Franca Alaimo – Poesia tra passato “prossimo”, presente, futuro

Arte, Cultura & Società

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Un vissuto intenso, in cui la donna e la poetessa si sono fuse e con-fuse dando origine a una delle figure di maggiore rilievo della poesia contemporanea.

Franca Alaimo vive attualmente a Palermo, una vasta e varia produzione editoriale iniziata nel 1991 e tuttora in continua evoluzione. Ha scritto cinque saggi su autori contemporanei: D. Cara,T. Romano,L. Luisi, F. Loi, G. Rescigno ed ha tradotto dall’inglese due sillogi del poeta irlandese Peter Russel. Fa parte del team redazionale La Recherche e centinaia sono le sue recensioni a poeti contemporanei. È presente in numerose Storie della Letteratura italiana e in antologie e siti prestigiosi. Oltre ad aggiungere che è stata tradotta in spagnolo, inglese e tedesco avremmo ancora tanto altro da dire ma di certo risulterà più interessante e gradevole leggerne le dirette considerazioni riguardo alla sua esperienza letteraria e umana.

Tra passato e presente. Chi era Franca e chi è oggi.

– Ero, sono un essere in divenire; mi chiedo a volte come possa dire “io”, se confronto tutte le diverse immagini di me stessa che la memoria mi rimanda. Penso che per me, come per ogni altro essere umano, il filo che le ricuce insieme sia stato la personale capacità di adattamento e di rielaborazione dei vari eventi che, a poco a poco, fra errori, scelte, passioni e le molteplici gabbie costringenti, hanno determinato la consapevolezza di essere, pur tra gli altri e con gli altri, del tutto “sola” e per molti versi indecifrabile. Credo inoltre che, per il poeta e l’artista in genere, si possa dire che più egli opera strappi negli schemi dati, più avverta la necessità di una conoscenza profonda del reale. Il poeta è uno che fa sempre domande, che vuole esplorare in tutte le direzioni, pur sapendo che la “risposta” non esiste.

Il rapporto tra la donna e la poetessa, conflittuale o complice?

– La poesia ha rappresentato sempre un grosso inciampo nelle relazioni fra me e gli uomini della mia vita, specialmente in quella matrimoniale. Come la poeta Mariannina Cuffaro “Ho dovuto scrivere di nascosto, /perché non si dicesse/ che non ero una donna di casa”; infatti la scrittura era considerata dal mio coniuge una distrazione infruttuosa e perfino insidiosa, capace di minare l’unità familiare. Soprattutto era per lui un mondo altro, intangibile, in cui in qualche modo perdeva il controllo del suo “oggetto d’amore.”

Invece non esiste conflittualità alcuna tra il mio sentirmi donna e insieme poeta, perché nei versi mi riconosco intera, emozionalmente e intellettualmente.

Quali le letture o gli autori che prediligi? Ti hanno ispirata o formata in qualche maniera?

– Ho cominciato a tredici anni a leggere i grandi autori russi: Dostoevskij, Tolstoi, Cechov, Gogol, imparando dai maestosi personaggi dei loro romanzi (assai più che dalle persone, normali e meno delineate e affascinanti, che mi circondavano) la forza della Parola, che nell’esperienza della quotidianità mi appariva così sbiadita e poco significante, e soprattutto non usata ai fini di una vera, profonda conoscenza e comunicazione. Ho divorato, nell’età adolescenziale, libri su libri di autori italiani e stranieri, che mi hanno certamente formata alla complessità, all’immaginazione, alla libertà di pensiero. In seguito, grazie all’incontro con un professore di lettere al liceo che mi ha fatto innamorare dei poeti greci e latini, ho cominciato a leggere poeti di ogni nazionalità, che hanno ridestato quel fascino per la musicalità che avevo imparato da bimba. Molti sono i poeti che amo; impossibile nominarli tutti, ma quelli che leggo e rileggo sono Rilke, Pizarnik, Pessoa, Campo, Dickinson, Cvetaeva, ma naturalmente amo molto frequentare anche i poeti contemporanei.

È possibile inscrivere il “poeta” all’interno di una definizione?

– Mi sono accorta che, ogni volta che mi fanno questa domanda, rispondo sempre in maniera diversa; il che altro non significa che è arduo dare una definizione assoluta di un modo di stare nel mondo e allo stesso tempo fuori del mondo, di tenersi in equilibrio fra visibile e invisibile, di mettere insieme parole fra loro ordinariamente distanti, di trasformare tutto, perfino il dolore più straziante, in musica, sapendo di dire più di quel che si possa o debba dire o immaginare. Insomma, mi meraviglio anch’io di tutto questo.

Come nasce la tua poesia? Ti cerca, la cerchi, come avviene l’incanto dell’incontro?

– La poesia viene a trovarmi quando le pare: mentre passeggio, mentre cucino, nel dormiveglia. Mi viene all’improvviso in mente un verso e subito devo smettere di occuparmi delle cose, mettermi a cercare una penna e scriverlo dove mi capita. In genere, dopo il primo, gli altri versi zampillano uno dopo l’altro, ma qualche volta capita che resti lì da solo per giorni fino a che, come per magia, sento la mente farsi una lavagna dove si scrivono i versi successivi. Poi, naturalmente, è necessario un lavoro di lima, a volte semplice, a volte così lungo e complesso che nel testo finale non si riconosce quasi più quello di partenza. Nei periodi in cui scrivo poco, leggo tantissimo. Mi sono accorta che la vera, grande poesia, rigenera l’ispirazione.

Il web, il mondo dei social e la poesia. Un bene o un male?

– Senza il web non avrei mai conosciuto la straordinaria produzione di tanti poeti, né intrecciato amicizie che mi sono divenute nel tempo assai care. Certo, non tutte le poesie che si leggono in rete sono buone, ma, in questo caso, non resta che scartarle e scegliere quelle più congeniali alla propria sensibilità. Che le persone scrivano poesie è, comunque, un bene: significa che ricercano il bello, e che non riescano sempre a farlo nel modo migliore è importante fino a un certo punto. Intanto hanno creato qualcosa che prima non c’era, come diceva il mio amico e straordinario critico Giorgio Barberi Squarotti, che leggeva tutti, proprio tutti i libri che gli arrivavano, non tralasciando mai di esprimere un giudizio, un consiglio. Casomai l’errore lo fanno gli editori, quando pubblicano senza selezionare, trasformando le case editrici in un paese dei balocchi (e degli allocchi) dove tutti possono entrare pagando, a volte profumatamente, il biglietto d’ingresso.

Nel 1989 la prima pubblicazione con Impossibile luna. Ad oggi come è cambiata la tua poesia?

– Le mie due recenti sillogi Elogi e sacro cuore mettono in campo la bambina che sono stata, protagonista di vicende dolorose ormai elaborate, ma certo mai dimenticate, e dunque sempre presenti nel processo creativo, che è in buona parte legato all’inconscio. La nostra vita, in fin dei conti, somiglia a quella degli alberi, che conservano nel loro petto tutto il passato, anello dopo anello, l’ultimo dei quali, il più ampio, comprende e abbraccia i precedenti. Tuttavia voglio precisare che le sillogi precedentemente pubblicate sono molto varie e nella forma (sorsi: una variante dell’haiku, poemetti, quartine rimate, versi sciolti) e nei contenuti (storie di altre donne, figure del Vangelo, fatti della storia contemporanea. la contemplazione della Natura, la poesia stessa). Forse, con l’avanzare dell’età, quando si sente il bisogno di mettere a punto il senso del proprio percorso esistenziale, diventa naturale per un poeta raccontarlo anche attraverso i versi. Da poche settimane è uscito Oltre il bordo (Macabor Ed.), che mette insieme 24 testi (tanti quante le ore di un giorno) in cui descrivo l’oggi con tutti i suoi riti e angosce, senza dimenticare di registrare, com’è necessario, i tanti bagliori di bene e di bello.

Nel febbraio del 2020 con SCE editrice pubblichi La gondola dei folli, un romanzo in cui fantasia e creatività si uniscono alle competenze stilistiche e che io definirei una trappola letteraria in cui la scorrevolezza della storia nasconde momenti di intense riflessioni filosofiche.

– Innanzitutto ti ringrazio per avere citato il romanzo, pubblicato dalla casa editrice palermitana di Nicola Macaione, a cui mi lega un profondo affetto amicale. Esso è nato dal desiderio di rendere omaggio e alla figura di mio padre che le domeniche mi portava a visitare musei, pinacoteche e mi regalava libri d’arte, educandomi così alla bellezza; e alla città di Venezia, dove quell’idea di bellezza mi parve, sin da quando, dodicenne, la visitai la prima volta, farsi materia tangibile tra acque, pietra, ponti, palazzi stupefacenti, calle ombrose e silenti; e a quegli artisti e personaggi da loro inventati che hanno fatto compagnia alla mia adolescenza, aprendomi a quel senso dello stupore che è alla base della mia esperienza di scrittrice. Metterli insieme richiedeva un intreccio al limite della favola. Mi fa piacere che tu abbia intravisto anche spunti di riflessione, come “l’autonomia” dei personaggi rispetto ai loro autori, il confine tra normalità e follia, tra realtà e sogno, il rapporto tra formazione educativa e visione della vita, come nel caso della piccola Franziska.

Cosa hai lasciato per strada?

– In questo momento della mia vita, potrei dirti che è il sentimento del rimpianto a dominarmi: penso ai tanti amici perduti che mi mancano fino allo strazio; alle tante case della mia vita lasciate per necessità esterne, al fallimento del mio matrimonio; alla stroncata vocazione per l’arte pittorica in nome di una professione più sicura e borghese, ai tanti divieti imposti da un’etica falsa, da cui mi sono liberata faticosamente. Ma forse il rimpianto più profondo è quello di non avere amato più di quanto abbia fatto.

Le attuali tendenze editoriali e gli scaffali delle librerie. Meritocrazia o ricerca del personaggio?

– Quando mai è stato premiato sempre il merito? Diciamo che nel campo editoriale così come nella vita in generale spesso le cose non vanno come dovrebbero andare e in questo sta la difficoltà ma anche il coraggio di essere, comunque, se stessi e di difendere le proprie idee e i propri sogni. Del resto, bisogna anche ammettere una buona dose di casualità in tutto: negli incontri, nelle opportunità, nel favore degli altri, e così via. Quanti sono stati i grandi artisti nel passato assolutamente misconosciuti dai loro contemporanei e dalla critica? In fin dei conti, il giudice vero è il tempo.

Riguardo alle scelte editoriali oggi sono soprattutto guidate dall’esigenza di fare cassa, tenendo conto dei gusti dei lettori; e, siccome da tempo il livello culturale medio si va sempre più abbassando e massificando, si capisce perché ci siano in giro tanti libri brutti o banali. Per fortuna continuano ad essere pubblicati anche dei libri bellissimi tra cui ciascuno può liberamente scegliere quello di cui ha più fame. Meglio, in ogni caso, leggere che non leggere affatto.

Stiamo attraversando un momento difficile a causa dell’emergenza sanitaria. Come lo stai vivendo?

– Con una certa angoscia, come tutti. Mai il senso della precarietà è stato così pressante come in questo periodo, per non parlare di quella sensazione d’asfissia di sentimenti e desideri, d’imbavagliamento della libertà di muoversi e relazionarsi. Siamo come dei messaggi tappati in una bottiglia e affidata ai marosi. Capisco che tutto questo sia necessario, ma ciò non toglie sia anche doloroso. Io poi che sono già anziana e sento ridursi anno dopo anno la porzione di tempo che mi resta, mi sento doppiamente derubata, per non parlare di quell’infelice definizione di non utilità, che colloca, per un principio puramente economico, tutti gli anziani ai margini della società, e che non rispetta il valore etico della vecchiezza. In ogni caso combatto questo stato di cose con le solite armi: gli affetti, la lettura, la musica, la scrittura, le conversazioni telefoniche, la cura della mia gatta e delle mie piante.

Cosa nasconde ancora il tuo cassetto?

– Fin troppe cose. Ho in mente un nuovo romanzo di cui ho già chiare trama, ambientazione e personaggi, ma di cui ho scritto ben quattro incipit, tutti insoddisfacenti. Di sicuro ci sono nel cassetto tre nuove sillogi poetiche, ma sarà meglio aspettare tempi migliori e, inoltre, devo ancora dare spazio alla recentissima: Oltre il bordo, edita da Macabor e già ricordata nel corso di questa intervista.

Ci avviciniamo a un Natale diverso da ogni altro. Un desiderio da porre sotto l’albero e un pensiero per gli amici che ci leggeranno.

–. La risposta è troppo facile e scontata: un mondo liberato da questa malattia; ma anche diverso, più giusto, senza squilibri socio-economici, dove la politica torni ad essere la cura degli interessi della comunità. Ai lettori auguro di non spegnere la luce della gioia, alimentandola con la cura di se stessi, degli altri e di ogni cosa bella.

Con l’augurio e la speranza che tuoi desideri possano prendere forma, non posso che ringraziarti per il dono della tua cortese disponibilità e per averci permesso di conoscere più da vicino la poetessa e la donna con la naturalezza e la trasparenza che da sempre ti contraddistingue.

Maria Teresa Infante

 

 

 

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