Il “pareggio tragico”, dove a perdere sono, irrimediabilmente, tutti i venezuelani. Nicolas Maduro da una parte, Juan Guaidó dall’altra; dopo il tentativo di insurrezione generale del 30 aprile i due presidenti si sfidano a distanza, puntellano le rispettive posizioni, ma sanno che difficilmente riusciranno a vincere la partita.
Si difendono, attaccano l’avversario ma lo stallo rimane. Guaidó sa che una fetta consistente della popolazione sta con lui. O meglio, sa che la stragrande maggioranza della popolazione non sopporta più il governo di Maduro, la gravissima crisi economica, la repressione, la gente che scappa come può. L’erede di Chavez questo lo sa benissimo, ma sa anche che i militari stanno con lui. Sono a lui fedeli, per ora, i generali e l’esercito dei sottoufficiali e soldati; i primi per interesse, nella penuria generale sono i pochi a ricevere alimenti, favori e medicine, i secondi per disperazione e paura di ritorsioni.
Si consuma così una lotta senza vincitori; Guaidó, che fa comizi su una jeep a Piazza Altamira, bastione da sempre dell’antichavismo e Maduro che sfila in parata militare al Fuerte Tiuna, il comando centrale dell’esercito. La cronaca di questi ultimi giorni e settimane è fatta di scontri di piazza, di morti e feriti, di arresti e di barricate, di promesse di vittorie finali che non arrivavano mai.
Non si sa, forse non lo si saprà mai, cosa c’è dietro l’”Operazione Libertà” che Guaidó ha voluto lanciare la mattina del 30 aprile, accompagnato a sorpresa da Leopoldo Lopez, il suo padrino politico, liberato grazie ad un blitz dei servizi segreti “ribelli” dopo 5 anni fra carcere e arresti domiciliari.
Credevano davvero di poter far scattare una ribellione generale nelle Forze Armate? Pensavano davvero in un golpe interno che avrebbe fatto cadere Maduro? È la stessa domanda che ci si è fatti il 23 febbraio, sulla frontiera colombiana; davvero l’opposizione pensava che i militari schierati dall’altra parte del ponte Simon Bolivar avrebbero disubbidito e fatto entrare davanti alle telecamere di mezzo mondo i camion con gli aiuti umanitari arrivati dagli Stati Uniti ?
Se la risposta a queste domande è affermativa, allora siamo di fronte a dei leader improvvisati, ad una strategia sbagliata o influenzata da analisi e “soffiate” evidentemente infondate. È più logico quindi pensare che siano tutte tappe di una guerra di trincea. Si avanza passo dopo passo, seguendo due obbiettivi; logorare il chavismo ed ottenere il maggior appoggio internazionale. Fino a quando si può continuare? Fino a quando ha senso annunciare terremoti quando in realtà la terra si muove così poco e lentamente?
Gli Stati Uniti, che hanno appoggiato e forse guidato Guaidó fin dall’inizio della sua avventura, a metà gennaio, stanno iniziando a preoccuparsi. Se sarà risolta positivamente, la questione venezuelana potrà giovare a Donald Trump in vista delle elezioni del prossimo anno. Ma c’è il rischio di un buco nell’acqua o quello, ancor più pericoloso, di infilarsi in un pantano dal quale non si riesca più ad uscire. Forse a Washington hanno sopravvalutato la forza reale dell’opposizione, forse non si aspettavano una difesa così forte di Maduro da parte di Putin; sta di fatto che ora la cosa inizia a diventare pesante, col rischio di una guerra fredda o, cosa ancor peggiore, di un nuovo caos dopo quello libico e siriano.
Anche Maduro, però, non dorme sonni tranquilli. L’appoggio russo e la fedeltà dei militari non bastano per riportare la luce elettrica nelle case, per far ripartire un’economia morta da tempo o per salvare la produzione petrolifera, sempre più in picchiata anche a causa della mancanza di fondi e manutenzione di pozzi e raffinerie. Il presidente può promettere la luna, ma a stomaco vuoto la gente non ti crede più e la repressione dei barrios non fa che alimentare l’immagine di un governo nemico del pueblo. In pochi, ormai, credono che esista ancora una rivoluzione da portare avanti. Non tutti quelli che scendono in piazza contro il presidente voterebbero domani per Guaidó, né tantomeno per Leopoldo Lopez, popolarissimo fra i suoi ma odiato fin dai tempi del Comandante, ma di sicuro non intendono continuare con l’attuale status quo.
Dal buco nero della crisi si può uscire essenzialmente in tre modi; Maduro che cade per un golpe interno, le parti che si mettono realmente a dialogare per arrivare ad elezioni libere, un intervento armato dall’esterno. Le prime due ipotesi, per ora, sono fallite. La terza è sul tavolo da sempre, ma perché sia vincente dev’essere veloce ed efficace al 100%, prima dell’arrivo dei russi. Da tempo a Caracas si ripete un vecchio adagio: o la cosa si risolve domani o il tempo per risolvere la crisi potrà davvero diventare eterno.