La libertà come  bisogno

Politica

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Con il passare del tempo mi vado sempre più convincendo, a torto o a ragione, che se l’uomo non si fosse evoluto e non avesse intrapreso la strada della comunicazione e delle relazioni sociali, e se non avesse seguito i dettami della ragione ora saremmo ancora nelle caverne a guardare le ombre, a disegnare graffiti sulla roccia, a mangiare radici, a confondere il parlare con il gesticolare.

L’uomo come si sa nasce indeterminato, privo cioè di istinti sia rigidi che malleabili,come afferma qualcuno. Condizione che noi oggi potremmo tranquillamente chiamare “di follia”; sicchè l’età della ragione non sarebbe altro che la fine di un percorso in cui abbiamo “imparato a vivere”, ponendo limiti alla nostra “follia”.  I limiti, i divieti che ci siamo o che ci hanno imposto ci hanno consentito di vivere con meno pericoli per la nostra incolumità e di modificarci in quell’essere sociale capace di divenire la specie dominante nel mondo.

Senza divieti ed impedimenti non ci sarebbe nemmeno il concetto di libertà. La libertà, infatti, come concetto e come bisogno, come inalienabile e indispensabile anelito di vita nasce dai limiti imposti alle nostre azioni dalla nostra stessa vita. Naturalmente non tutti gli impedimenti rispondono a queste caratteristiche. Si può, in ogni caso, affermare che la nostra libertà si sviluppa e cresce attraverso i vincoli e le imposizioni che via, via ci siamo dati o che ci hanno imposto.

 Si sostiene che  la libertà individuale ad agire e ad  operare trova in una società democratica e civile un limite invalicabile, quello di conciliare la propria libertà individuale con il rispetto per la libertà degli altri; le limitazioni, le norme, le regole imposte dallo Sato servirebbero per fermare e frenare il libero arbitrio che trasformerebbe la società in una giungla ingestibile dove ognuno si sentirebbe libero di compiere le proprie azioni senza riconoscere che la libertà del singolo non deve penalizzare la libertà degli altri e dell’intera comunità. Passare dinanzi ad una gioielleria potrebbe stimolare un gran desiderio, quello di entrarci di comprare o prendere il gioiello più bello ed uscirsene impunemente senza pagarlo o di rompere il cristallo della vetrina espositiva per prendersi l’oggetto più prezioso e che più lo intriga.

La norma codicistica che impone di non rubare ha l’effetto di mettere sotto controllo questi istinti; la limitazione della libertà personale trova la sua ratio proprio nel rispetto delle altrui liberta per evitare che la società diventi una giungla ingestibili o un sorta di torre di babele non meritevole d’essere definita società civile e democratica e priva dei più elementari principi etici. La sopravvivenza ed ogni progresso ottenuto dall’uomo sono strettamente e fondamentalmente collegati a due fattori: la limitazione delle nostre “folli esigenze” e la ricerca sempre più accresciuta di unire tutta la potenza che intelligenza ed esperienza comune possano realizzare.

La razionalità però di per se è piatta, e per dare un senso alla vita dobbiamo attingere alla nostra parte folle, quella perversa ed irrazionale dove coesistono virtù e perversioni (una sorta di zona grigia che ciascuno di noi si porta con se e che spesso condiziona anche il nostro carattere ed il nostro agire).

La ragione da parte sua deve a sua volta aiutarci a non perderci nella follia. Per questo l’uomo, in qualche modo, è costretto a vivere perennemente tra il bisogno, l’anelito di ciò che noi chiamiamo libertà, senza di cui saremmo impediti nel processo di crescita e di gioia di vivere e la sua necessaria limitazione. Oggi, nonostante questo concetto non sia di moda, non è errato affermare che i Paesi più civili sono anche quelli che hanno più imposizioni da rispettare. Più si allarga lo scenario del nostro vivere, da famiglia a tribù, a popolo, a clan o a nazione, maggiori sono le possibilità del nostro agire, e maggiori i limiti della nostra azione, anche se molto spesso non ci siamo fatti scrupoli di eliminare fisicamente chiunque intralciasse i nostri propositi.

Il sistema economico che ha fatto da traino a tutto il processo di avanzamento avvenuto, ha fatto leva sulla  spinta dovuta ai privilegi di chi deteneva il potere, poi di caste economiche che si sono affermate ed infine sullo stimolo egoistico individuale. Tale spinta, assieme alla travolgente corsa dello sviluppo tecnico scientifico anziché valorizzare, ha marginalizzato il ruolo dell’individuo, ha reso ancora maggiormente legato ogni uomo all’altro rendendolo quasi cellula di un corpo unico, sempre più dipendenti l’uno dall’altro, la pandemia in atto ne è un esempio. Ogni uomo preso singolarmente è incapace di risolvere i problemi che l’oggi pone senza rivolgersi a chi ha più competenza ed è proprio questo lo rende meno importante e più limitato nella sua libertà individuale. Le conoscenze a disposizione, nel contempo, hanno messo ulteriormente in luce la progressiva limitatezza ed insignificanza del singolo individuo, magari affermando il contrario.

Se nel passato culture e religioni hanno svolto il ruolo di cemento e orientamento fra gli uomini per consentire convivenza e collaborazione, oggi non sono più in grado di svolgere questa indispensabile funzione, mentre si moltiplicano le spinte disgregatrici dell’umanità.

La vittoria del capitalismo come sistema economico e di produzione, assieme alla tecno-scienza e di conseguenza come cultura ed etica predominante ha eliminato qualsiasi altra ipotesi del modo di vivere. In Occidente, tendiamo a ridurre tutto in relazione ai desideri individuali, tanto che perfino i desideri non esauditi passano per mancanza di libertà. Un mondo in cui le soddisfazioni del singolo sembrano l’unica ragione che da un senso alla vita.

Al contrario di ciò che si pensa, la velocità dei risultati tecno-scientifici che tanto hanno alleviato la nostra esistenza, hanno costantemente e progressivamente limitato il ruolo di ogni singolo individuo, anziché legare tale processo alla valorizzazione dell’individuo stesso. In altre parole stiamo costruendo un mondo che sembra valorizzare l’individuo mentre lo sminuisce sempre più nella sostanza, anziché promuovere un progresso che metta al centro di ogni attività economica e sociale la valorizzazione di ogni singolo e le condizioni reali perché ognuno abbia la possibilità di realizzarsi.

L’economia che è il motore della società è sollecitata da spinte individualistiche che producono il risultato di alienare il ruolo fondamentale della vita umana che si vorrebbe salvaguardare, mentre siamo nella necessità di spinte comuni sia per far fronte ai problemi di sopravvivenza e di benessere per tutti e di concepire un percorso che consenta il respiro di ogni individualità. Il nichilismo dunque non è un modo di pensare, ma l’incapacità di risolvere le contraddizioni, le contrapposizioni, le spinte divaricanti. In assenza di una cultura che sappia armonizzare le ragioni di vita che oggi sono necessarie si produce un substrato culturale che spinge all’individualismo, all’egoismo come elemento che risulta deflagrante nei confronti della necessità di un progetto che ha bisogno invece di grande unità per risolvere i problemi esistenti come quello principale della salvaguardia dell’ambiente, ma non solo quello.

 Giacomo Marcario  

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