È impossibile spiegare le preferenze umane. Anche se costruiti con materiali assolutamente identici, ed entrambe bellissimi (nessuno può dire quale dei due è più bello), il sole che tramonta ha sempre avuto, ed ha, più pubblico di quello che sorge – ha scritto lo scrittore brasiliano, Millor Fernandes – che sia così anche per Putin?

L’associazione di imprenditori patriottici “Avanti”, il 22 agosto ha proposto alla Banca Centrale Russa che venisse stampata una nuova banconota da 10.000 rubli con sopra la effige di Vladimir Putin.
Il suggerimento potrebbe essere inteso in due modi: ovviamente, la cosa più semplice, è che non sia altro che l’ultimo esempio di adorazione e adulazione di Putin, l’ultima manifestazione di un certo culto della sua personalità: e questo potrebbe esserne il caso; ma c’è anche un altro modo d’intenderlo: quando si considerano i presidenti in carica – persino quelli autoritari – raramente sono rappresentati sulla valuta del loro paese.

Malgrado il fatto che Putin certamente a marzo 2018 vincerà il suo mandato, sembra che lui stesso, dopo 18 anni di potere, stia capendo che sta per entrare nel suo giro di boa finale.
L’élite russa sta per essere investita da un nuovo spettro: Putin anatra zoppa, e questo, più che con il raffigurare il leader del Cremlino sui rubli, lo sta manifestando in vari modi.
Nelle ultime settimane, gli esperti, i media e i think tank russi stanno sempre più insistendo su un qualcosa che non è mai stato considerato un tabù: la vita dopo Putin.

Ad esempio, il prominente sociologo Sergei Belanovsky, ha recentemente scritto su Facebook che “l’era di Putin sta per finire” e che “questo è un fatto incontrovertibile che non dipende da quanto rimarrà ancora presidente”.
La Fondazione Politica di San Pietroburgo ha recentemente pubblicato delle ipotesi su potenziali successori di Putin – classifica che è stata amplificata dai media russi (http://www.ua-time.com/2017/08/31/russia-putin-nella-campagna-elettorale-utilizzera-la-carta-ucraina/).
All’inizio di quest’estate, il quotidiano pro-Cremlino, Moskovsky Komsomolets, dopo aver notato tra l’élite un “sentimento di incertezza e instabilità”, ha apertamente sollevato domande sulla salute di Putin ed ha giocato su chi potesse sostituirlo. Mentre Putin stesso, contribuendo ad altre speculazioni, ha recentemente elencato pubblicamente le qualità che dovrebbe avere un leader russo.

Questi fatti ci portano molto lontano da tre anni fa quando Vyacheslav Volodin, l’allora vice capo del personale del Cremlino, ha espresso la famosa frase che “oggi non esiste una Russia se non c’è Putin”.
Così, mentre chiaramente Putin al momento non va da nessuna parte, il sistema che ha creato sembra che dopo la sua prossima nomina al Cremlino, probabilmente sia sulla linea del declino.

Il leader del Cremlino, dopo tutto, a ottobre compierà 65 anni, e se dovesse terminare un altro periodo presidenziale di sei anni, arriverà a 71; e allora cosa succederà? O Putin lascia, o nel 2024, ignorando la Costituzione russa cercherà un terzo mandato consecutivo, una mossa che effettivamente verrebbe vista come quella “di uno che vuole dichiararsi presidente a vita”; oppure, tenterà ancora di ripetere il cosiddetto “castling” e ungerà un presidente solo nominale, come ha fatto con Dmitry Medvedev nel 2008-12, per poi trionfalmente ritornare al Cremlino nel 2030, all’età di 77 anni? Tutto è possibile, ma è improbabile.

Di conseguenza, i cortigiani di Putin e la più ampia élite russa si stanno preparando per un periodo potenzialmente instabile, che sarà imperniato di intrighi e chissà cosa, di certo mai cose belle e attraenti.
L’analista politico, Yevgeny Minchenko, nel suo ultimo rapporto sull’élite russa “Politburo 2.0” scrive che “le reali discussioni per un successore inizieranno con i preparativi delle elezioni parlamentari del 2021”; ma ha anche aggiunto che “è possibile che venga creato per Putin uno status speciale post-presidenziale”, un qualcosa di simile ad un “aytollah russo”.
Ma, anche se è chiaro che de facto Putin potrebbe rimanere il “boss” della Russia anche dopo aver lasciato la presidenza – assumendo uno status simile a quello goduto da Deng Xiaoping in Cina, Lee Kuan Yew a Singapore o attualmente quello del leader supremo dell’Iran – in ogni caso però, si arriverà alla fine della corrente era.

Inoltre, la presidenza russa rimarrà un’istituzione molto potente, e la battaglia per il posto di dopo-Putin, o il jolly per la posizione nel nuovo ordine, promette di essere molto feroce.
L’arresto dell’ex ministro dell’economia, Aleksei Ulyukayev, che si ritiene che sia stato orchestrato dall’amministratore delegato di Rosneft, Igor Sechin, sembra essere la prima manifestazione della prossima turbolenza.

Il caso sembra collegato agli sforzi di Sechin che, mentre sta cercando in tutti i modi di riuscire a controllare l’industria energetica russa, ha innescato una reazione in una fazione delle élite che è determinata a non permettergli di accumulare più potere e risorse.
Minchenko prevede che tale conflitto s’intensificherà dopo le elezioni presidenziali di marzo, in cui ci sarà il circolo interno di Putin suddiviso in due campi: i “mobilizzatori”, come il comandante della Guardia Nazionale, Viktor Zolotov, e il capo di Rostek, Sergey Chemezov e dall’altra parte i “modernizzatori”, come il primo ministro Dmitry Medvedev, e il sindaco di Mosca, Sergei Sobyanin.

L’ex funzionario del Dipartimento di Stato, Donald Jensen, attualmente allievo del Centro delle analisi delle politiche europee, osserva che “le élite russe da lungo tempo sono apparse unite grazie all’autorità di Putin o dalla necessità di proteggere i loro flussi di cassa…ma ora il cemento che li teneva uniti sembra essersi indebolito”.

Tutto questo ci riporta ai periodi precedenti, quando c’erano in arrivo le transizioni: nella chiusura del secondo termine di Putin, nel 2007-08, sono violentemente esplose le rivalità tra i servizi di sicurezza, note come la “guerra dei siloviki”; il sorgere del presidente di Boris Yeltsin nel 1999, è stato caratterizzato da un conflitto vizioso tra due fazioni dell’élite, una ribellione aperta nelle regioni, una guerra nel Caucaso e una serie di sospetti bombardamenti a Mosca e in altre città.

Scrivendo su Republic.ru, il giornalista dell’opposizione e il commentatore politico, Oleg Kashin ha definito la mancanza di esperienza con le ordinarie successioni presidenziali “un drammatico difetto della statura russa contemporanea”. E il dramma sembra proprio che stia per iniziare nuovamente.

Gabrielis Bedris