci’ portare a casa anche la vittoria nel 2001 e nel 2005, finché non dovette lasciare Downing Street nel 2007 in seguito alle infinite proteste causate dall’impegno britannico della guerra in Iraq, passando il testimone a Gordon Brown.

Dopo tre anni di governo di quest’ultimo, già cancelliere dello scacchiere per un decennio, la sequenza di vittorie del Labour Party si interruppe alle elezioni del 2010, con una sconfitta che mise fine al “decennio laburista”.

Da allora il partito che fu di Attlee, Wilson e Blair è stato ininterrottamente all’opposizione: abbiamo visto negli anni il duello tra i fratelli Miliband (Ed e David) ai vertici del Labour, il ritorno verso posizioni più classicamente socialdemocratiche rispetto all’epoca Blair con annesso un maggiore accento alle politiche sociali e al welfare, ed infine una nuova sconfitta cocente: nel 2015, quando anche Ed Miliband ha dovuto fare i conti con la realpolitik delle urne, con tanto di immediate dimissioni.

Per quanto trascinato da una base festante, non è andata meglio al suo successore, Jeremy Corbyn, eletto leader del Labour nel settembre 2015. Pur avendo sfiorato la vittoria alle elezioni parlamentari del 2017, con un risultato superiore al 40%, in quella occasione nessuno dei due maggiori partiti britannici arrivò alla maggioranza dei voti.

La speranza dell’allora premier Theresa May di rafforzare i Tory per guidare la transizione della Brexit s’infranse nella constatazione di dover accettare il sostegno dei nord-irlandesi della Democratic Unionist Party. Niente da fare: anche la stella di Corbyn era destinata ad appannarsi rapidamente.

Gli analisti spiegano la drammatica disfatta del 2019 non solo con un Boris Johnson in sfolgorante ascesa, ma anche con le infinite divisioni interne ai laburisti. Il partito vedeva su opposti fronti l’élite parlamentare e la base corbyniana, con le durissime polemiche sull’antisemitismo all’interno del partito che il leader non è mai riuscito a dissipare definitivamente.

Inoltre, l’agenda ‘radical’ dei nuovi laburisti non aveva convinto il centro del Paese, in particolare l’idea della nazionalizzazione dell’energia, delle poste e delle ferrovie, ovvero una “grande riforma radicale” che a molti suonò un po’ troppo come la sinistra dei tempi che furono.

In più, come rilevato dalla Bbc in un’analisi a caldo dopo il voto, “il legame tra il partito e la sua base tradizionale nella classe lavoratrice è gravemente strapazzata“, parallelamente al declino del Labour nei distretti industriali e minerari, sempre più abbandonati a se stessi.

Emblematiche le sconfitte nel collegio di Don Valley, South Yorkshire, andato ad un conservatore per la prima volta dal 1922. Lo stesso a Bishop Auckland: pure qui nel 2019 è stato un Tory a vincere. Non era mai successo in 134 anni. Sono spettri difficili da scacciare. Starmer spera di poterci provare, anche grazie ai party di BoJo. 

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