Lotta al Covid 19: anticorpo monoclonale dall’Olanda, tocilizumab a Napoli

Attualità & Cronaca

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Semaforo giallo per anti infiammatori e cortisonici, verde per gli ipotensivi

Di Riccardo Guglielmi

Risultate vane le terapie tradizionali i ricercatori di tutto il pianeta hanno cominciato a lavorare su più fronti, dai farmaci nati per altre malattie, come quelli anti-Aids o contro l’artrite reumatoide, alla scoperta di nuove molecole. Dalla Fondazione Giovanni Pascale di Napoli, come confermato dal direttore sanitario Leonardo Miscio, in collaborazione con l’Ospedale Cotugno è partita la sperimentazione con tocilizumab,  farmaco usato nel trattamento dell’artrite reumatoide. Da Napoli la sperimentazione si è  estesa in altre regioni, dalla Toscana alla Puglia e alla Calabria, fino alla Lombardia e alle Marche. I clinici osservano un effetto positivo sulla polmonite con recupero della funzione respiratoria.  C’è grande ottimismo su questo farmaco che la Roche, l’azienda produttrice, fornisce  gratuitamente.

Altra speranza arriva dall’Università olandese di Utrecht. I ricercatori stanno mettendo a punto un anticorpo monoclonale progettato espressamente per aggredire il coronavirus Sars-CoV2, che pur non essendo uguale al Covid 19 rappresenta un ottimo modello di base. Gli anticorpi monoclonali sono proteine prodotte da cellule immunitarie, Linfociti B, che grazie alla fusione con cellule trasformate, diventano più longeve e produttive. A una minaccia esterna, pensiamo alla bomba sganciata da un aereo, l’organismo arma la contraerea con i proiettili adeguati. L’anticorpo monoclonale blocca la proteina Spike, artiglio, utilizzata dal virus per aggredire le cellule respiratorie umane. La scienza ha i suoi tempi, sperimentazione su animali e poi sull’uomo, prima di arrivare al commercio. In prospettiva questa potrebbe essere l’arma più efficace e gli studi si estendono dagli USA alla Cina.  

Dalla Francia arrivano oggi perplessità sui farmaci anti-infiammatori. Il ministro francese della Salute, Olivier Véran, tramite un tweet, afferma che assumere farmaci anti-infiammatori, come quelli a base di ibuprofene o di cortisone, “potrebbe essere un fattore aggravante dell’infezione” nei malati di coronavirus. Un’affermazione pesante che merita riscontro ed evidenze scientifiche. Comunque in caso di febbre usiamo il paracetamolo, perché ibufene e cortisoni già di loro potrebbero provocare insufficienza renale.

Altra problematica è il trattamento dell’ipertensione arteriosa. I medici ricevono telefonate spaventate dai pazienti ipertesi in terapia da anni con ACE-inibitori o sartani.  In rete circola la notizia suggestiva, ipotetica se non falsa e per bloccare gli allarmismi scende in campo la Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa, presieduta dal Prof. Guido Grassi. In un comunicato stampa ufficiale la SIIA precisa “ In atto NON esiste alcuna evidenza che gli ACE-inibitori favoriscano l’infezione da SARS-CoV-2 e/o che i sartani facciano lo stesso oppure  proteggano dall’infezione stessa”. Un messaggio rassicurante per i tanti ipertesi che devono continuare le terapie in corso. La sospensione dell’ipotensivo rende instabile la pressione arteriosa con conseguenze serie come infarto e ictus.

# Io sto in corsia  #Tu rimani a casa 

Riccardo Guglielmi – Giornalista scientifico del Corriere Nazionale

redazione@corrierenazionale.net

 



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