Obbligo vaccinale per il personale scolastico, si o no?

Vaccini obbligatori e bilanciamento dei diritti, diritto alla salute e privacy. Alcune brevi riflessioni

Attualità & Cronaca

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L’Italia è stato il primo Paese europeo ad introdurre l’obbligo vaccinale contro il Covid-19 per professioni sanitarie e operatori di interesse sanitario (art. 4 D.L. 1 aprile 2021 n.44, convertito in Legge n. 76.2021).

Negli ultimi giorni si parla della possibilità di estendere l’obbligo vaccinale anche per il personale scolastico. Una proposta che ha scatenato un forte dibattito, dentro e fuori il Parlamento, tra favorevoli e contrari all’iniziativa.

Al centro della discussione vi sono questioni legate soprattutto alla tutela della salute, alle libertà costituzionali ed alla privacy.

Cosa dice la Corte Costituzionale?

Il dibattito sul bilanciamento dell’obbligo vaccinale con i principi costituzionali non è una novità assoluta. La questione è sorta già in passato, in relazione alla vaccinazione obbligatoria per i bambini.

L’art. 32 della Costituzione stabilisce che: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.

Si tratta di capire se l’obbligo vaccinale imposto per legge possa considerarsi contrario alla libertà di scelta in relazione al trattamento sanitario.

L’obbligo vaccinale anche per il personale scolastico pone un problema non nuovo. La Consulta si è pronunciata per la prima volta sull’argomento con la sentenza n. 307 del 1990. In quella occasione ha riconosciuto la legittimità costituzionale dell’obbligo della vaccinazione antipoliomielitica sui bambini.

In quella sentenza, la Consulta ha chiaramente affermato che “la vaccinazione antipoliomielitica per bambini entro il primo anno di vita, come regolata dalla norma denunciata, che ne fa obbligo ai genitori, ai tutori o agli affidatari, comminando agli obbligati l’ammenda per il caso di inosservanza, costituisce uno di quei trattamenti sanitari obbligatori cui fa riferimento l’art. 32 della Costituzione. Tale precetto nel primo comma definisce la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività; nel secondo comma, sottopone i detti trattamenti a riserva di legge e fa salvi, anche rispetto alla legge, i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

Bilanciamento dei diritti

La Corte ha stabilito tre princìpi fondamentali, che possono ritenersi validi anche per l’obbligo vaccinale anti convid19 per il personale scolastico.

In primo luogo, una legge che impone un trattamento sanitario obbligatorio non è incompatibile con l’art. 32 Cost. se tale trattamento è finalizzato a migliorare o preservare la salute del singolo e dell’intera collettività.

In secondo luogo, un trattamento sanitario può essere imposto solo se questo non incide in modo negativo sulla salute di colui che lo riceve, fatta ovviamente eccezione per le conseguenze immediate e temporanee (si pensi ad esempio all’arrossamento e al dolore della sede dell’iniezione, o alla febbre).

Terzo punto, occorre tener conto della dimensione collettiva della salute, basata sul principio di solidarietà fra l’individuo e la collettività, ricavabile dall’art. 2 Cost. E’ soprattutto questo principio che sta alla base dell’imposizione del trattamento sanitario: la tutela della salute pubblica nella sua dimensione collettiva fondata sulla solidarietà sociale, giustifica la compressione del diritto all’autodeterminazione.

Tali princìpi sono stati ribaditi dalla Corte Costituzionale in altre sentenze più recenti.

“Ciò che conta è l’esistenza di un interesse pubblico di promozione della salute collettiva tramite il trattamento sanitario, il quale, per conseguenza, viene (e può essere) dalla legge assunto ad oggetto di obbligo legale” (sentenza n. 226 del 2000). 

E poi anche nella sentenza n. 5 del 2018. Anche in tale occasione, la Consulta ha ribadito che la scelta di rendere obbligatori determinati trattamenti vaccinali non è una scelta illegittima o irragionevole, poiché volta a tutelare la salute individuale e collettiva e fondata sul dovere di solidarietà nel prevenire e limitare la diffusione di alcune malattie.

La privacy

L’art. 32 della Costituzione e le pronunce della Consulta sono piuttosto chiare. Molto più complesso è il tema legato al bilanciamento della tutela della salute collettiva con la tutela della privacy.

In effetti, molte sono le incognite sul come poter verificare l’adempimento senza compromettere la protezione dei dati personali degli interessati.

Il problema si presenta già al momento della prenotazione del vaccino. Il comma 5 dell’art. 3 del D.L. del 14 gennaio 2021 prevede che le Regioni e le Province Autonome debbano trasmettere al Ministero della Salute i dati personali dei soggetti sottoposti a vaccinazione anti Covid 19, tramite le proprie piattaforme informatiche o utilizzando la piattaforma nazionale.

Ancor più delicato il caso dell’accertamento sul posto di lavoro, proposto dal DDL Ronzulli.

Sul punto, il Garante della Privacy ha pubblicato alcune FAQ nel febbraio 2021 in merito al “Trattamento di dati relativi alla vaccinazione anti Covid-19 nel contesto lavorativo”.

Raccomandazioni confermate nel recente documento intitolato “Vaccinazione nei luoghi di lavoro: indicazioni generali per il trattamento dei dati personali”, allegato al Provvedimento n. 198 del 13 maggio 2021.

Il Garante afferma anzitutto che il datore di lavoro non può in alcun modo e in nessun momento chiedere ai propri dipendenti di fornire informazioni sul proprio stato vaccinale o copia di documenti che lo attestino. Inoltre, che non si può considerare lecito il trattamento, da parte del datore di lavoro, dei dati dei dipendenti relativi alla vaccinazione sulla base del consenso dei dipendenti stessi. Tale manifestazione di volontà – spiega il Garante – “non può costituire in tal caso una valida condizione di liceità in ragione dello squilibrio del rapporto tra titolare e interessato nel contesto lavorativo” (Considerando 43 GDPR). Allo stesso modo, il medico competente non può comunicare i dati al datore di lavoro qualora gli venisse richiesto.

Meno rigide e più prudenti, invece, le considerazioni relative all’ipotesi di rendere la vaccinazione un requisito indispensabile per lo svolgimento di determinate professioni, attività lavorative e mansioni.

In un tale quadro, il Garante rinvia agli interventi del legislatore. Precisa però che “solo il medico competente, nella sua funzione di raccordo tra il sistema sanitario nazionale/locale e lo specifico contesto lavorativo e nel rispetto delle indicazioni fornite dalle autorità sanitarie anche in merito all’efficacia e all’affidabilità medico-scientifica del vaccino, può trattare i dati personali relativi alla vaccinazione dei dipendenti e, se del caso, tenerne conto in sede di valutazione dell’idoneità alla mansione specifica”. Il datore di lavoro, invece, dovrà soltanto limitarsi ad attuare le misure indicate dal medico competente nei casi di giudizio di parziale o temporanea inidoneità alla mansione cui è adibito il lavoratore.

Giuseppe Nuzzo

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