Signor Presidente, come 12° Capo dello Stato, ci rappresenta dal febbraio 2015 e con molto equilibrio. Ciò premesso, nell’evoluzione di quest’anno tormentato, ho sentito la necessità di scriverLe perché quando penso all’Italia, con tutti i suoi problemi, è la figura del Primo Cittadino della Penisola che mi viene alla mente. Nel vagliare i temi nazionali, in un momento tanto complesso m’è sembrato normale rinvolgerLe il mio pensiero.
La lingua italiana s’è diffusa per il mondo. Soprattutto per necessità. Sono stati i nostri Emigrati a portarla lontano; pur mantenendo, nel frattempo, il loro spirito nazionale. Essere distante dal Bel Paese non significa, e non ha mai significato, però essere estranei ai fatti di Casa. L’Italia è degli italiani; indipendentemente da dove vivono. Perché, partendo, hanno solo cambiato il cielo, ma non il loro cuore. La grave emergenza sanitaria non ha allentato il loro senso d’appartenenza.
Con questo principio, che ho fatto mio da sessant’anni d’impegno pubblicistico, resto fedele allo spirito di difendere un’italianità sempre coerente. Anche nelle contrade più lontane. Solo, in parte, mi conforta l’evidenza che la percentuale maggiore di nostri Connazionali ora vive in Europa; pur se ora martoriata dal Coronavirus. Certo è che per la nostra Umanità nel mondo molto resterebbe ancora da fare. Mi rivolgo, di conseguenza, a Lei per avere segnali di conforto e di speranza.
Sì, Signor Presidente, facciamo più nostri anche i problemi dei Connazionali all’estero; pure dopo l’emergenza sanitaria. Perché non trascurando i loro, potremo, forse, affrontare anche quelli interni del nostro Paese.
Giorgio Brignola