Maldive contese e voto difficile, vince l’India perde la Cina

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Maldive, da paradisiaca destinazione turistica, a laboratorio politico asiatico.
-La Cina ha perso le elezioni nelle Maldive, vince l’opposizione sostenuta dall’India.
-Bocciato il modello di sviluppo dipendente da Pechino.
-Si riapre la partita geopolitica tra giganti.

Di Remocontro 

Maldive non solo vacanza

Maldive contese e voto difficile, vince l’India perde la Cina. Maldive, al terzo voto presidenziale della sua storia, stranamente vince l’India e perde la Cina, potenti e invadenti vicine. Dopo anni di burrasche politiche, arresti, processi, denunce per violazione di diritti umani e civili e la proclamazione dello stato d’emergenza, i dubbi precedenti di Unione Europea e Stati Uniti sulla regolarità del voto. Prima di questi risultati. La vera contesa non era solo tra i il presidente in carica Yameen e il candidato delle opposizioni Ibrahim Mohammed Solih -spiega Simone Pieranni su EastWest-, «Sul voto nelle Maldive si giocava anche la partita tutta geopolitica tra Cina e India, con Pechino che aveva intessuto importanti relazioni con Yameen e Delhi più vicina alle opposizioni».

Alla fine l’ha spuntata proprio quest’ultimo, un candidato non certo favorito che aveva più volte denunciatole difficoltà incontrate in una campagna elettorale a senso unico. L’esito del voto però è stato netto: lo stesso ex presidente Yameen ha ammesso la sconfitta. «I cittadini delle Maldive – ha detto – si sono espressi e io accetto questo risultato». Interessanti le dimensioni della consultazione per tanto ‘paradiso’ almeno per i turisti: 136 mila voti La Commissione elettorale ha dichiarato che Solih ha ottenuto 134.616 voti al vincente, che sono ben il 58% dei davvero pochi cittadini.

Un esito che apre a diversi scenari. Dal punto di vista interno, una svolta per quei politici che sono stati perseguitati dall’ex presidente. Non c’era molta democrazia in quel paradiso solo per ospiti paganti. Ad esempio Maumoon Abdul Gayoom, fratellastro di Yameen, l’ormai quasi ex presidente, spodestato lo scorso anno dal fratello non un mini colpo di Stato in famiglia, dopo aver governato il Paese con metodi discutibili. L’esito del voto – inoltre – potrebbe costituire una svolta anche per il primo presidente democraticamente eletto delle Maldive, Mohamed Nasheed, costretto all’esilio durante le proteste anti-governative del 2012.

Ma al di là delle motivate critiche ai metodi politici di Yameen, pare sia stata la sua politica economica ed estera a suscitare mote delle perplessità a Bruxelles, Washington e naturalmente a Delhi (non si sa quan to estranee all’esito del voto). Yameen aveva lanciato un programma di sviluppo economico e infrastrutturale legato all’aiuto finanziario della Cina. Ma sembra essere stata proprio questa ingombrante presenza di Pechino ad allarmare la società e la comunità del business delle Maldive, rafforzando le opposizioni, piuttosto scettiche sul legame cinese anche a causa dell’indebitamento del governo locale con la Cina.

Il simbolo che univa Yameen a Pechino -ricorda sempre Simone Pieranni- è il “Ponte dell’amicizia Cina-Maldive”, il primo ponte marittimo realizzato nell’arcipelago, finanziato totalmente dalla Cina. Inaugurato alla fine di agosto, giusto in tempo per le elezioni, il ponte collega la capitale, Male, uno dei luoghi con maggiore densità di popolazione al mondo, all’isola di Hulhule, dove sorge l’aeroporto internazionale. Grazie alla nuova infrastruttura, Yameen ha potuto rivendicare risultati concreti di fronte ai circa 400mila cittadini maldiviani, per contrastare i messaggi di richiesta di democrazia portati aventi dalle opposizioni. Ma evidentemente, l’impegno cinese su quel tratto di ‘via della seta’ ha trovato avversari più abili.

Cina alla grande, forse troppo. L’espansione cinese ha altri due progetti infrastrutturali che insieme al ponte costerebbero alle Maldive 1,5 miliardi di dollari. Un po’ troppo per il Pil delle Maldive, che è appena di 3,6 miliardi di dollari. Il rischio, secondo analisti e osservatori molto vicini alle letture politico economiche occidentali dei fatti, le Maldive rischierebbero di finire nella “trappola del debito” cinese. Altri ‘debiti’, pronti evidentemente ad aiutare in alternativa. Sforzi di Pechino e intrapresa locale, ma non è bastato a Yameen per la rielezione. E l’esito elettorale riapre una partita geopolitica che interessa molto anche l’Europa che, con gli Usa, aveva anche minacciato sanzioni per “violazioni di diritti umani e civili nell’arcipelago”. Umanitarismo va e vieni.

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