Una lezione per i sovranisti: la Brexit è un bagno di sangue

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Con le dimissioni di Davis e Johnson la Brexit è sempre più un bagno di sangue (politico) per la Gran Bretagna. Il Governo May reggerà o no? Intanto gode l’Unione Europea

di Tommaso Canetta

Che la Brexit non sarebbe stata una passeggiata lo sapevano tutti, in Gran Bretagna come a Bruxelles. Ma nemmeno i più vendicativi eurocrati avrebbero potuto sperare in un bagno di sangue (politico) simile a quello in corso oltremanica. Dopo aver inghiottito il futuro politico di David Cameron, il premier inglese enfant prodige dei Tories che – ironia della sorte – aveva indetto il referendum per mettere un argine all’ala euroscettica del partito, la Brexit sta macinando vittime sia tra i suoi più accaniti sostenitori sia tra chi si è trovato a doverla portare avanti pur non avendola sostenuta in un primo momento, in una guerra che non sembra prevedere vincitori.

Nelle ultime ore si sono dimessi due ministri di peso, “falchi” dell’uscita dalla Ue: Boris Johnson, da poche ore “ex” ministro degli Esteri, e David Davis, anche lui ormai “ex” ministro per la Brexit. La causa scatenante è stato il “serrate le fila” imposto dalla premier Theresa May al suo governo, perché accettasse la sua linea politica nei negoziati con Bruxelles sulle future relazioni tra la Gran Bretagna e l’Unione europea. Troppo arrendevole, secondo i “falchi”, che non volendo sottostare al diktat del Numero 10 di Downing Street hanno fatto detonare il proprio malcontento, sostenendo che il piano della May avrebbe di fatto “svenduto” la Brexit e tradito la volontà del popolo britannico. In particolare per loro si è rivelata indigeribile la proposta di creare un’area di libero scambio con la Ue, un “sistema di mobilità” per gli immigrati dall’Unione e un mantenimento di fatto di stretti legami commerciali e giuridici col resto del continente. Meglio a quel punto, secondo i “falchi”, un’uscita senza un accordo.

Nemmeno i più vendicativi eurocrati avrebbero potuto sperare in un bagno di sangue (politico) simile a quello in corso oltremanica
Adesso, consumato lo strappo, non è chiaro cosa potrebbe succedere. Apparentemente Johnson e i suoi non hanno i numeri per poter abbattere la May e sostituirla alla guida dei Conservatori, orientando il partito verso una “hard Brexit”, indigesta a molti poteri – economici, finanziari etc. – storicamente vicini ai Toriese a tanti loro parlamentari. Di contro la May, che già si regge su una maggioranza risicata, dove è fondamentale l’appoggio del partito nazionalista nord-irlandese (il che le crea dei problemi sullo spinoso dossier del confine tra Eire e Irlanda del Nord), esce indebolita dallo scontro. Il suo piano di ricompattare il partito per andare a chiedere, non senza qualche speranza, un ammorbidimento delle condizioni imposte da Bruxelles sembra fallito prima ancora di essere nato.

Il rischio di elezioni anticipate dovrebbe essere comunque basso, considerato che già l’anno scorso si sono tenute (May sperava di incassare una vittoria netta, certa nei sondaggi fino a poche settimane prima, ed è invece riuscita a perdere la maggioranza parlamentare) e che i Conservatori temono in base ai recenti sondaggi di subire il sorpasso ad opera dei laburisti guidati da Corbyn, che nelle ultime ore stanno infierendo sulla “guerra civile” interna ai loro avversari. Ma mai dire mai, anche se l’esito più probabile secondo gli analisti è che la May prosegua lungo la traiettoria che ha tracciato, sempre più indebolita e circondata da malumori interni ed esterni al partito.

Chi si frega le mani, in questo scenario, è l’Unione europea, pronta a imporre condizioni ancor più vantaggiose per sé alla controparte britannica, che arriva debole e disunita al tavolo negoziale
Chi si frega le mani, in questo scenario, è l’Unione europea, pronta a imporre condizioni ancor più vantaggiose per sé alla controparte britannica, che arriva debole e disunita al tavolo negoziale. Se è vero, infatti, che un’uscita del Regno Unito senza alcun accordo creerebbe dei problemi di carattere economico – potenzialmente anche gravi – all’Unione, è anche vero ne imporrebbe di peggiori a Londra.

Ma soprattutto lo scempio che la Brexit sta facendo del mondo politico d’oltremanica che l’ha partorita rappresenta una vittoria strategica di lungo periodo per la Ue. Chi, sapendo quel che è successo ai Tories, e in generale alla destra inglese (l’Ukip dopo aver vinto la sua battaglia sembra scomparso, circondato anche da un certo senso di ridicolo per le promesse roboanti della campagna elettorale poi rivelatesi puntualmente false), e temendo quel che potrebbe succedere al Paese, vorrebbe oggi intestarsi una simile battaglia? Magari in uno Stato meno prospero e potente del Regno Unito? Per i populisti euroscettici di tutto il vecchio continente quella inglese potrebbe essere, nelle speranze di Bruxelles, una lezione impossibile da dimenticare.

 

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