Che fine ha fatto il territorio?

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Pierpaolo Molinengo
Anche il territorio italiano, da sempre policentrico e differenziato, con la saldatura degli insediamenti dovuta al forte consumo di suolo ha visto formarsi grandi regioni urbanizzate. La copertura artificiale del suolo è passata dal 2,7% del territorio nazionale del 1956 (quando eravamo meno di 50 milioni di abitanti) al 7% del 2014 (stima Ispra). Negli ultimi anni il consumo quotidiano di suolo è di circa 55 ettari: come 80 campi di calcio al giorno. Nell’insieme, le aree di continuità dell’urbanizzato diffuso assorbono oltre il 40% della popolazione italiana. L’area urbanizzata attorno a Milano (la megaregione lombarda) arriva a contare quasi 7 milioni di abitanti.

E i flussi sono sempre più concentrati
L’avvento dell’alta velocità nel 2009, oltre ad abbattere i tempi di viaggio e a moltiplicare l’offerta, ha comportato una ri-gerarchizzazione del sistema urbano. Roma è la città meglio servita, con 290 connessioni veloci al giorno in arrivo e altrettante in partenza. Bologna, grazie alla sua posizione strategica, può contare su 250 connessioni giornaliere. Mentre Torino, posta al margine della rete, ne ha solo 83. La concentrazione dei flussi caratterizza anche il traffico aereo internazionale, che ha registrato un vero e proprio boom. Il numero dei passeggeri internazionali è più che raddoppiato tra il 2000 e il 2015 (+112%), passando da 46 milioni a quasi 98 milioni all’anno. Di questi, il 62% è assorbito dai soli scali romani (Fiumicino e Ciampino) e milanesi (Malpensa, Linate e Orio al Serio). Considerando anche Venezia e Bologna, si arriva complessivamente al 77%.

La disintermediazione politica by-passa i territori
A mettere in crisi il policentrismo italiano è stata anche la spinta al ridimensionamento dei livelli intermedi di rappresentanza. La disintermediazione praticata dal centro tende a by-passare i territori. L’unica eccezione sarebbero le nuove città metropolitane, anche se finora si tratta di un soggetto ancora piuttosto evanescente. Di fatto, il centro sembra interessarsi esclusivamente alle grandi città, Milano e Roma soprattutto, nell’ottica di compartecipare da protagonista all’organizzazione dei grandi eventi (Expo, Giubileo, Olimpiadi).

Italia anomalia europea
Nella tendenza globale alla concentrazione delle attività economiche in poche agglomerazioni urbane, la situazione italiana resta però ancora un’anomalia. Nel nostro Paese il peso delle aree urbane maggiori è decisamente meno rilevante rispetto alla maggioranza degli altri Paesi. In Francia, Parigi e l’Île de France assorbono il 18% della popolazione nazionale e producono il 30% della ricchezza del Paese. Nel Regno Unito, la grande area di Londra raccoglie il 13% della popolazione e rappresenta il 22% della ricchezza. Mentre in Italia le due città metropolitane di Milano e Roma rappresentano insieme solo il 12% della popolazione e il 19% del Pil. La complessità territoriale italiana si coglie anche nel modo in cui sono stati assorbiti i flussi migratori. Se in Francia si concentrano pericolosamente proprio nell’Île de France e nel Regno Unito a Londra e nel Sud-Est, in Italia il vero discrimine è tra Centro-Nord e Sud, e non si riscontra una specificità delle grandi città. Al Centro-Nord molte città medie hanno tassi di presenza degli stranieri superiori a quelli delle città metropolitane: Prato (16%), Piacenza (14,2%), Parma (13,6%), Modena (13,1%), Brescia (12,9%).

«Il ritorno a una dimensione territoriale del Paese» è l’argomento di cui si è parlato al Censis, a partire da un testo elaborato nell’ambito dell’annuale appuntamento di riflessione di giugno «Un mese di sociale», giunto alla XXVIII edizione, dedicato quest’anno al tema «Ritrovare la via dello sviluppo secondo il modello italiano». Sono intervenuti il Presidente del Censis Giuseppe De Rita e il responsabile di ricerca Stefano Sampaolo, Massimiliano Fuksas, Tommaso Dal Bosco, Responsabile Sviluppo urbano e territoriale Ifel dell’Anci, e Analita Polticchia, già Sindaco del Comune Bevagna.

 

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