Taormina-Kursall. Una leggenda tra gli ulivi

Arte, Cultura & Società

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Il passante che nei primi anni ’60 del secolo scorso era solito transitare tra Capo Taormina e Taormina centro, era abituato sul far della sera a vedere una fila lunga di auto, tutte ordinatamente parcheggiate sulla destra salendo, vale a dire lungo il muro di contenimento dei terreni sovrastanti. Ciò significava che il parcheggio interno del Kursaal, capienza 200 auto, era strapieno. Tutto ciò rappresentava una cosa sola, l’enorme successo che in quegli anni ebbe la casa da gioco di Taormina.

Battezzato Kursaal, con un ingresso pericoloso perché prospiciente una curva con ridotta visibilità, il casinò fu un polo di attrazione d’indiscusso valore per la Sicilia dei primi anni ’60 dello scorso secolo. I tavoli da gioco si trovavano nella Villa Mon Repos, una costruzione costituita da un corpo centrale a due piani, con un parco circostante di 25000 mq., parcheggio, ristorante, bar, night e, per l’appunto, saloni da gioco. Il nome della villa si deve al suo antico proprietario, Karl Stempel che aveva dovuto subire le pressioni militari sia da tedeschi sia da russi nel suo Paese. Quando si ritirò a Taormina, creò tra ulivi e oleandri un’oasi di pace e tranquillità. Qui ospitò anche il principe Yussupov, noto per essere stato l’assassino di Rasputin, il famoso mistico russo, consigliere fidato dei Romanov e molto influente su Nicola II di Russia.

Sostenitore e fautore della casa da gioco fu il comm. Domenico Guarnaschelli che riuscì ad aprirla e a tenerla in vita per circa due anni. Ciò, attraverso un semplice ragionamento riferito alla circostanza d’essere stato gestore, dal 1934 al 1937 a Tripoli, di una fortunata casa da gioco. Era stato legittimato a ciò dal governo fascista grazie a una licenza che gli permetteva di aprire una casa da gioco sul territorio nazionale. E’ innegabile che a quel tempo la Libia fosse terra italiana perché sua colonia in Africa. Considerato, che mai quella licenza era stata espressamente revocata, perché non sfruttarla direttamente sul suolo italiano, vale a dire a Taormina?

A tal proposito ricorda Guidasicilia.it che la storia del casinò di Taormina parte da lontano, infatti, “ fu aperto una prima volta nel 1924 per cessare la sua attività quattro anni dopo. Nel 1963 il barone Domenico Guarnaschelli riaprì la casa da gioco, che fu definitivamente chiusa dalla polizia nel 1965, “per ragioni morali, dato che si trattava di gioco d’azzardo”, mentre in Italia funzionavano e continuano a funzionare, senza problemi di sorta, diversi altri Casinò: due a Venezia, uno a San Remo, uno a Saint Vincent, a Rimini, a Montecatini Terme a Campione d’Italia. Ci vollero altri trent’anni affinché don Mimì riuscisse, a metà degli anni Novanta, a ottenere una licenza comunale, dall’allora sindaco di Letojanni Eugenio Bonsignore, per l’apertura di una sala da gioco nel piccolo comune confinante con Taormina, nei locali dell’Opera ex Omni. Anche stavolta la “Legge Italiana” fermò il suo progetto, ri-bollando il tutto come “illegale”. L’8 maggio del 1997, l’ormai plurinovantenne don Mimì, salutò la vita terrena senza avere potuto realizzare il suo “sogno d’azzardo”. Anche dopo la sua morte, però, gli strascichi giudiziari legati alla tentata riapertura della casa da gioco nella zona continuarono”.

Solo una donna sarebbe stata in grado di cogliere l’essenza degli anni d’oro del casinò, perché solo le donne hanno il gusto del particolare, del pettegolezzo sfumato di curiosità, della narrazione tra il nostalgico e il carezzevole sarcasmo. L’ha fatto in articolo apparso su repubblica nel luglio del 1984 la scrittrice Roselina Salemi parlando della discoteca più “in” di Taormina che aveva occupato parte di ciò che erano stati gli ambienti della ex sala da gioco. “Gonne cortissime e tuniche fatali, scialli, un’ironica sciarpa di pailette su una spalla abbronzata, qualche jeans, pochi gioielli e tanto costosissimo casual. Cullati dal vento degli oleandri che semina fiori bianchi e rosa sulle poltroncine di giunco, inguaribili sognatori fiaccati dagli anni e figli di “nuovi ricchi” prendono il fresco nel giardino di “Villa Mon Repos”, depennato per quasi vent’anni dalle cronache mondane. Per chi non ha dimenticato gli anni d’oro di Taormina, il 12 luglio 1984 è una data speciale: sui vialetti di ghiaia sono tornati i tacchi a spillo, insieme al pianista nostalgico e ai cocktails azzurri ovviamente a base di champagne. Il Kursaal Casinò, dove tante ricchezze sono nate e finite, dove gli ultimi baroni hanno perduto senza batter ciglio i gioielli di famiglia, riapre il cancello con un altro nome e un nuovo destino. Ribattezzato “Tout va”, illuminato con discrezione tra bandierine colorate e invadenti siepi di bougainville, riporta indietro l’orologio del tempo agli anni Sessanta, prima che il questore di Messina fermasse con un imprevisto blitz la pallina della roulette. Era il 5 gennaio 1965.

Adesso i baroni non ci sono più. E neanche i tavoli da gioco. Il padiglione “La stella”, esotica gabbia di vetro trasformata in discoteca, ha portato musica rock, amplificatori e disk jockey nel tempio dei silenziosi croupier. Ma il suono si perde nel parco tra le palme, gli oleandri, i carrubi, gli ulivi, i fragranti alberi di jacaranda e non arriva al piano bar, dove ancora s’incontrano i play boy d’altri tempi: giacca di lino, capelli pettinati all’indietro, catena d’oro al collo. Nel cono d’ombra, tra frivoli ombrelli gialli e festoni d’occasione, “Villa Mon Repos” appare severa e monumentale con quel suo balcone romantico da Giulietta e Romeo, affacciato sulle luci della baia. Il secondo piano resterà chiuso con i suoi fantasmi di fiches e roulettes, consacrato al ricordo e alla speranza di riaprire il Casinò. Per ora “Tout va” punta sulle follie dell’estate spendacciona, sul fascino della terrazza che piaceva tanto a Marlene Dietrich e sulle magie gastronomiche dello chef Boucini. E perché no, sull’ambizioso progetto di alimentare il “mito” un po’ appannato con un pizzico di cultura: mostre, quadri e revival. Sono già pronte per “l’operazione nostalgia” le prime cinquanta foto degli anni beati raccolte una per una e quasi perdute nell’album dei ricordi”.  Ed eccolo il riferimento al tempo che fu. Usciranno domani, lunedì, dall’archivio e racconteranno la storia breve e felice del Casinò. Ecco Amalia Rodriguez con un abito da sera e un immenso scialle, Gilbert Becaud con una tremenda cravatta a pallini, tra i botti dei fuochi d’artificio, Petula Clarck infagottata di paillettes, la Warwick con le braccia cariche di rose.

L’enigmatica Marlene Dietrich fuma sulla terrazza. Vittorio De Sica bacia la mano ad un’elettrizzata Shirley McLaine. Gina Lollobrigida ha un po’ di broncio mentre si sfila i guanti, Carmen Sevilla straripa dal vestito spagnolo ricamato di perle. Sono i tempi del boom. E nel ’62 il cavaliere Domenico Guarnaschelli tira fuori dal cassetto la licenza ottenuta il 27 aprile del ’49 dalla Regione siciliana che gli ha riconosciuto il “trasferimento” del gioco d’azzardo dalla Libia all’Italia. Il Casinò vive così la sua stagione di follia: tredici mesi abbaglianti popolati d’illusioni e divi laureati dallo star sistem: Liz Taylor e Richard Burton, Gregory Peck e Audrey Hepburn. E al largo dell’Isola Bella si dondola il “Cristina”, il panfilo del miliardario greco Onassis. “C’erano tutti” racconta Salvatore Emmanuele, funzionario di “Villa Mon Repos”. Poi cominciano i guai, le interminabili battaglie di carta bollata, le sentenze contrastanti, i percorsi senza speranza nei labirinti della burocrazia: Pretura, Tribunale, Cassazione. Si chiude, si riapre, si richiude malinconicamente il 5 gennaio ‘ 85. Guarnaschelli non si dà per vinto ma intanto passano i primi dieci anni. Nel settembre dell’81 è proprio Salvatore Emmanuele a prendere l’iniziativa più clamorosa: denuncia il ministro dell’Interno Virginio Rognoni ai vertici del Viminale per abuso e omissione d’atti d’ufficio. La magistratura ha dichiarato legittimo il Casinò ma la polizia non sente ragioni: se riapre, chiuderà in cinque minuti. Vent’anni dopo, l’irriducibile Guarnaschelli si accontenta: niente Casinò. Vada per la discoteca, il ristorante, il piano bar e la cultura, in attesa di giorni diversi. E’ lui a suggerire per scaramanzia il nome “Tout va”.

Cede tutto, ma non il secondo piano della villa, vincolato da una clausola ottimista: una leggina qualsiasi potrebbe permettergli di richiamare i suoi croupiers. Solo Salvatore Emmanuele scuote la testa ironico: “Non è più la stessa cosa”. Per tutti gli altri invece è una scommessa. Taormina vuole dimenticare la crisi (i grandi alberghi sono vuoti, il calo di presenze supera il 15 per cento) e tornare Mito. Certo non è più il tempo di Truman Capote, Tennessee Williams e Andrè Gide; né dei nobili prussiani e dei portieri gallonati come generali. Non c’è più il barone Fausto Agostino Lomia di Renda, a spasso per corso Umberto, col suo adorato merlo sulla spalla. I “Gattopardi” hanno lasciato il posto ai figli dei cavalieri, agli eredi rampanti delle nuove aristocrazie: appalti, edilizia, ponteggi, supermercati, boutiques. Spariscono i rubacuori di mestiere pubblicizzati in qualche vecchio depliant, sparisce la costa divorata dalle villette, la voglia di fare l’alba bevendo il vino alle mandorle di Castelmola. Nel futuro di Taormina c’è il gas algerino, il palazzo dei congressi tutto di cemento, il Festival del cinema. E il sogno di “Villa Mon Repos”. Crederci non è vietato: tout va”.

di ROSELINA SALEMI 22 luglio 1984 

Quella degli anni ’60 era una Taormina che risentiva ancora degli ultimi bagliori della mitica e peccaminosa città del decennio precedente, quando il locale notturno più alla moda era “Le Palmare” vicino al magnifico albergo San Domenico. Animatore il grande intrattenitore, pianista, cantante e compositore Bruno Martino. Altri Night verranno dopo, La Giara,

Il Sesto Acuto, Le Rocce giù a Mazzarrò e per quanti avevano meno soldini il tanto semplice quanto accogliente Da Paolone posto lungo la discesa della Madre delle Grazie; un balcone sul golfo. Fu in questo clima che nacque e si spense il Casinò. Che riapra non ci credono più neppure i taorminesi. A quel tempo non esistevano le case da gioco online, esisteva invece l’eleganza, gli abiti da sera e lo smoking estivo con giacca bianca su pantaloni neri. Quello, per intenderci, portato da Humphrey Bogart nel 1942 nel film magico “Casablanca” con Ingrid Bergman. Chissà se nei casinò di oggi si porta ancora? A Taormina no, perché il sogno tra gli ulivi di Villa Mon Repos è volato via, come la Bergman quando prese l’ultimo aereo in partenza da Casablanca, lasciando in Marocco l’uomo dallo smoking bianco.

Giuseppe Rinaldi

girinaldi@libero.it

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