Renzo Bistolfi ci racconta “Le spedizioni notturne delle Zefire”

Teocrazia e Cristianità oltre Tevere

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Dopo il successo de “Lo strano caso di Maria Scartoccio” e “Il segreto del commandator Storace,”  editi da Tea, torna in libreria lo scrittore Renzo Bistolfi con un giallo avvincente e imperdibile, da leggere in questa calda estate.

Uscito il 13 Giugno e pubblicato dalla nota casa editrice Tea, il nuovo giallo dello scrittore e manager di successo Bistolfi si intitola” Le spedizioni notturne delle Zefire”.

Protagoniste di questo romanzo che ammalierà e farà sorridere il lettore fino all’ultima pagina, sono due vecchiette di nome Zefira e Richetta che conducono una vita solitaria e non convenzionale nella cittadina di Sestre Ponente.  Quelli che ha creato Bistolfi sono due personaggi non ordinari che accompagneranno il lettore nella risoluzione di due omicidi inaspettati e vari enigmi che manterranno viva l’attenzione e la curiosità dei lettori.

Come mai le due vecchiette che non amano assolutamente il coinvolgimento nella vita sociale e preferiscono dedicarsi più alla cura dei gatti domestici e randagi che alle relazioni interpersonali, saranno coinvolte in questo duplice omicidio sul quale sta investigando con impegno e serietà il maresciallo Galanti? Ma soprattutto come mai dalla casa delle due Zefire stanno sparendo oggetti di valore appartenuti al loro padre e donati dal marchese Imperiali? Chi è il giovane che da qualche giorno abita insieme alle due vecchiette all’insaputa della pronipote Clelia e del marito Ugo che vogliono rinchiudere le due Zefire in un ospizio?

Ogni capitolo crea suspense e si arricchisce di interessanti e coinvolgenti dialoghi. Bistolfi si riconferma un abile “stratega” nel combinare elementi e personaggi che rendono i suoi gialli indimenticabili e interessanti. Un giallo che si legge tutto d’un fiato e che non risparmia colpi di scena. Della sua passione per i gialli, dei suoi viaggi di lavoro come fonte di ispirazione per i suoi libri e del suo legame con la sua  cittadina d’origine (Sestre Ponente), ci racconta con tanta passione Renzo Bistolfi in questa interessante intervista.

Com’è nata l’idea di creare due personaggi così ame avvincenti (e ai quali è facile affezionarsi) come le due Zefire?

Come al solito sono partito da un ricordo. Quando avevo più capelli in testa di adesso ne affidavo la cura a Renato, uno storico barbiere sestrese che si autodefiniva “Il Benvenuto Cellini del pelo”. Renato aveva la sua bottega verso il fondo di via Sestri (l’antica via Garibaldi) ed era un gran chiacchierone, come quasi tutti i barbieri. Ebbene è proprio da Renato che molti anni fa sentii raccontare di queste due sorelle, chiamate appunto Le Zefire, le quali abitavano in un palazzetto bellissimo a pochi passi dalla bottega (palazzetto che ancora esiste). Renato le descriveva come due donne strambe, che uscivano solo a notte fonda tenendosi per mano, camminando lungo i muri. Non so se sia vero, ma lui sosteneva che alla loro morte in casa venne rinvenuta una grossa valigia piena di banconote fuori corso: le AM Lire del tempo di guerra. Una fortuna andata in fumo.

Ecco. La mia conoscenza delle vere Zefire comincia e finisce qui, e proprio da qui, da questo sommario racconto del barbiere, sono partito per sviluppare i miei personaggi, l’ambiente della vicenda e l’intera storia, che è totalmente inventata.

Lei è originario di Sestri Ponente. Come mai la scelta di questa ambientazione per il suo romanzo?

I miei ultimi cinque romanzi, tutti editi da TEA, sono ambientati a Sestri Ponente negli anni Cinquanta e Sessanta, perché è il luogo dove sono nato e cresciuto, dove ho vissuto fino al 1981, quando mi sono trasferito a Milano per lavoro. Ci sono dunque due ragioni dietro a questa scelta: la prima è l’amore per quei luoghi e la seconda perché a mio avviso conviene sempre scrivere di ciò che si conosce bene. E io, grazie alla mia trascorsa gioventù, conosco molto bene Sestri e i personaggi intrisi di caustica ironia, talvolta sopra le righe, che l’hanno sempre popolata. Personaggi che, benché non siano assurti alla gloria delle cronache, sono talvolta degni di letteratura.

C’è un personaggio al quale è affezionato di più rispetto agli altri e perché?

È difficile stilare una graduatoria perché amo tutti i miei personaggi, anche quelli negativi. Se proprio devo sforzarmi dirò che sono molto affezionato alle sorelle Devoto, protagoniste del romanzo “I garbati maneggi delle signorine Devoto” perché rappresentano la forza vincente della bontà d’animo, strettamente legata ai valori e alla saggezza della tradizione, che consentono a tre zitelle apparentemente indifese (una delle quali cieca) di trovare, pur nella loro fragilità e nella rigidità delle loro convenzioni borghesi, la forza di reagire a certi accadimenti drammatici e di “mettere in riga il mondo”.

Poi sono senz’altro affezionato alla giovane Vittoria Barabino, protagonista de “Il coraggio della signora maestra”, perché il personaggio è ispirato da vicino alle gesta di una partigiana che ho personalmente conosciuto e dunque, in quel libro, si narrano vicende storiche sestresi realmente accadute in tempo di guerra. Le Zefire sono le mie ultime figliole e, naturalmente, essendo appena nate mi piacciono molto.

Le Zefire sono due vecchiette schive e anticonformiste, vittime di pregiudizi ed etichette da parte della gente del paese. Secondo lei perché gente di questo tipo attira così tanto l’attenzione?

Perché il conformismo e l’omologazione rassicurano, mentre l’originalità e l’insofferenza alle regole inquietano. In un certo senso non è altro che la diffidenza che si prova dinnanzi al “diverso”: quando va bene ispira curiosità, quando va male addirittura paura. Tuttavia io sono d’accordo con Artaud il quale nel suo saggio “Eliogabalo, o l’anarchico incoronato” afferma che “tutto ciò che non conosciamo, cioè tutto ciò che ci dà la misura della nostra abissale ignoranza, noi lo chiamiamo barbaro”. Ecco perché spesso nei miei romanzi si trovano personaggi originali se non addirittura “diversi” e, dopo tutto, sempre positivi.

Le Zefire vivono in un ambiente ristretto e conformista che non frequentano, che in un certo senso guardano dall’alto in basso. Eppure di quel mondo fanno indissolubilmente parte, tant’è che quando si trovano in pericolo, perfino chi nella commedia quotidiana del vicinato le vedrebbe volentieri rinchiuse in un ospizio, si adopera a loro favore. Per quelle persone, dopotutto, Sestri senza le Zefire non sarebbe nemmeno Sestri.

La notte è il momento in cui le Zefire si sentono libere e inosservate. Per lei che è uno scrittore di gialli la notte cosa rappresenta?

Per me personalmente rappresenta solo il periodo del sonno, giacché di solito vado a letto con le galline e mi levo col gallo, ma nel mondo piccolo e provinciale che tento di descrivere, per i personaggi che lo popolano, la notte rappresenta il luogo comune del malaffare, addirittura del pericolo. Per uno scrittore la notte rappresenta un eccellente periodo dove ambientare ogni genere di inquietudine, di misfatto, un paesaggio rarefatto e deserto, popolato da fruscii sinistri, luci giallastre e ombre inquietanti. Eppure suppongo che i peggiori crimini abbiano poco da spartire con la notte. La notte è il luogo dei crimini per i romanzieri e i cuori semplici, non certo per i veri criminali.

Come mai la scelta di scrivere gialli?

Perché in un romanzo l’intreccio trainante deve sempre esserci e io stesso sono un lettore di gialli. Le trame d’amore mi annoiano abbastanza, le storie di sesso mi fanno prima sbuffare, poi cadere addormentato. I gialli invece mi tengono sveglio, li ho sempre letti per puro divertimento, così come da bambino leggevo Topolino e le sue avventure con Macchia Nera e Pietro Gambadilegno. I gialli sono romanzi passatempo, da leggere per divertirsi. Alcuni lettori, amanti dei cosiddetti Thriller d’azione trovano i miei romanzi un poco lenti. Forse è vero, perché nei miei romanzi l’intreccio giallo non è tutto, anzi, è quasi un pretesto. Mi serve per rappresentare la natura umana, per descrivere particolari ambienti che desidero mostrare al lettore, per presentargli e possibilmente fargli amare certi personaggi che amo, talvolta originali e divertenti, spesso tipi sui quali ci si imbatte ogni giorno senza prestarvi troppa attenzione. Infine per richiamare certi valori in cui credo e sui quali amo puntare sempre la luce dell’attenzione.

Cosa contraddistingue un giallo avvincente e di successo?

A mio avviso la tenuta della storia in termini di credibilità. Credo che per originali che possano essere le trame, esse debbano sempre consentire al lettore di immedesimarsi nella vicenda, instillando la certezza che quegli accadimenti potrebbero realmente investire chiunque, anche sé stessi. È nella capacità di “tirar dentro” il lettore la forza di un giallo. Inoltre sono convinto che le storie debbano chiudersi perfettamente, che ogni tassello debba andare ordinatamente al proprio posto come in un puzzle. Credo non sia serio, da parte dell’autore, non riportare tutto, alla fine, su un piano di chiarezza e razionalità, barare o tirare fuori il coniglio dal cappello all’ultimo momento. Mi è capitato di leggere gialli con un intreccio eccellente e una conclusione deludente, tirata via, quando non addirittura improbabile, che profuma tanto di autore che “non sa più come fare per uscirne”. Personalmente non inizio mai a scrivere se non ho chiara in testa l’intera vicenda e l’esatta dinamica del finale.

Ogni autore è inconsciamente influenzato dai propri scrittori preferiti e di riferimento. Quali sono i suoi?

Da bambino leggevo Verne e Salgari, Il primo romanzo che mi ha catturato per i personaggi, i luoghi e le atmosfere che raccontava è stato “La grande pioggia” di Louis Bromfield. L’ho letto a 15 anni e ho subito deciso di andare in India, ma ho dovuto aspettare 10 anni. Poi ho letto di tutto. Mi piacciono molti autori, citerò appena Hemingway, Sciascia, Tomasi di Lampedusa, Mann e Wilde. Se parliamo di gialli, però, sicuramente George Simenon e Agatha Christie. Il primo per l’asciuttezza dello stile di scrittura e la capacità di creare in poche righe atmosfere e ambientazioni d’una chiarezza lancinante, la seconda per i suoi straordinari intrecci, anche se spesso barava.

Lei è un manager di successo che per lavoro viaggia molto. i suoi viaggi sono fonte di ispirazione per i suoi libri?

C’è gente sulla quale le esperienze sembrano scivolare senza lasciar traccia, o quasi. Conosco persone che faticano a ricordare il nome dei propri compagni di scuola, i viaggi compiuti, la prima volta che hanno volato. Di me invece ho sempre detto che vivo per ricordare. Perciò tutto ciò che vivo, le persone che incontro, le strade che percorro, le atmosfere che respiro, i contrattempi che mi capitano, tutto assorbo come una spugna e trattengo. In seguito ogni minimo elemento mi torna utile quando scrivo. Noi siamo ciò che viviamo e ciò che leggiamo, dunque anche i viaggi sono sicuramente fonte d’ispirazione per i miei libri.

Il lettore può sperare in un nuovo romanzo con protagoniste le due amate Zefire?

Chi può dirlo? Le sorelle Devoto, per esempio, sono amatissime dai miei lettori, i quali spesso mi incitano a toglierle dalla naftalina. Io sono un po’ titubante, perché non amo i personaggi seriali e credo che dopotutto gente come Miss Marple, per simpatica che sia, porti una scalogna pazzesca: dove appare lei col suo cappellino vittoriano ben presto qualcuno ci rimetterà le penne in maniera violenta. Quel che accade alle Zefire, tutto sommato, alla maggior parte delle persone non capiterà mai, e forse per loro questa avventura è già più che abbastanza. La serialità dei mei romanzi, più che dai personaggi, dipende dal luogo e dall’epoca. Tuttavia le Zefire, alla fine della storia, sono ancora vive e vegete (proprio come le signorine Devoto) e dunque non si può mai dire cosa riserverà loro il resto della vita.

Perché il lettore de IlCorriereNazionale.net dovrebbe leggere “Le spedizioni notturne delle Zefire”

Perché è una bella storia divertente, lo spaccato di un mondo antico e provinciale che non esiste più, dove l’esistenza pigra e metodica delle protagoniste a un tratto viene sconvolta da accadimenti spaventosi, e questi accadimenti rappresentano la svolta decisiva della loro vita. Loro, due vecchiette schive e intrattabili che detestano il mondo e i suoi abitanti, loro che sanno parlare solo con i gatti, da questa avventura ne usciranno trasformate, col cuore finalmente riscaldato dall’amore per un essere umano. Qualche lettore particolarmente sanguinario troverà forse la conclusione un poco zuccherosa, ma a me piace così. Credo che in un mondo colmo di indifferenza, egoismo e linguaggi violenti, faccia bene un poco di aria pulita, un finale che permetta al lettore di addormentarsi senza affanni, col cuore leggero, come quando si è appena terminata una bella fiaba.

Mariangela Cutrone

 

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