Lo scandalo di Silvia

Politica

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>>>ANSA/SILVIA ROMANO IN ITALIA, SORRISI, MASCHERINA E VESTE ISLAMICAC’è qualcosa di scandaloso nell’arrivo di Silvia Romano dalla sua prigionia presso gruppi e predoni che fanno riferimento ad Al Qaeda, ovvero alla centrale terrorista di casa America che l’ha utilizzata in tutte le primavere arabe e per inscenare la “guerra civile” in Siria. Ma l’elemento dello scandalo non sta nel pagamento del riscatto che sarebbe ormai l’ennesimo a cominciare dalla lontana avventura in Libano e che comunque è una bazzecola in confronto a ciò che ci sono costati i due marò appassionati di tiro a segno marino, né di per sé nel fatto che la ragazza si sia convertita all’Islam visto che comunque si è cittadini italiani qualunque religione si professi come è scritto in quella Costituzione che un gruppi di becchini politici sta affossando. Né che appena scesa dall’areo, finalmente libera si sia trovata in un Paese costretto ai domiciliari dai gruppi dell’integralismo pandemico, dai muezzin del virus e ha dovuto sostituire il chador con la mascherina. Lo scandalo riguarda il fatto che per lei – non come persona, ma come simbolo di un vacuo globalismo –  si siano trovati i soldi del riscatto,  quando invece altri milioni di suoi concittadini  sono dati in pasto alle banche, privati di aiuti a fondo perduto che sarebbero vitali per evitare la fine stessa del Paese  che non venga pagata nemmeno la cassa integrazione o vengano eluse le elemosine promesse.

Ora potremmo facilmente dire che Silvia Romano incarna nelle sue forme più caratteristiche la celebre sindrome di Stoccolma che induce il rapito a mettersi dalla parte del sequestratore, anche se tutto questo fa parte di una tradizione giornalistica e narrativa, ma non è classificata nella psicologia e può essere al limite  ritenuta un caso particolare di rapporto traumatico quale quello che spesso si sviluppa nelle donne dominate con la violenza.  E ce la potremmo cavare facilmente, ma attenzione, provare una sorta di simpatia per il carnefice, arrivare a comprenderne e ad appoggiarne le ragioni fino alla complicità masochistica, non significa sposarne in toto le visioni e le credenze. La conversione all’Islam insomma è qualcosa di non necessario dentro questo meccanismo, ma che è venuto spontaneo a una ragazza nata e cresciuta a contato con il nulla del pensiero unico occidentale, che ormai vive di un individualismo claustrofobico, di una separazione sociale intrinseca e in un continuo senso di sospetto e di competizione con gli altri che sono il terreno sul quale è attecchita la malapianta della paura e l’accettazione supina della segregazione. Non c’è forse persona più aliena di me dalle fumisterie metafisiche delle religioni positive e tuttavia il senso del sacro, dei valori non barattabili, di un avvenire diverso da costruire, del riscatto dalla disuguaglianza e dallo sfruttamento, del significato intellettuale ed esistenziale della speranza collettiva, persino del progresso  è stato spazzato via da una tecnocrazia vuota, acefala e apolide che ha conquistato tutti gli spazi compresi quelli della religione di facciata che mai come oggi appare come mero strumento di potere che balbetta quando si tratta di interpretare il mondo. Quindi non dobbiamo stupirci se una ragazza che dopotutto annaspava alla ricerca di qualcosa di indefinito, ma finalmente di umano – anche se poi incautamente affidato a imprese caritatevoli a dir poco opache e lucranti – si sia lasciata incantare da una qualche fede fosse pure feroce, ma che comunque esprime una dimensione che ormai ci è completamente estranea.

Il vero scandalo di Silvia, siamo noi che non ci accorgiamo della vacuità rutilante nella quale siamo immersi e non riusciamo a ricostruire un mondo nel quale vivere non sia solo un istinto e un eterno immediato presente, ma qualcosa degno di essere vissuto.

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