La Strage di Bologna: una coltre di fumo che fatica a diradarsi

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di DONATELLO D’ANDREA

La Strage di Bologna rappresenta uno degli eventi più tragici della storia della nostra Repubblica, nonché il più grave attentato contro i civili mai verificatosi in Italia. La sua storia è nota a tutti, nonostante la verità giudiziaria sia ancora oggi una chimera. Negli ultimi giorni, però, quella pesante coltre di fumo ha cominciato a diradarsi. C’è ancora molta strada da fare, sia chiaro, ma quei 40 anni di silenzio assoluto sono stati finalmente interrotti. Un debole ma buon segnale.

La Procura generale della Repubblica ha chiuso la nuova inchiesta sulla Strage, notificando quattro avvisi di fine indagine a diversi individui rei di aver preso parte direttamente o indirettamente a quanto accaduto. Tra questi c’è Paolo Bellini, ex avanguardista, ritenuto l’esecutore che avrebbe agito in concorso con Licio GelliUmberto OrtolaniFederico Umberto d’Amato e Mario Tedeschi. Questi quattro tutti deceduti e ritenuti mandanti, finanziatori e organizzatori dell’episodio più triste della nostra storia recente. Altri tre avvisi riguardano ipotesi di depistaggio e falsità al PM.

Sembrerebbe essere giunta quasi a conclusione l’indagine nata dai dossier presentati dall’associazioni dei familiari delle vittime del 2 agosto, attentato che fece 85 morti e 200 feriti.

Quel maledetto due agosto…

Ore 10,25 di sabato 2 agosto 1980. E’ una calda giornata di mezza estate e la stazione di Bologna, punto centrale del traffico emiliano, è piena. C’è l’aria condizionata, una cosa non comune nell’Italia del tempo, ecco perché tutte le persone si sono accalcate in una stanza. Purtroppo, nessuno poteva prevedere che proprio a quell’ora sarebbe scoppiato un ordigno di venti chili, il più letale della storia repubblicana.

La bomba era in una valigia lasciata incustodita sopra un tavolino. L’esplosione, che si sentì a diversi km di distanza, causò il crollo del tetto della sala d’aspetto e investì il parcheggio dei taxi davanti la stazione e il treno Ancona-Chiasso, sul binario uno. Il bilancio fu spaventoso: morirono 85 persone e più di duecento rimasero ferite gravemente. L’orologio della stazione divenne il simbolo di quella strage, fermo ancora alle 10.25.

I soccorsi furono immediati ma insufficienti. Era estate, molti medici erano in ferie, alcuni reparti erano chiusi e le ambulanze erano carenti, anche a causa della dimensione del tragico evento. Per il trasporto dei feriti vennero adoperati autobus e taxi. Il numero 37 divenne un altro simbolo di quel triste sabato.

La prima rivendicazione dell’attentato arrivò verso l’ora di pranzo ad un giornale di Roma. Ne seguirono altre da parte di gruppi terroristici di estrema destra e di estrema sinistra ma ben presto le indagini si concentrarono su di loro, i NAR o Nuclei Armati Rivoluzionari. Alcuni esponenti vennero arrestati già alla fine di agosto.

Quella di Bologna è l’unica strage della Prima Repubblica per cui la magistratura ha accertato e condannato gli esecutori materiali. In un processo conclusosi solo nel 1995, gli esecutori sono stati individuati negli esponenti di estrema destra Valerio FioravantiFrancesca Mambro e Luigi Ciavardini. I primi due sono stati condannati all’ergastolo, Ciavardini a 30 anni. Fino ad ora non era stato individuato nessun mandante ma solo coloro che avevano depistato le indagini: Licio Gelli, il capo della loggia massonica P2Francesco PazienzaPietro Musumeci Giuseppe Belmonte, tutti membri dei servizi segreti.

Chi erano i NAR

Nel 2017, un altro nome si aggiunge alla lunga lista dei partecipanti alla Strage di Bologna, è quello di Gilberto Cavallini, altro membro dei NAR, reo di aver preso parte alla strage. E’ stato condannato all’ergastolo il 9 gennaio 2020, il nono della sua carriera criminale.

Poche ore prima della sentenza Cavallini ha detto: “Non accetto di dover pagare per quello che non ho fatto. Noi NAR abbiamo fatto tutto sotto la luce del sole e non accetto la falsificazione della storia. Abbiamo lasciato in mezzo alla strada molte vittime, anche dei nostri camerati. Se voi pensate che dei ragazzini di poco più di vent’anni siano gli esecutori di ordini di gruppi di potere come la P2 o la mafia, fate un grosso errore”.

Delle parole davvero forti che non concordano con un’altra verità, quella giudiziaria. Ci sono seicentomila pagine di atti, ricostruzioni e testimonianze. Eppure in tanti continuano a dire che bisogna ancora cercare. Una strage del genere, non può essere racchiusa in un involucro impenetrabile, ha bisogno di essere approfondita fino in fondo, cercando tutte le evidenze possibili. La Prima Repubblica ci ha abituato a depistaggi, verità preconfezionate ed evidenze false. Non ci si può accontentare.

Ma chi erano i NAR, davvero erano ragazzini di vent’anni incapaci di compiere una strage? Non proprio. Un episodio, consegnato agli annali, riguarda l’omicidio di un giovane di 24 anni, Roberto Scialabba, reo di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Fioravanti e i suoi, decisero di “andare a caccia dei rossi”, era il 28 febbraio 1978. Per caso, in piazza don Bosco a Roma, incontrarono un gruppo di ragazzi intenti a fumare una canna. Non erano militanti, a loro non interessava la politicaCristiano Fioravanti e suo fratello Valerio gli spararono addosso. Scialabba morì con un colpo al cuore e due alla testa. Lui aveva 24 anni, i fratelli Fioravanti rispettivamente 20 (Valerio) e 18 (Cristiano).

Cavallini entrò nei NAR nel 1979 ma alle sue spalle aveva già una fiorente carriera criminale. Nell’aprile 1976, a Milano, assieme ad una dozzina di camerati, assalì a coltellate tre studenti “apparentemente di sinistra”. Aveva 21 anni, era un “ragazzino” ma ciò non gli impedì di togliere la vita a Gaetano Amoroso.

Il 23 giugno 1980, Cavallini uccise il giudice Mario Amato che stava indagando sui terroristi neri. L’ennesimo caso di un magistrato, in procinto di scoprire la verità, lasciato solo al suo destino.

Attribuito ai NAR fu anche l’omicidio di “Serpico”, al secolo Francesco Evangelista, un poliziotto ucciso davanti al Liceo Giulio Cesare di Roma. C’erano Cavallini, Valerio Fioravanti, Giorgio Vale, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini. Un omicidio nato dalla volontà dei NAR di ridicolizzare la polizia.

Nel 1977 un ragazzo, appena 17enne, si unì ai NAR, il suo nome era Alessandro Alibrandi. La sua fama verrà ricordata per l’omicidio di Walter Rossi, giovane militante di Lotta Continua, ucciso mentre distribuiva volantini antifascisti. La storia è nota per la presenza di un blindato della polizia e di alcuni agenti che, nonostante l’attacco dei missini, non intervennero per sedare gli animi, bloccarono per diversi minuti i soccorsi e soprattutto non chiamarono un’ambulanza. Nonostante queste evidenze e le numerose testimonianze del Comitato Walter Rossi, nato in memoria del giovane assassinato e formato dai testimoni dell’accaduto, non verranno mai presi provvedimenti a carico dei poliziotti collusi.

Alibrandi prese parte anche all’agguato del capitano della DigosFrancesco Straullu e all’agente Di Roma. Alessandro, assieme al Fioravanti, la Mambro e Cavallini spararono con armi automatiche e proiettili potenziati credendo che l’auto del capitano fosse blindata. Non era cosi. Il gruppo avrebbe voluto appuntare simbolicamente una lancia nel petto del capitano come richiamo agli indiani d’America ma non poterono farlo poiché il corpo, totalmente straziato, del capitano della Digos era finito per la violenza dei colpi sotto il sedile.

I NAR non operarono solo a Roma. A Milano, ad esempio, si recavano spesso a caccia di giovani di sinistra. Nel 1979, si appostarono sotto la casa di Andrea Bellini, storico leader di Autonomia Operaia, con l’obiettivo di ucciderlo poiché sospettato di aver ucciso il missino Sergio Ramelli. Bellini si salvò perché in quei giorni dormiva fuori casa.

Un’inchiesta di Radio Popolare e documentata dai vari giornali dell’epoca, indicò i NAR come gli assassini dei due giovanissimi liceali milanesi Fausto e Iaio, attorno ai quali si aprirono una serie di ipotesi relative al motivo per cui furono uccisi. Frequentavano il Leoncavallo, pur non essendo militanti politici. Erano due ragazzi normalissimi ma che stavano raccogliendo prove ed evidenze relative allo spaccio della droga nel loro quartiere. Stavano compilando un “libro bianco della droga”. Inoltre, qualche anno dopo verrà scoperto che di fronte alla casa di Fausto si trovava uno dei covi delle Brigate Rosse, all’interno del quale era custodita una parte del memoriale di Aldo Moro, rapito due giorni prima del brutale accadimento.

Nonostante tutti sapessero che i due omicidi erano legati all’ambiente della destra eversiva romana, composta dai NAR, da Massimo Carminati e Mario Spotti, la verità giudiziaria non emergerà mai. Il 6 dicembre del 2000 venne emesso un decreto di archiviazione che infangò definitivamente ogni tipo di significato della parola “giustizia”.

Tra il 1977 e il 1981 i NAR si resero protagonisti di efferati omicidi, ebbero contatti con la Banda della Magliana e parteciparono a molteplici azioni eversive in un panorama politico e sociale pieno di gruppi armati rivoluzionari. Erano più di 200 e praticavano tutti la lotta armata. Seppur loro si dichiarino innocenti, per ciò che riguarda la Strage di Bologna, è accertato che le giustificazioni da loro addotte non rispecchino per niente la realtà. A quel tempo, la rivoluzione avrebbero potuto farla anche ragazzini di vent’anni, armati fino ai denti e senza scrupoli.

Gli ultimi sviluppi

Gli ultimi sviluppi di questi giorni hanno tessuto un filo nero tra il Maestro Venerabile della Loggia P2, lo “Stato nello Stato”, e gli ambienti della destra eversiva, passando per gli agenti dell’intelligence e numerosi faccendieri, tra cui molti giornalisti, incaricati di depistare le indagini e confondere l’opinione pubblica.

Ciò che per anni è stato ipotizzato, ora non è più una semplice suggestione. La loggia massonica Propaganda 2 organizzò e finanziò la Strage di Bologna. Licio GelliUmberto OrtolaniFederico Umberto D’Amato (capo dell’ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno) e il senatore del Movimento Sociale Italiano, nonché massone, Mario Tedeschi. A stabilirlo è stata la Procura Generale di Bologna che, come anticipato, ha notificato gli avvisi di fine indagine sul massacro che lasciò sul campo 85 morti e duecento feriti.

All’interno del registro delle indagini appare anche Paolo Bellini, l’ex terrorista di Avanguardia Nazionale, ritenuto esecutore assieme ai NAR grazie ad un video amatoriale di un turista tedesco che lo ritrarrebbe alla stazione 12 minuti prima della strage. Nell’avviso di conclusioni delle indagini, infatti, si legge che Bellini è indagato con “altre persone da identificare”. L’avviso è stato riservato anche all’ex generale del SISDE Quintino Spella e all’ex carabiniere Piergiorgio Segatel, accusati di depistaggio. Anche l’amministratore del condominio in via Gradoli, a Roma, Domenico Catracchia, risponde del reato di false informazioni al PM.

La preparazione del tragico evento, sarebbe iniziata nel febbraio del 1979 in una località imprecisata. Proprio sulla base di questa data, che si ritiene collegata alla prima movimentazione del denaro, la Procura Generale ha stabilito il momento di inizio della condotta preparatoria all’attentato: febbraio 1979.

A questo proposito i finanzieri hanno documentato flussi di denaro per alcuni milioni di dollari, partiti da conti riconducibili a Gelli e Ortolani e alla fine destinati ai NAR. Gli investigatori hanno analizzato documentazione bancaria, rogatorie con la Svizzera e alcune carte sequestrate all’epoca e soprattutto hanno preso spunto dal fascicolo del processo sul crac del Banco Ambrosiano del banchiere “morto suicida” Roberto Calvi. In particolare al suo interno c’è un atto chiamato “documento Bologna”, sequestrato a Licio Gelli nel 1982. Lo scritto conteneva un numero di conto corrente.

Licio Gelli era stato già condannato per depistaggio, mentre il suo braccio destro Umberto Ortolani era stato prosciolto dopo essere stato accusato di gestire gli intrighi finanziari della P2. Scappato dall’Italia, Ortolani si rifugiò in Brasile. Nel 1996 venne assolto dall’accusa di cospirazione politica contro lo Stato ma due anni dopo venne condannato dalla Cassazione a 12 anni per il crac del Banco Ambrosiano. Gli ultimi sviluppi però hanno accertato che il Maestro della P2 e il suo assistente sono i mandanti-finanziatori della strage.

L’ex capo dell’Ufficio Affari Riservati del Viminale, D’Amato, è stato accusato di essere l’organizzatore della bomba. Anche lui era iscritto alla P2. Mario Tedeschi, senatore dell’MSI, era iscritto col numero di tessera 1643 e per gli inquirenti ha aiutato D’Amato nella gestione “mediatica” degli eventi anteriori e successivi alla strage, ma anche della attività di depistaggio.

Nonostante le “buone novelle”, la verità ha aspettato 40 anni per venire a galla. Gelli, Ortolani, D’Amato e Tedeschi sono deceduti da tempo e l’avviso verrà archiviato. Nonostante ciò sono quattro gli indagati ancora vivi, accusati di depistaggio e false dichiarazioni. Il primo è l’ex generale Quintino Spella, che ha 90 anni. Gli inquirenti fanno sapere che il primo a cui i magistrati si rivolsero, dopo aver raccolto dichiarazioni di alcuni terroristi di estrema destra, fu proprio il capo dei servizi segreti. L’indagato è reo di aver negato l’incontro con i magistrati, i quali gli avrebbero riferito che l’estrema destra stava preparando un grande attentato “di cui avrebbe parlato tutto il mondo”. Ancora in vita è anche Piergiorgio Segatel, ora settantaduenne ex carabiniere e che nel 1980 faceva parte del Nucleo Investigativo del Gruppo di Genova. Anche lui è stato accusato di aver mentito alla procura circa alcune testimonianze nere relative all’organizzazione di “qualcosa di veramente grosso”.

Nella stessa strada in cui era custodito con gelosia Aldo Moro, anche i NAR avevano due covi. In Via Gradoli, si trovavano tre appartamenti intestati a società immobiliari riconducibili al SISDE: due neri e uno rosso. La cosa ha davvero dell’inquietante. Ciò significa che le abitazioni in cui risiedevano dei terroristi e quello in cui veniva tenuto prigioniero il Presidente della Democrazia Cristiana appartenevano a degli uomini dello Stato.

L’ultimo indagato è proprio Paolo Bellini, ex avanguardista oggi sessantaseienne, inchiodato da un video amatoriale, da un intercettazione ambientale di Carlo Maria Maggi, ex capo di Ordine Nuovo, che parla con il figlio circa un “aviere” che avrebbe portato la bomba a Bologna. Infatti, Paolo Bellini aveva la passione per il volo, tanto che conseguì il brevetto da pilota, ed era conosciuto proprio per questo negli ambienti di estrema destra. L’ultimo elemento che lo inchioderebbe arriva direttamente da Palermo e riguarda la trattativa Stato-Mafia.

Insomma, le stragi, la Trattativa, la strategia della tensione. Una sorta di puzzle i cui pezzi sono sparsi per tutta la storia e coinvolgono tutti i protagonisti della Prima Repubblica: dai partiti agli interpreti. Inoltre, la presenza della loggia massonica P2, composta da uomini dello Stato, rende il tutto, se possibile, più inquietante. Una repubblica problematica e poco stabile, resa difficile proprio dai suoi uomini attraverso omicidi, drammatiche uccisioni e bombe. Ecco perché, a questo punto, occorre andare davvero in fondo per far diradare quella coltre di fumo che continua a coprire più di cinquant’anni di storia italiana.

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