Ripartire dalle “cicatrici interiori”: intervista a Francesco Musolino

Teocrazia e Cristianità oltre Tevere

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Lorenzo è un ragazzo che conduce la propria esistenza come un “inetto”, cercando di non dimenticare i frammenti di ricordi della sua infanzia legati al suo defunto padre. Il suo passato però lo mantiene imprigionato in una sorta di gabbia, immerso in una fase di stasi nella quale ha deciso di rinunciare ai propri sogni, alle ambizioni e soprattutto vivere davvero. La sua vita si è fermata “l’attimo prima”, proprio nel momento in cui ci sarebbe stata una svolta del suo percorso esistenziale. Quell’attimo prima non gli ha consentito di realizzare il suo sogno più grande: trasferirsi a Milano per studiare in una prestigiosa Accademia di Cucina.

È questa la trama de “L’attimo prima”, il romanzo d’esordio del giornalista Francesco Musolino, edito da Rizzoli. In questo libro è possibile rintracciare i colori e gli odori dell’infanzia dell’autore in una Sicilia meravigliosa che rimane impressa nella memoria del lettore. “L’attimo prima” è un romanzo che parla di rinascita, evoluzione e vita. È la storia di rinascita di Lorenzo che si ritroverà a non aver più paura del cambiamento e dei propri sogni. In questo percorso di evoluzione sarà emblematico l’aiuto di due donne: Elena, sorella minore, spirito ribelle, amante della filosofia orientale e Sveva, cuoca intrigante e misteriosa che non smetterà mai di mettersi in gioco nonostante le continue cadute e fallimenti.

“L’attimo prima” è un vero e proprio inno alla vita, al cambiamento, al mettersi in gioco e rialzarci nonostante le sofferenze, i lutti e i fallimenti personali. Trasmette vitalità e positività nel concretizzare i propri sogni e nel considerare le proprie fragilità e cicatrici interiori dei punti di forza dai quali ripartire per vivere davvero. Di com’è nata l’idea di scrivere questo libro e del messaggio racchiuso in esso ci parla Francesco Musolino in questa interessante intervista.

Come e quando è nata l’dea di scrivere “L’attimo prima”?

È nato dal bisogno di elaborare una perdita, una grande emozione con cui inizialmente non sono riuscito a scendere a patti. La verità è che la vita procede sempre avanti e spesso non ci lascia il tempo di fermarci, di prenderci quel tempo necessario per rallentare e mandare giù i bocconi amari. “L’attimo prima” è nato così, mettendo le mani dentro le emozioni roventi, creando la giusta distanza. Non volevo che fosse un libro ombelicale, non ho alcuna lezione da impartire al lettore. Racconto una storia di caduta e di rinascita, un ritorno alla vita di un ragazzo, Lorenzo, che cade e si rialza, sbagliando e incespicando, imparando daccapo a sorridere, comprendendo che alla fine, resta sempre la vita.

 

Lorenzo, il protagonista del suo romanzo è tormentato dal suo passato e dai ricordi legati ad esso. Che ruolo ha il passato nella nostra esistenza secondo lei?

Il passato ci ricorda chi siamo. Il passato plasma il nostro modo di andare incontro alla vita, fra delusioni e vittorie. Ma se mi è permesso un gioco di parole, quand’è che il passato è passato davvero? Quando possiamo essere certi d’aver chiuso tutte le porte? Forse mai. Ma ciò non significa che ne siamo schiavi, semmai penso che siamo identità in continuo mutamento e noi dobbiamo essere pronti a cogliere i momenti, a vivere.

Lei parla spesso di “zavorre emotive” e di “pantano” nel suo romanzo. Ci spieghi meglio questi due concetti…

Le zavorre emotive nascono con l’Assenza. Quando perdiamo una persona cara, quando finisce qualcosa, quando si spezza il nostro futuro perfetto, portiamo dentro il cuore il ricordo dei momenti felici, riempiamo uno zaino di “mai più”, viviamo nel passato e con le spalle rivolte al futuro. Il pantano di Lorenzo è una logica conseguenza ovvero l’incapacità di affrontare le emozioni e i colpi di coda della vita. Ma chi l’ha detto che le cose devono andare necessariamente così? Non sarebbe meglio riuscire a sorridere ricordando chi abbiamo amato e continuiamo a tenere nel cuore?

“L’attimo prima” insegna che non si deve nascondere mai le proprie ferite e fragilità perché sono esse che ci rendono unici e speciali. Che rapporto ha lei con esse?

Le cicatrici sul cuore fanno male. E sarà così per sempre. Mi riferisco al pensiero delle persone assenti in primis, a quel momento in cui la vita mostra il suo lato crudele. Ma tutti cadiamo. Capita proprio a tutti. Ed è normale aver voglia di fermarsi. Ma quando finalmente ci rimettiamo in piedi, capiamo che siamo frangibili perché umani e siamo anche forti perché capaci di rialzarci. Abbiamo tutti debolezze e dobbiamo avere il coraggio di mostrarle a chi amiamo.

Lorenzo non ha il coraggio di perseguire i propri sogni. C’è un consiglio che darebbe ad un giovane come il protagonista del suo libro che si sente imprigionato nel “pantano”?

Lorenzo sogna la metropoli e un futuro da grande chef. E va bene così. Ciò che non funziona è la certezza che lui possa maneggiare e padroneggiare il tempo che verrà. Per questo non viaggia e non cucina. Ad un giovane lettore consiglierei di viaggiare con la fantasia e fare progetti di vita seguendo le sue passioni ma tenendo sempre i piedi piantati per terra. Da siciliano dico che dobbiamo partire dalla nostra terra per andare alla conquista del mondo, dall’importanza delle nostre radici che vanno valorizzate, non tradite.

Fra i personaggi del suo romanzo vi è la sorella del protagonista, Elena, che ha un approccio zen con la propria esistenza. Lei descrive bene concetti della filosofia orientale. Quando e come è nato questo interesse?

Ad un passo dalla laurea in Scienze Politiche ho iniziato a leggere Carl Gustav Jung. Ed è stato amore a prima vista. Il concetto di sincronicità mi ha stupito e poi ho letto Alan Watts che per primo ha svelato il pensiero zen, il Qui e Ora, al mondo occidentale. E anni dopo, un’amica, la scrittrice Laura Imai Messina, mi ha donato un Daruma – proprio come accade a Lorenzo – chiedendomi di fare attenzione nell’esprimere il mio desiderio. Nel romanzo le idee orientali di Elena servono soprattutto a capovolgere la prospettiva, a mettere in crisi tutte quelle certezze dietro cui ci rifugiamo per non affrontare la notte, per non avere dubbi.

“L’attimo prima” è ambientato nella sua meravigliosa Sicilia. Cosa ama tanto di questa terra?

Amo la mia terra, sì. Eppure per tanti anni ho combattuto e mi sono ribellato alla sua bellezza selvaggia, quasi oscena. E così, ambientando il romanzo ho colto al volo la possibilità di rompere gli indugi e sbaragliare le cartoline e quella narrazione stantia che racconta un’isola, immobile nel tempo. Sono stufo di leggere delle piazzette assolate, degli omicidi di mafia raccontati addentando i cannoli fra il traffico tentacolare e il dialetto sbandierato come un elemento di folklore. Avevo voglia di raccontare la Sicilia come una terra splendente ma dispettosa, bellissima ma spigolosa, ricchissima ma capace di mettersi di traverso e rendere tutto molto complicato. Essere siciliani è un dono ma richiede anche molta perseveranza.

Lorenzo chiede ai clienti dell’agenzia di viaggi nella quale lavora cosa farebbero in caso di incendio? Lei cosa farebbe?

In caso di incendio, per quanto possa sembrare egoista, dobbiamo salvare prima di tutti noi stessi. Un po’ come ci ordinano di fare gli steward sugli aerei con le mascherine dell’ossigeno, prima noi e poi gli altri. Credo che mettersi in salvo, in senso lato, significhi trovare il nostro centro, il nostro equilibrio. A quel punto saremo in grado di amare, mostrando anche le cicatrici che teniamo sul cuore, le nostre debolezze.

Perché il lettore de IlCorriereNazionale.net dovrebbe leggere il suo romanzo?

Perché è una storia di luce, di caduta e ritorno alla vita. Perché è scritta con amore ma senza l’intenzione di insegnare alcunché al lettore. Facciamo un pezzo di strada insieme a Lorenzo, con lui cadiamo e ci rialziamo e ricominciamo a sorridere alla vita fra odori d’infanzia e le note del Bolero.

Mariangela Cutrone

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