Osservazioni sul Novecento

Arte, Cultura & Società

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Defoe, Voltaire, Diderot, Stendhal, Balzac, Dickens, Flaubert, Tolstoj, Stevenson, Conrad avevano certamente indagato a fondo l’animo umano, ma non avevano descritto puntigliosamente gli atomi psichici.

Nel Novecento letterario il mondo ed anche la psiche sono costituiti da frammenti eterogenei e la verità umana si trova solo nel dettaglio. La verità si fa puntiforme.

Il protagonista dei grandi romanzi del ’900 solitamente è un inetto, un paranoico o un tipo con tratti schizoidi. Probabilmente il protagonista spesso è un inetto per eludere l’interazione tra azione ed essere.

Bergson infatti scrisse che ciò che facciamo è in relazione con ciò che siamo, ma che allo stesso tempo diveniamo anche ciò che facciamo. L’acqua agitata quindi non rispecchia il volto dell’uomo. Gli scrittori necessitano dell’immobilità dei loro personaggi.

Si concentrano esclusivamente sull’interiorità dei personaggi. Questi personaggi fittizi sono troppo grotteschi, troppo eccentrici, troppo tarlati per essere reali. Anche se c’è molta verità umana in loro (la spersonalizzazione, la frammentazione psichica, il disagio esistenziale) finiscono per essere caricaturali.

I romanzi del ’900 però sono i segni di una crisi profonda. Cito tra tutti “L’uomo senza qualità” di Musil, “Oblomov” di Goncarov, “Auto da fé” di Canetti, “La cognizione del dolore” di Gadda, “La coscienza di Zeno” di Svevo. Ma di esempi se ne potrebbero fare altri. Nietzsche aveva annunciato la morte di Dio.

La sua filosofia costituita non solo dalla volontà di potenza, dal superuomo, dall’eterno ritorno e dal vitalismo, comprendeva anche la genealogia della morale, la critica destabilizzante alle strutture metafisiche, la negazione del fatto in sé e l’affermazione di ogni possibile interpretazione ai fatti, l’offensiva ad una civiltà, che reprimeva e mistificava le forze istintuali dell’uomo.

Stirner ci aveva già avvertito quando scriveva che l’individuo è indicibile, anche se poi paradossalmente “fondava la sua causa sul nulla”. Altrettanto aveva fatto Kierkegaard sostenendo che l’esistenza è impredicabile. Più recentemente Foucalt aveva scritto che non solo Dio era morto, ma anche l’uomo era morto.

Per il filosofo francese l’uomo massificato non aveva più una sua fisionomia e non aveva più sembianze umane. Aveva scritto che il volto dell’uomo era un’ogiva disegnata sulla spiaggia, che sarebbe stata cancellata facilmente da un’onda più lunga del mare o dal soffio del vento.

Anche gli scienziati, che in età avanzata si scoprono saggisti, sono pessimisti. Monod ad esempio definisce l’uomo moderno uno zingaro ai margini dell’universo.

Jung riguardo al rapporto tra i progressi della scienza e l’umanità aveva scritto: “I voli spaziali sono soltanto una fuga da sé stessi, perché è più facile andare su Marte o sulla Luna che penetrare nel proprio io”. In attesa di nuovi stadi evolutivi e di nuove fasi antropologiche l’uomo contemporaneo, la cui psiche non è più una struttura equilibrata e bilanciata, può dimenticare se stesso nella prassi, ma mai giungere alla sintesi degli opposti, mai approdare alla totalità, considerando lo iato tra natura e arte, tra natura e cultura, tra natura e civiltà.

L’uomo contemporaneo non ha più la vitalità sufficiente per vivere il dionisiaco, né la saggezza per giungere all’apollineo. La società di massa e i media non aiutano. Le sensazioni, le informazioni, le notizie sono eccessive ed invece di fagocitarle finiamo noi stessi per essere fagocitati da queste.

Anche le quisquilie più irrilevanti, se si tratta di fatti che riguardano i vip, diventano cronaca. Poi interi massacri di popoli lontani vengono taciuti. D’altronde sono i paradossi della modernità.

Decenni fa un radiodramma di Orson Welles fu scambiato per un notiziario e creò il panico perché molti americani cedettero che l’America fosse stata veramente invasa dagli extraterrestri.

Oggi nessuna notizia crea più scompiglio. In un attimo la novità si perde nel dimenticatoio. Sorel aveva profetizzato che la modernità sarebbe stata caratterizzata sostanzialmente dalla velocità e dalla violenza.

Era stato lungimirante. Oggi infatti le notizie vengono presentate e scompaiono rapidamente; nella maggioranza dei casi trattano di cronaca nera. Tutto finisce per essere sciatto, ovvio, banale, risaputo.

Un tempo certi libri venivano messi all’indice. Oggi niente fa più scandalo. I romanzi sono troppo lunghi per essere letti. Perfino i racconti brevi oggi sono considerati troppo lunghi ed anche il minimalista e postmoderno Carver, maestro ineguagliabile della short story non è conosciuto al grande pubblico.

Allo stesso tempo nessun saggista prova più indignazione per essere un vero pamphlettista. Il mondo è proteiforme. Identità, appartenenze, culture stanno scomparendo. Il tessuto sociale si sta disgregando. Stanno scomparendo le comunità e la comunicazione autentica. L’individuo è atomizzato.

La massa è anonima. Il potere è così neutro da apparire impalpabile. Su tutto prevale l’immagine, la cupidigia, il culto del denaro ed un’etica del lavoro, che se analizzata risulta riprovevole moralmente.

La trilogia di Mastronardi (“Il maestro di Vigevano”, “Il calzolaio di Vigevano”, “il meridionale di Vigevano”) è eloquente a riguardo, illustra chiaramente la grettezza e l’arrivismo della borghesia votata esclusivamente al profitto.

Questa è la civiltà dell’immagine e le masse sono idolatre, solo pochi solitari rabbiosi trovano la forza per essere iconoclasti. L’uomo contemporaneo non sa come utilizzare la libertà.

Una libertà inaudita rispetto ai secoli precedenti, ma in fin dei conti una libertà apparente. Dostoevskij aveva già affrontato questa problematica. Paradossalmente potremmo anche concludere che se l’uomo utilizza la libertà come il protagonista di “Delitto e castigo” allora ben venga un Grande Inquisitore, che lo affranca da ogni tipo di libertà, perché ritiene l’uomo un essere immaturo e irresponsabile.

La cultura occidentale si sta dissolvendo. L’America ha voluto colonizzare anche il nostro immaginario, volendo far credere nei loro film che gli americani hanno una villetta a schiera con tanto di barbecue e di canestro, i figli al college (che tra l’altro ha dei costi elevati perché non conoscono il significato dell’espressione “diritto allo studio”) , una moglie che va con le amiche a giocare al bridge ed un ragazzo che ti porta il giornale ogni mattina.

L’affluent society insomma, dimenticandosi di presentare al mondo i senzatetto senza uno straccio di assistenza sanitaria. Il declino è inarrestabile. Lo scrivo a costo di passare per catastrofista. 

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