Verso il G20 italiano economia e commercio internazionale

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Prosegue la serie di Focus speciali sulla storia, le grandi sfide e gli obiettivi del G20 in vista della presidenza italiana del 2021. Una serie che l’Ispi realizza in quanto prossimo coordinatore nazionale/chair del Think20, l’organismo ufficiale che raccoglie i principali think tank e centri di ricerca di tutto il mondo per fornire raccomandazioni di policy ai leader del G20.

Il summit G20 è stato elevato al livello dei capi di stato e di governo nel corso della Grande recessione del 2009, con lo specifico intento di dare una risposta comune alla crisi economica. Risposta che non ha tardato, con uno stimolo globale coordinato di quasi 700 miliardi di dollari (equivalente all’1,1% del PIL mondiale di allora) e l’avvio della riforma dell’architettura finanziaria internazionale.

Oggi, con una pandemia globale in corso, il mondo si interroga se il summit possa ancora essere in grado di dare risposte concrete alla più grave e rapida crisi economica da oltre un secolo. A maggior ragione perché le economie dei paesi partecipanti sono già sotto forte pressione dopo mesi di prolungato sostegno economico, messo in campo per far fronte all’emergenza.

Secondo John Kirton, direttore del G20 Research Group all’Università di Toronto, il G20 ha dimostrato di essere in grado di identificare obiettivi comuni e di perseguirli. Secondo le analisi sue e del suo team di esperti, dal 2009 a oggi il numero di impegni che il G20 si è assunto e poi ha rispettato è cresciuto in maniera sostanziale. Tuttavia, la domanda cruciale che a tutt’oggi rimane senza risposta è se i “grandi” saranno in grado di andare oltre le risposte emergenziali e guardare al futuro prossimo venturo, impegnandosi per politiche coordinate ma soprattutto incisive, su alcuni temi per i quali le divisioni sono profonde, come nel caso del cambiamento climatico.

As the G20 approaches its Riyadh Summit about a month from now, the world is wondering if it can cope with the unprecedented, proliferating array of health, economic, social and sustainability crises that the COVID-19 pandemic has brought. Yes, it can, and probably will.

Il multilateralismo era in crisi da ben prima che la pandemia colpisse: è l’opinione di José Siaba Serrate, membro del Consiglio argentino per le relazioni internazionali (CARI). Ma, sostiene Serrate, è in parte anche merito del G20 se, nel corso della prima ondata pandemica del 2020, il mondo è riuscito a evitare una crisi economica ancora più profonda e a scongiurare una nuova crisi finanziaria. Da un lato agendo da forum di coordinamento – anche se un po’ inceppato – degli stimoli pubblici messi in atto dai governi per fornire prestiti e aiuti di emergenza alle proprie economie nazionali (facendo peraltro aumentare i debiti pubblici nazionali, vedi grafico in calce). Dall’altro permettendo al sistema finanziario di presentarsi all’appuntamento con la pandemia in uno stato nettamente migliore rispetto a molte altre crisi del passato.

È stata proprio il Financial Stability Board (FSB), istituzione creata dal G20 nel 2009, a imporre standard sempre più rigorosi alle istituzioni finanziarie: le regole di Basilea 3, per esempio, sono entrate in vigore per la vasta maggioranza entro l’anno scorso (anche se una parte attende ancora di diventare operative, entro il 2022) e hanno permesso agli istituti di credito di presentarsi all’appello della pandemia in uno stato molto migliore rispetto a quello in cui si trovavano nel 2007-2009. Per la prima volta da molto tempo, molte banche sono riuscite ad aumentare i propri prestiti all’economia, o quantomeno a non ridurli precipitosamente, agendo da fattore anti-recessione anziché da acceleratori della recessione.

Dal 2016, il G20 include un gruppo di lavoro sul commercio estero e gli investimenti internazionali, e mai come oggi è importante che ci sia. Già prima della pandemia lo stato del commercio internazionale non era roseo, tra guerre commerciali e veti incrociati sugli organi necessari per far funzionare il sistema multilaterale (come l’Organo d’appello dell’Organizzazione mondiale del commercio, bloccato dagli Stati Uniti dal 2019).

Oggi, con una recessione globale vicina al 15% nel secondo trimestre del 2020, e stimata dal Fondo monetario internazionale in -4,4% nel corso dell’intero anno, il commercio internazionale potrebbe contrarsi del -9,2%. Come spiega Alessia Amighini, Co-Head dell’Asia Centre e Senior Associate Research Fellow dell’ISPI, si tratterebbe del dato peggiore degli ultimi cinquant’anni: una riduzione più che doppia rispetto a quella del PIL mondiale, malgrado il rimbalzo dell’export cinese nel terzo trimestre dell’anno.

E se davvero per la ripresa economica il mondo vuole puntare sui servizi, in particolare quelli digitali, Amighini sostiene che ci sia bisogno di una “risposta di governance sistemica che renda il sistema internazionale degli scambi più resistente”. In questo senso, il G20 sarebbe il forum ideale per lanciare un negoziato globale per riformare l’Organizzazione mondiale del commercio, per renderla adatta a un mondo in cui gli scambi internazionali non sono più unicamente fisici ma si spostano sempre più verso mercati digitali. 

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